La dilatazione del tempo: tra Albert Einstein e Carlo Rovelli
L’argomento che tratterò riguarda la “dilatazione del tempo” prevista dalla teoria della relatività di Albert Einstein (1879-1955). L’idea per questo articolo nasce durante le festività natalizie del 2019. A tavola con la famiglia e degli amici, ad un certo punto, non ricordo come, qualcuno accennò al “paradosso dei gemelli” (vedi relatività di Einstein) e le cose che sentii, per me digiuna di certi argomenti scientifici, sembrarono attinenti più alla fantascienza che alla realtà; così dopo aver chiesto alcuni chiarimenti, ritenni la “cosa” troppo complessa e momentaneamente la abbandonai.
Qualche tempo dopo, mi capitarono per le mani due libri appartenenti a mio marito: “Sette brevi lezioni di fisica” e “L’ordine del tempo” del dott. Carlo Rovelli, fisico, docente universitario, studioso di fisica teorica. Si tratta di due libri molto divulgativi, dove la chiarezza dell’esposizione permette anche ad una lettrice come me, lontana da quel mondo, di poter comprendere almeno i principi fisici di base a cui i due testi si riferiscono.
L’argomento di cui voglio trattare, richiederebbe per una completa comprensione, conoscenze matematiche molto avanzate. Sconfino a volte dal mondo umanistico, che più mi compete, a quello della scienza, perché spinta da meraviglia e curiosità e perché alcuni argomenti sono, nei loro concetti base molto attinenti alla filosofia. Come detto, non entrerò in dettagli matematici in quanto non ne sarei assolutamente in grado ed inoltre perché, come diceva Albert Einstein, per comprendere certi passaggi della scienza, almeno ad un livello concettuale di base, si può fare a meno della complessità della matematica necessaria per una completa comprensione della materia trattata. La matematica è infatti il linguaggio della scienza.
Einstein ripeteva spesso che “nessuno scienziato pensa con le formule”.
Pur essendo il livello della trattazione da me scelto molto elementare ciò non di meno occorre accennare ad alcuni semplici concetti propedeutici per poter usare un minimo di terminologia scientifica quali:
- Particelle elementari;
- Sistemi di riferimento;
- Legge oraria del moto;
- Concetto di tempo e breve cenno alla relatività di Einstein.
Per evitare interpretazioni non corrette, non essendo questa la mia materia, ricorrerò spesso all’aiuto della rete ed in particolare a quanto esprimono sull’argomento autori e siti competenti, dalle riflessioni dei quali, traggo il mio articolo.
Le fonti dalle quali ho attinto idee sono: il sito CoseDiScienza, il sito della dott.ssa Maria Rispoli, il sito StudioFacile, il sito YouMath, il sito del prof. Carlo Cosmelli, il sito Wikipedia ed ovviamente il sito del dott. Carlo Rovelli. Mi scuso in anticipo nel caso in cui mi sia dimenticata di citare qualche altra fonte.
Particelle elementari
Una particella elementare essenzialmente è una particella la quale non è composta da particelle più semplici.
Il nucleo atomico non è una particella elementare, in quanto composto da particelle con carica elettrica positiva chiamate protoni, e da particelle prive di carica elettrica chiamate neutroni. Anche protoni e neutroni no sono particelle elementari in quanto composti di particelle ancora più piccole chiamate quark.
Gli elettroni, particelle cariche negativamente che ruotano su orbite ben precise, attorno al nucleo, sono particelle elementari in quanto non possono essere ulteriormente scomposti in entità più piccole. Tra le molte particelle elementari vi sono i mesoni, i leptoni, i bosoni.
Sistema di riferimento
Un sistema di riferimento in fisica è un sistema di coordinate, a partire dal quale, vengono misurate le grandezze coinvolte in un problema. Un sistema di riferimento può essere a una, due, tre, n dimensioni.
Individuare un sistema di riferimento significa:
- fissare un punto O detto origine del sistema di riferimento
- fissare gli assi lungo determinate direzioni
In realtà il numero degli assi che il sistema di riferimento deve avere dipende dal tipo di problema che si sta affrontando.
- Se ad esempio avessimo a che fare con un moto rettilineo uniforme o con un moto rettilineo uniformemente accelerato, come quello di un’auto che si muove lungo una strada “dritta”, ci basterebbe un solo asse e cioè un sistema di riferimento unidimensionale. La scelta più comoda prevede di considerare un sistema di riferimento parallelo alla direzione del moto: se l’auto o il treno si muove lungo binari orizzontali, scegliamo un asse orizzontale, e possiamo ad esempio orientare l’asse da sinistra a destra.
