FEFF 2020: Sezione Classici Restaurati – “Cheerful Wind” di Hou Hsiao-hsien
Nel giorno in cui si conclude il 22esimo Far East Film Festival, Oubliette Magazine non può mancare il tradizionale appuntamento con la sezione dedicata ai classici restaurati: quest’anno la scelta è ricaduta su un regista che (almeno per gli amanti dell’Oriente) non avrebbe bisogno di presentazioni, autore di titoli entrati a ragione nella storia del cinema come “La città dolente” (1989), “Flowers of Shanghai” (1998) e “Millennium Mambo” (2001).
Di Hou Hsiao-hsien non si hanno notizie fresche dalla Croisette cannense del 2015, benché si rumoreggi che sia finalmente in lavorazione un nuovo film. E proprio chi ha avuto modo di inquadrare Hou beandosi della visione della sua ultima fatica, “The Assassin”, senza leggerne la firma nei crediti di testa stenterebbe a riconoscergli la paternità di “Cheerful Wind” (1981), secondo lungometraggio dopo il fortunato “Cute Girl” (1980, aka “Lovable You”) qui presentato in una versione di cui il Taiwan Film Institute, a partire da un negativo 35 mm, ha completato il restaurato nel 2018.
34 anni prima delle incursioni nell’impero cinese del nono secolo, dove alla protagonista non viene fatta recitare che una manciata di battute e il clima dominante è di austero rigore (tanto nelle vicende narrate quanto nella messinscena estremamente rarefatta e controllata), la temperie è invece quella adatta alle commedie sentimentali di ambientazione contemporanea, infarcite di canzoni orecchiabili che il pubblico, assieme al ricordo piacevole della love story, facilmente porta con sé anche al di fuori della sala.
Gli innamorati sono Hsiao Hsing-hui (Feng Fei-fei) e Ku Chin-tai (Kenny Bee), che al principio del racconto appaiono rispettivamente come fotografa di scena su un set in riva al mare dove si sta girando lo spot pubblicitario di un detersivo e suonatore ambulante di flauto e armonica privato del senso della vista; a quest’ultimo viene offerta l’occasione di partecipare attivamente alle riprese, impersonando se stesso mentre compra dal negoziante di turno un flacone del prodotto, efficace persino contro le macchie che si è procurato un gruppo di ragazzini intenzionati a lordare un passante con un petardo nascosto in dello… sterco bovino.
Lasciata la località di periferia, i due si rincontrano fortuitamente a Taipei (casualità “degna di un Chaplin o di un Douglas Sirk” nell’opinione di Shiguéhiko Hasumi: cfr. Jean-Michel Frodon [a cura di], “Hou Hsiao-hsien”, 2005, pp. 138-140) e da quel momento iniziano a frequentarsi: lei scopre che la cecità di lui non è destinata a durare, dal momento che è stato trovato un donatore di cornee. Pur vivendo e lavorando assieme al fidanzato Lo Zai, regista della réclame, Hsing-hui trascorre volentieri intere giornate con Chin-tai, prendendosene cura e attendendo speranzosa l’esito dell’operazione.
Liquidare “Cheerful Wind” come commediola di poche pretese sarebbe eccessivo, tanto più che i conoscitori di Hou in realtà saprebbero leggerci i tratti germinali dei temi a lui cari (come l’opposizione campagna-città) e pure di alcune caratteristiche del suo stile (la durata media di 12,7 secondi a inquadratura, rilevata da James Udden in “No Man an Island. The cinema of Hou Hsiao-hsien”, 2017, pp. 45-46, permette di leggervi la linea di partenza di una riflessione sulla dimensione del tempo cinematografico che approderà agli istanti dilatati all’inverosimile proprio nel citato “The Assassin”).
Non che, pur riconosciuta l’inclinazione, ancora allo stato embrionale, verso una riflessività non comune, il film manchi di ritmo, anzi: il ricorso ai numeri musicali extradiegetici sono intesi a vivacizzare in particolare (ma non solo) le frequenti parentesi di raccordo, così come, dal canto loro, le gag tendenzialmente triviali vorrebbero garantire una facile presa sugli spettatori (cfr. Luisa Ceretto, Andrea Morini, Giancarlo Zappoli [a cura di], “Il dolore del tempo. Il cinema di Hou Hsiao-hsien”, 2002, pp. 60-63).
A non convincere del tutto e dare l’impressione di assistere a un’opera complessivamente ancora acerba, quantunque significativa, è piuttosto l’evolversi del rapporto amoroso, castissimo e adombrato da dubbi, nutriti soprattutto dalla ragazza, che quasi mai hanno facoltà di manifestarsi con evidenza: il soggetto principale finisce infatti per essere frammentato in una serie di episodietti di natura evasiva (la partita a nascondino, i pasti condivisi…) che ignorano fra loro dei nessi sufficientemente resistenti e rimarchevoli, degni di una solidità e raffinatezza di scrittura che matureranno di lì a qualche anno.
Voto al film:
Written by Raffaele Lazzaroni
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Rubrica Far East Film Festival
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