Le métier de la critique: “Il Moliere” e “Torquato Tasso”, il teatro in versi di Carlo Goldoni
Nel 1751, ovvero l’anno successivo al tour de force delle “sedici commedie nuove”, Carlo Goldoni scrisse Il Moliere (nell’originale senza l’accento sulla penultima e), che vide la sua “prima” al Teatro Carignano di Torino il 28 agosto, ottenendo buon successo.

La maggiore novità della commedia, all’interno della produzione goldoniana, consisteva nell’essere la prima scritta in versi martelliani (a rima baciata), metro in cui poi Goldoni scriverà altre 27 opere, salvo sconfessarne esplicitamente la forma, anni dopo, in una nota L’Autore a chi legge preposta al Moliere in una raccolta delle sue Opere:
“Detto quanto mi sembra bastare sulla Commedia, mi si permetta ora parlare
del verso, con cui l’ho scritta. Nell’epistola dedicatoria al Sig. Marchese Maffei
(ora di onorevole ricordanza) dissi come indotto mi era ad usare un tal verso […].
Meglio sarebbe stato per me, se cotal verso non fosse stato universalmente gradito.
L’applauso ch’egli ebbe, m’indusse a valermene in qualche altra Commedia,
e sempre più andavasi impossessando del cuore degl’Italiani. Da ciò altri si
mossero ad imitarlo, e in poco tempo non si sentiva che a risuonare un tal verso
per i Teatri, per le Accademie, e nelle raccolte di poesia. Previdi che si sarebbe
il mondo di ciò annoiato; principiai io medesimo ad annoiarmi; pure, se volea
che le mie Commedie fossero sulle scene sofferte, mi convenia, mio malgrado,
seguitare la stucchevole cantilena. La seguitai per quattr’anni, ma tosto che
io mi accorsi che andavansi gli Uditori stancando, ritornai alla prosa, ed ebbi
il fortunato incontro di prima.”
La scelta del tipo di metro – in pratica la versione italiana dell’alessandrino – era legata anche e soprattutto al soggetto e all’ambientazione della commedia, come lo stesso Goldoni aveva spiegato nell’epistola dedicatoria a Scipione Maffei cui si fa riferimento sopra. Goldoni avrebbe in seguito convertito in prosa alcune delle commedie originalmente scritte in versi martelliani, lasciando tuttavia Il Moliere nella sua prima redazione perché «forse di tutte la più tollerabile, e la meno sagrificata alla schiavitù della rima».

Bisogna dire, in realtà, che la versificazione del Moliere è meravigliosa, e si presta a una possibile recitazione ritmica e purtuttavia naturalistica. Contribuisce anzi a un ritmo teatrale piuttosto incalzante, in una trama in cui alle difficoltà per portare il Tartufo sulla scena si intrecciano le vicende private di Molière e gli intrighi amorosi nei quali si trova coinvolto.
Le fonti di cui si servì il commediografo veneziano sono la La Vie de M. de Molière di Jean-Léonor de Grimarest (pubblicata nel 1705) e il Tartufo, di cui si narra appunto la contrastata messa in scena, con qualche inserto di “teatro nel teatro” (l’artificio metateatrale era già stato proposto da Goldoni ne Il teatro comico, scritto l’anno prima).
Nel narrare i tentativi di boicottaggio – come si direbbe oggi – della messa in scena del Tartufo, Goldoni adombra evidentemente anche la propria lotta per la “riforma del teatro”:
“Al comico teatro died’io la mano e il cuore;
A riformar m’accinsi il pessimo costume.” – (Atto I, Scena VI)
La rivendicazione di un realismo che superi gli stereotipi, e alzi il velo sulle ipocrisie sociali, si rivela in trasparenza nella descrizione che Goldoni fa fare del teatro di Molière a Pirlone (sic!), uno dei suoi avversari:
“Finge prender di mira soltanto l’impostura,
Ma gli uomini dabbene discreditar procura.
Tutte sospette ei rende le azion di gente buona,
E ai più casti e ai più saggi Molier non la perdona.
Se d’una verginella uom saggio è precettore,
Chi sente quel ribaldo, le insegna a far l’amore.
