FEFF 2020: Sezione Competition – “Detention” di John Hsu
“Detention” è uno dei tre titoli taiwanesi presentati al 22esimo Far East Film Festival di Udine e, fra questi, uno dei due esordi nel lungo, nonché il primissimo film della cinematografia del Paese a essere tratto da un videogame.
A leggere quest’ultima attestazione e considerando che si suole annoverare l’opera nell’alveo dell’horror (genere non di rado praticato proprio a Taiwan: si pensi a “The Tag-Along” di Cheng Wei-hao, recensito da Oubliette Magazine nel 2016), si è facilmente portati ad aspettarsi l’ennesima trasposizione fedele, più che sul piano del plot, nella costruzione della messinscena: una rappresentazione angosciante e oscura in cui i riferimenti perdono consistenza e si confondono in un ambiente, solitamente claustrofobico e labirintico, che non tarda a rivelarsi il mattatoio da cui i protagonisti mirano a uscire vendendo cara la pelle.
Ma l’operazione compiuta da John Hsu, che di sicuro ben padroneggia la materia narrativa firmando la regia assieme a una sceneggiatura a sei mani, approda a esiti inconsueti e inattesi (almeno per chi ignora la vicenda proposta dal gioco), elevando il risultato complessivo al di sopra della media standard, notoriamente alquanto bassa.
Il ricorso ai “trucchetti” di maniera (un sonoro a tratti violento e graffiante, una tecnica di ripresa talvolta cautamente elusiva, un montaggio anch’esso impegnato nel celare per quanto possibile la presenza inquietante delle minacce) assicura una certa dose di suspense che si addice a un film del terrore, specie a uno di quelli che fanno della fuga per la sopravvivenza il loro motivo conduttore.
Questo però è solo un aspetto, e neppure quello predominante, di un lavoro che varca i sicuri confini della mediocrità solipsistica attingendo a piene mani alla cronaca di un tempo doloroso, ancora vivo nella memoria collettiva: quello in cui, in piena Guerra fredda (e precisamente nel 1962), Taiwan si trova sotto la legge marziale.
Gli imperativi che sin dall’apertura fanno intendere la temperie politica si odono ripetutamente entro le mura della scuola Greenwood: “Tutti hanno la responsabilità di denunciare lo spionaggio. Anche nasconderlo è un crimine. La punizione sarà severa per coloro che incitano i pensieri ribelli”, ossia ispirati ai credo di sinistra e in particolare a quello comunista.
I pericoli provengono anche da quei libri che inneggiano alla libertà e dunque al sovvertimento del governo e del comando militare; correndo il rischio di essere scoperto e condannato alla pena capitale, un piccolo gruppo di studenti si dedica coraggiosamente alle letture proibite riunendosi clandestinamente sotto la protezione di due insegnanti.
La tragedia è annunciata sin dai primi minuti: l’umile impresa fallisce, qualcuno ha parlato.
Tuttavia non sarà facile, né per la protagonista femminile né tantomeno per lo spettatore, risalire alla verità, la lunga strada verso la quale prende avvio nella medesima scuola ma di notte, ritraendola deserta, buia, lugubre e abitata da presenze mostruose.
La grandezza di “Detention” sta quindi in una duplice intuizione: da una parte inanella senza posa i diversi piani temporali e di realtà, sollecitando una ricostruzione a singhiozzo che non dà tregua sino alla conclusione del terzo, brevissimo atto (a seguire “L’incubo” e “La talpa”); dall’altra si nutre di un orrore non puramente immaginifico, bensì dal carattere storico, tangibile e macabro, rendendosi testimonianza senza calcare la mano, nel pieno rispetto cioè di un dramma indelebile che si intende riscattato solo nel momento in cui coloro che vivono ancora ne serbano e condividono il ricordo.
Voto al film:
Written by Raffaele Lazzaroni
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Rubrica Far East Film Festival
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