FEFF 2020: Sezione Special Screening – “Labyrinth of Cinema” di Nobuhiko Ôbayashi

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Non è affar semplice affrontare le tre ore di “Labyrinth of Cinema, con cui si chiude in pompa magna la parabola artistica di un regista che ha debuttato dietro la macchina da presa ben 60 anni fa, senza peraltro essere stati debitamente introdotti alla sua poetica e al suo stile; riesce forse ancor più arduo dare una lettura coesa di un’opera così complessa e sorprendente, quindi con probabilità è meglio per oggi limitarsi a fornire alcune semplici coordinate e suggerimenti.

Labyrinth of Cinema di Nobuhiko Ôbayashi
Labyrinth of Cinema di Nobuhiko Ôbayashi

Nobuhiko Ôbayashi, autore nipponico pressoché sconosciuto in Italia, è scomparso l’aprile passato: il Far East Film Festival di Udine gli rende omaggio programmando uno streaming fuori concorso che gli appassionati del cinema giapponese, nello specifico degli anni Quaranta-Cinquanta, avranno senz’altro modo di apprezzare per i numerosi riferimenti (tanto dialogici quanto visivi) disseminati lungo tutto l’arco dell’epopea.

Tuttavia solo i più intrepidi riusciranno a districare le trame tessute dal maestro: a suggerirlo sono ad esempio le riflessioni su “L’uomo del riksciò”, le quali non fanno riferimento al titolo più “noto” di Hiroshi Inagaki, vincitore al Lido veneziano nel 1958 (trionfando sul ben più meritevole conterraneo “La leggenda di Narayama”, firmato da Keisuke Kinoshita) e di lì a breve precipitato nell’oblio, bensì al lungo diretto dallo stesso Inagaki nel 1943 di cui è divenuto remake, l’omonima pellicola deturpata da ben due incursioni censorie e, del tutto negletta, probabilmente riesumata non prima del 2008, quando è stata infine mostrata nella capitale.

È dunque chiaro che misurarsi con una tale conoscenza specialistica rischia di non offrire sufficienti appigli al godimento derivante dalla visione, almeno se si pretende di afferrarne ogni dettaglio per il significato preciso che porta con sé: per orientarsi nel labirinto occorre invece lasciarsi travolgere dalla fiumana di eventi, personaggi e scenari finendo per conoscerne anzitutto la struttura complessiva e poterne quindi tracciare i confini.

C’è una vecchia sala munita di scalcagnato proiettore a bobine che apre le porte della sua ultima serata: offrirà al pubblico un viaggio nel cinema di guerra realizzato in Giappone, ripercorrendone così in piano ravvicinato la storia sanguinosa e, chissà, talvolta dimenticata e permettendo a chi non ne sa nulla (perché non ne ha fatto alcuna esperienza) di tornare a casa arricchito.

Labyrinth of Cinema di Nobuhiko Ôbayashi
Labyrinth of Cinema di Nobuhiko Ôbayashi

A impepare la narrazione è l’occasione, per alcuni audaci spettatori, di finire direttamente all’interno del film, che si sofferma con dovizia di dettagli sulla cronaca di tre episodi cruciali, a cavallo tra Otto e Novecento: è un lungo e inesorabile itinerario che porta dalla caduta dello shogunato e dei samurai, le cui catane soccombono al fuoco di fucili e pistole, fino allo sgancio della bomba atomica su Hiroshima.

L’ombra sinistra del progresso è ripetutamente additata dai versi del giovanissimo Chûya Nakahara, che vede nella modernizzazione un imbarbarimento della società, anticamera di una cosiddetta “era brutale”: non avendo egli fatto a tempo a toccare con mano le disgrazie senza precedenti della Seconda guerra mondiale, le sue parole suonano inquietanti e profetiche.

L’arte poetica è solo uno degli eterogenei strumenti espressivi cui Ôbayashi ricorre per tappezzare i tragitti del suo dedalo, il quale a primo impatto potrebbe avere un effetto quasi lisergico: la prima parte, congiunta alla seconda tramite un intervallo di kubrickiana memoria (e ciononostante estremamente lontano per toni e motivazioni: la “pausa cesso”), risulta segnatamente un autentico bombardamento sensoriale, ancor più impegnativo per l’audience che ignora la lingua giapponese sia orale che scritta (i cui contenuti, per motivi di spazio, sono solo parzialmente tradotti nei sottotitoli).

All’incredibile verbosità della sceneggiatura, già di per sé veicolo di una gran massa di informazioni prima che esternazioni di sentimenti, si sovrappone la cadenza vorticosa dettata dai tagli di montaggio, vorticosa nell’accezione di incalzante, persino febbrile, ma anche caratterizzata da un moto rotatorio che si rileva quando frammenti di sequenze si ripresentano lungo il corso del racconto, sollecitando un ripensamento del contesto risultante.

Labyrinth of Cinema di Nobuhiko Ôbayashi
Labyrinth of Cinema di Nobuhiko Ôbayashi

Ma sono poi le inquadrature stesse, prese singolarmente, a manifestarsi in un carosello d’immagini, forme e colori, magari progettate per incanalare l’attenzione verso precise figure e segni grafici, e contuttociò eccitatrici, almeno nel pubblico di primo pelo, di un ulteriore senso di agitazione e finanche di vero e proprio disordine.

Di sicuro però l’autore non calca la mano prima sulla vena satirica e parodistica (prendendo candidamente in giro i cliché del cinema d’azione dove i proiettili non colpiscono mai gli eroi, disseminando peti nell’aere, ma anche, in termini squisitamente tecnici, abusando in maniera volontariamente goffa e malcelata del chroma key, e via dicendo) e poi sulle nuances più drammatiche e cruente (quanti gli sventurati oppositori passati a fil di spada!) dimentico di un intento che vorrebbe, al contrario, essere preciso ed esplicito: omaggiare con ironia e nostalgia la leggendaria settima arte dei bei tempi andati e illuminarne l’ineguagliabile e a tutt’oggi insostituibile utilità formativa.

 

Voto al film: 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

Info

Rubrica Far East Film Festival

MyMovie FEFF – partecipa al festival

Sito FEFF

Recensione film “House” di Nobuhiko Ôbayashi

 

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