FEFF 2020: Sezione Competition – “I WeirDO” di Liao Ming-yi

Assieme a “Detention”, visto e recensito qualche giorno fa, il 22esimo Far East Film Festival di Udine ha accolto in selezione ufficiale un altro debutto nel lungo targato Taiwan: senza dubbio uno dei titoli di spicco di quest’edizione, “I WeirDO” di Liao Ming-yi era programmato in prima visione assoluta, ma la première non si può dire abbia incontrato una sorte pienamente fortunata.

I WeirDO di Liao Ming-yi
I WeirDO di Liao Ming-yi

Sull’argomento si tornerà in chiusura, a testimonianza inestinguibile dell’accaduto. Focalizzando piuttosto l’attenzione sull’opera in sé, basterebbe dare uno sguardo alla trama per pregustare la freschezza di una love story letteralmente “stramba” (riprendendo una possibile traduzione del titolo), che non sfigurerebbe accanto a un “Heart Attack” di Nawapol Thamrongrattanarit, gioiellino thailandese di cui Oubliette Magazine conserva un gradevolissimo ricordo farestiano.

Anche stavolta a muovere la vicenda è una nevrosi, non più legata alla performance lavorativa bensì alla paura morbosa che porta il nome di misofobia: Chen Po-ching (Austin Lin) soffre di disturbo ossessivo compulsivo e, oltre a lavarsi a lungo e con estrema cura le mani, non solo in casa ma ogniqualvolta visiti un nuovo ambiente (il più raramente possibile, beninteso), passa le sue giornate a tirare a lucido la propria abitazione, dedicando il tempo che gli rimane alla professione di traduttore, compiuta però con lentezza tale da riuscire a malapena ad arrivare alla fine del mese.

In una delle sue fuggevoli incursioni nel mondo dei germi, scorge una figura che, anche in luoghi chiusi e sotto il sole splendente, indossa come lui un impermeabile protettivo, guanti e mascherina: il desiderio di sapere di più sulla prima persona che gli somigli lo spinge a pedinarla e, nel giro di qualche tempo, a conoscerla, vincendo la sua iniziale diffidenza.

A differenza di Po-ching, Chen Ching (Nikki Hsieh) non è mai riuscita ad accettare la propria condizione e, dietro la maschera di una briosa, irresistibile eccentricità, medita il suicidio. Trascorrere le giornate col suo inaspettato “compagno di viaggio” le permette tuttavia di abbattere sempre più barriere, sia dentro che al di fuori di sé.

La conclusione più logica e opportuna per entrambi è la convivenza, che da un lato frena la reazione allergica di cui soffre Ching quando si espone all’aria inquinata per più di tre ore e nel contempo autorizza questa a non recarsi più nell’atelier dove fino a quel momento posava nuda di fronte ad aspiranti pittori, dall’altro sollecita un accordo di lavoro col lento traduttore, riscattando il premio di miglior dattilografa vinto da lei in gioventù.

Eppure, come da manuale, l’equilibrio conquistato non è destinato a durare: anche qualora uno dei due riesca a prevalere sul proprio disturbo, fra loro “non cambierà nulla” si promettono, non immaginando che da un giorno all’altro l’accesso a una vita “normale” verrà dischiuso e da allora… tutto cambierà.

I WeirDO di Liao Ming-yi
I WeirDO di Liao Ming-yi

Due soli attori e poche comparse sono sufficienti a sorreggere l’intero arco del racconto se a tenerne il timone (nei campi di regia, soggetto e sceneggiatura, fotografia e montaggio) è Liao Ming-yi, sette cortometraggi alle spalle e ormai pronto in tutto e per tutto alla sfida dell’esordio. Valeva la pena soffermarsi sul plot per suggerirne l’originalità e far quindi risalire il successo dei vari aspetti alla conduzione delle diverse componenti filmiche.

Il rapporto di coppia favorisce chiaramente lo sviluppo di dialoghi corposi, attraverso i quali si instaura una dialettica schietta e intelligente che va a toccare i nervi scoperti, o che magari i nervi li scopre proprio da sé accrescendo giorno dopo giorno la fiducia reciproca dimostrata a parole e fatti dai due Chen (non a caso accomunati persino dal cognome).

Regia, fotografia e montaggio condividono una medesima missione: dare forma sullo schermo a sfumature (caratteriali e fotografico-coloristiche) e ritmi (narrativi e di movimento) che fungano da corrispettivo alle turbe dei protagonisti: così la mania di controllo si traduce in inquadrature simmetriche o comunque ben bilanciate, strette in un formato quadrato che rimembra quello imperante nello straordinario “Mommy” (2014) di Xavier Dolan, ritratte in una luce che mette in risalto le numerose, rassicuranti superfici a campitura piatta e collocate in un ordine sequenziale che riesce ad accordare da una parte la scelta di costruire e catturare le scene con una certa morigeratezza e precisione, dall’altra la consapevolezza di dover rendere il risultato appetibile a chi ricerca il coinvolgimento nel dinamismo dell’azione, oltre che nella profondità dei sentimenti.

I WeirDO” svolge il tema non nuovo dell’amore clinicamente malato con tale convinzione e una palese sicurezza formale da conquistare il suo pubblico sin dai primi minuti, senza mai (s)cadere nei luoghi comuni tipici delle storie allegre in cui facciano da padrone comportamenti buffi al limite dell’assurdo o al contrario, come nel non del tutto prevedibile e anzi potenzialmente controverso epilogo, in facili patetismi.

È dunque del tutto lecito aspettarsi da Liao future intriganti realizzazioni, alle quali si augurano peraltro battesimi più felici. Che è infatti successo a una manciata di minuti dai titoli di coda dello spettacolo unico dedicato (vale a dire, diversamente dalle prerogative riservate alla quasi totalità degli altri film in programmazione, non disponibile a un qualsiasi altro orario limitatamente ai giorni di svolgimento del festival)?

I WeirDO di Liao Ming-yi
I WeirDO di Liao Ming-yi

È plausibile che l’upload del file fornito per la visione non sia stato condotto a termine, motivo per cui la riproduzione si è interrotta bruscamente, richiedendo all’incirca mezz’ora di tempo per ripristinare la versione non corrotta della fonte e permettere quindi il complemento della “proiezione”.

Ben più grave si è però rivelata la reazione di non pochi spettatori, i quali, ignorando la natura di un finale per chi scrive decisivo ai fini dell’apprezzamento globale dell’opera (e purtuttavia avvalendosi del diritto di “recarsi alle urne” avendo assistito ad almeno l’80% della durata complessiva del candidato di turno ai Gelsi d’oro, d’argento e di cristallo), hanno preso a esprimere il loro giudizio in stelline spesso travisando la ratio che sottende l’utilizzo del dispositivo di voto: se non si riesce neppure a sapere come va a finire, è anzitutto una vergogna e magari pure un affronto diretto e, perciò, dimostrare il proprio disappunto con punteggi bassi o addirittura minimi diviene praticamente un imperativo morale.

Poco o nulla importa se questo modo di agire finisce per danneggiare in maniera del tutto ingiustificata e irrimediabile la prestazione di una delle proposte migliori dell’evento, che forse avrebbe addirittura meritatamente avuto la chance di trovarsi tra i prediletti dal pubblico: anche alla fin fine ci riuscisse, ormai la gara è impari e il risultato falsato.

 

Voto al film: 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

Info

Rubrica Far East Film Festival

MyMovie FEFF – partecipa al festival

Sito FEFF

Recensione di “Detention”

Recensione di “Heart Attack”

 

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