Chi va di casa in casa con utili consigli,
Va per tentar le mogli, va per sedurre i figli.
Chi i miseri soccorre, e presta il suo denaro,
Lo fa per la mercede, lo fa perch’è un avaro.
Confonde i tristi e i buoni, scema a ciascun la fede,
E il popolo ignorante l’ascolta, e tutto crede.” – (Atto II, Scena I)
E lo stesso Molière-personaggio dichiara:
“Io parlo agli artigiani, io parlo ai cavalieri;
A ognun nel suo linguaggio parlar fo di mestieri.
Onde in un’opra istessa usando il vario stile,
Piace una scena al grande, piace una scena al vile.” – (Atto II, Scena XII)
La conseguente “vendetta trasversale” nei confronti di moralisti e critici ostili culmina nella schermaglia tra Valerio e il Conte Lasca nel III Atto, peraltro un bell’esempio di comicità “colta”, e nella IX Scena del IV Atto, con i commenti vacui degli ex detrattori, ora convertiti dopo il trionfo del Tartufo.
Più convenzionali le parti legate agli intrecci sentimentali e alla beffa ai danni di Pirlone, anche se i personaggi escono dagli schemi stereotipati derivanti dalla Commedia dell’Arte. Audace, tuttavia, il monologo di Molière dell’VIII Scena del IV Atto, in cui si espone una sorta di “filosofia naturale” dell’amore legata, per così dire, alla pura biologia animale:
“Amico, il dolce affetto, che ha l’un per altro sesso,
È in noi tenacemente dalla natura impresso.
Com’opra la natura nei bruti e nelle piante,
Per propagar se stessa, opra nell’uomo amante.
E si ama quel che piace, e si ama quel che giova,
E fuor dell’amor proprio altro amor non si trova.
Lo provo: ama colui l’amica, ovver la moglie,
Ma sol per render paghe sue triste o caste voglie.
[…]
Tutto l’amor terreno, tutt’è amor proprio, amico.
Filosofia l’insegna, per esperienza il dico.”

Si tratta di un Goldoni molto diverso da quello più conosciuto, e bisogna dire che Il Moliere godette di buon successo fino a tutto l’Ottocento, salvo poi essere stroncato dalla critica successiva: Giuseppe Ortolani – futuro curatore di un’edizione di Tutte le Opere del commediografo veneziano – parlò ad esempio in un suo saggio del 1907 di aberrazione goldoniana; nello stesso anno, a Virgilio Brocchi Il Moliere, come pure il Torquato Tasso e il Terenzio, parvero non più che mere «esercitazioni letterarie [nate dalla] smania dell’auto-apologia».
Infatti un’altra “sorpresa” riservataci dal Goldoni in versi è il Torquato Tasso, su cui un’antica “Cronaca Teatrale” (sulla “Gazzetta Privilegiata di Milano” del 13 ottobre 1830) così si esprimeva: «Alle accuse che si facevano a Goldoni di poca castigatezza nella lingua, attinse egli l’idea della commedia il Torquato Tasso, in cui son posti in ridicolo i ridicolissimi Cruscanti. Questa commedia brilla per vivacità di dialogo, e l’intreccio n’è piccantissimo, come lo è lo scioglimento».
La commedia inaugurò il carnevale del 1755 nel veneziano Teatro di San Luca ed ebbe un successo che perdurò anche nei primi decenni del secolo successivo. È apparentemente una commedia degli equivoci: come dichiarato dall’autore stesso nella nota iniziale A chi legge, lo spunto biografico dell’amore di Tasso per la sorella del Duca d’Este, Leonora, viene riarrangiato sulla base di un passaggio del Grand dictionaire historique di Louis Moréri (1674), in cui aneddoticamente si narrava della presenza, alla corte di Ferrara, di ben tre Eleonore «également belles et sages, quoique de différente qualité».
La trama è imperniata quindi sull’incertezza dell’identità della donna cui Tasso ha dedicato un madrigale (peraltro davvero esistente): si tratta della favorita del Duca – dama d’onore della Duchessa sua moglie – oppure della cameriera (omonima) della stessa dama d’onore, o ancora dell’Eleonora moglie del cortigiano Don Gherardo?
Ma dietro questo intreccio apparentemente frivolo – in cui si scatenano gelosie incrociate ed inevitabili equivoci – vi è il ritratto di un poeta cui le critiche feroci, le gelosie di corte e dell’ambiente letterario, l’insoddisfazione continua per la propria opera stanno lentamente minando la salute mentale. Con onestà, anche qui in una nota A chi legge, Goldoni sottolinea:
“… nella disavventura degli assalti suoi ippocondriaci, mi somministra un carattere
comico particolare. Non mi riuscì facile condurlo a buon termine; poiché internarsi
nella verità di un tal carattere estraordinario non è cosa comune. Mi facilitò
assaissimo la riuscita l’esser io soggetto di quando in quando agli assalti
dell’ippocondria, non per la Dio grazia al grado di quei del Tasso, ma
sensibili qualche volta un po’ troppo, e familiari a tutti quelli che si consumano
al tavolino. Ho di buono, che come il Tasso non m’innamoro, e che delle
critiche appassionate non fo quel conto che egli faceva.”

Notevole come Goldoni riesca a ottenere effetti comici utilizzando una forma metrica aulica (sempre il verso martelliano), e anche in questa commedia – come nel Moliere – la versificazione non inibisce una recitabilità sufficientemente naturalistica (si prendano le Scene IV-VI del II Atto o la Scena IX del V Atto, dove l’uso di una sorta di sticomitia riesce efficacemente a spezzare dialogicamente il ritmo del verso).
Divertenti poi le parti in napoletano e in veneziano, e un capolavoro di raffinata ironia la loquela del Cavaliere del Fiocco, l’accademico della Crusca che parla esclusivamente per rime sdrucciole («caro compare sdruzzolo» viene definito dal personaggio del Sior Tomio, veneziano): in questa maniera Goldoni manifestamente si vendicava di coloro che lo tacciavano di eccessive concessioni al dialetto natio, a scapito di uno stile più convenientemente classico.
Il Goldoni in versi è davvero una piacevole sorpresa: peccato sia passato così nel dimenticatoio, anche se sappiamo come il teatro in versi sia oggi completamente fuori moda (non ci sono più neanche molti attori in grado di recitare decentemente il teatro di prosa – mi si scusi la nota polemica).
Torquato Tasso fu riportato in scena (dopo un’assenza di 150 anni) nel 1983 al Teatro Centrale di Roma da quella particolarissima figura di attrice-regista-scrittrice-intellettuale che fu Elsa de’ Giorgi, e ripreso quattro anni dopo a Bevagna nel “Laboratorio di arti sceniche e tecnologie avanzate” da lei creato nel frattempo. La de’ Giorgi ne curò anche un’edizione in volume nel 1989.
Written by Sandro Naglia
Bibliografia
Le commedie del dottore Carlo Goldoni avvocato veneto fra gli arcadi Polisseno Fegejo, Tomo IV, Venezia, Bettinelli, 1753;
Nuovo teatro comico dell’avvocato Carlo Goldoni poeta, Tomo III, Venezia, Pitteri, 1757;
Delle commedie di Carlo Goldoni avvocato veneto, Tomi III e XVI, Venezia, Pasquali, 1761;
Giuseppe Ortolani: Della Vita e dell’arte di Carlo Goldoni: saggio storico, Venezia, Istituto Veneto d’Arti Grafiche, 1907;
Virgilio Brocchi: Carlo Goldoni e Venezia nel secolo XVIII, Bologna, Libreria F.lli Treves, 1907;
Carlo Goldoni: Opere complete di Carlo Goldoni, Voll. VII e XI, Venezia, Municipio di Venezia, 1910-1911;
Carlo Goldoni: Tutte le opere, Voll. III e V, a cura di Giuseppe Ortolani, Milano, Mondadori,1939-1941;
Carlo Goldoni: Torquato Tasso, a cura di Elsa de’ Giorgi, Ferrara, Liberty House, 1989;
Carlo Goldoni: Torquato Tasso, a cura di Dante Maffia, Catanzaro, Abramo, 1993;
Carlo Goldoni: Il Moliere, a cura di Bodo Guthmüller, Venezia, Marsilio, 2004;
Carlo Goldoni: Torquato Tasso, Firenze, Sandron, 2010.