- Se invece avessimo un moto su di un piano, come il moto delle palle sul tavolo da biliardo, allora ci servirebbe un sistema di riferimento bidimensionale, dotato cioè di due assi come mostrato in figura. In due dimensioni, il sistema di riferimento più semplice e conveniente da usare è quello cartesiano, dove l’asse X e l’asse Y sono tra loro perpendicolari. Ad esempio quando si lavora con un corpo che scivola giù lungo un piano inclinato, è più facile inquadrare il problema all’interno di un sistema di riferimento in cui l’asse X e diretto lungo il piano inclinato e l’asse Y è ad esso perpendicolare.
- Per i moti nello spazio, dovremmo necessariamente rappresentare tre assi, cioè un sistema di riferimento tridimensionale.
Legge oraria del moto
La Cinematica è quella parte della fisica che studia il moto dei corpi senza tener conto delle cause che lo producono.
Moto rettilineo uniforme è quello di un oggetto in movimento che percorre una traiettoria rettilinea con velocità costante.
Moto uniformemente accelerato è un tipo di moto in cui un corpo si muove lungo una retta con accelerazione costante (accelerazione di un corpo è la variazione della velocità in un dato intervallo di tempo).
Legge oraria del moto è quella legge della fisica che afferma che lo spazio percorso da un corpo che si muove a velocità v, durante un intervallo di tempo t è espresso dalla relazione S = v. t
Il tempo e breve cenno alla relatività di Einstein
Per Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) il tempo non è nient’altro che la misura del cambiamento delle cose (e non c’è tempo se non c’è cambiamento). Nel suo trattato in otto volumi intitolato “Fisica”, afferma: “il tempo, per un verso esso è stato e non è più, per un altro verso sarà e non è ancora”.
Per Isaac Newton (1642 – 1726) accanto alla nozione intuitiva, quotidiana e banale di tempo come cambiamento, ne esiste un’altra, che è l’unica con la quale si può fare scienza: il tempo assoluto, vero e matematico. Scrive Newton nei Principia: “il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura scorre uniformemente senza relazione ad alcunché di esterno”.
Pochi dubitavano, fino ad Einstein, dell’esistenza di un tempo assoluto, in cui avvengono i fenomeni e che sia indipendente dal nostro modo di misurarlo. Quindi Newton non si sofferma sul problema. Per Newton come per Aristotele spazio e tempo erano due entità assolute: lo spazio era il vuoto, entro il quale gli oggetti potevano muoversi ed “esibirsi”, mentre il tempo scorreva uniformemente senza relazione con alcunché di esterno.
Il tempo è stato considerato in vari modi nel corso della storia del pensiero, ma le definizioni di Platone (428 a.C. – 348 a.C.) ed Aristotele sono state di riferimento per moltissimi secoli, fino a giungere alla rivoluzione scientifica. Di questo periodo è fondamentale la definizione di Newton, secondo il quale il tempo è “sensorium Dei” (senso di Dio) e scorrerebbe immutabile sempre uguale a se stesso.
Il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724 – 1804) cambiò radicalmente questo modo di vedere, affermando che tutto ciò che esiste nel mondo fisico viene percepito e ordinato attraverso le strutture a priori del soggetto e ciò che, in prima battuta viene collocato nello spazio viene poi ordinato temporalmente (come dimostra la nostra memoria). Il tempo per Kant:
- nessuno può pensare a un “prima” e a un “dopo” se non accetta l’idea che esiste una realtà, il tempo, che gli permette di farlo.
- Senza tempo non esistono i fenomeni, senza fenomeni invece il tempo esiste tranquillamente.
- Il tempo ha una sola dimensione e i diversi tempi sono insieme ma successivi (come diversi spazi non sono successivi ma insieme)
- Il tempo non è un concetto assoluto ma una forma pura dell’intuizione sensibile, che lo percepisce come un insieme.
Un altro grande progresso del pensiero è stata la formulazione della teoria della Relatività Ristretta (1905) e di quella Generale (1916) di Einstein, secondo la quale, il tempo non è assoluto, ma dipende dalla velocità e dal sistema di riferimento preso in considerazione. Secondo la relatività ristretta, il tempo di un osservatore è uguale a quello di un altro osservatore solo se il tempo viene moltiplicato per “un certo fattore” (questo fattore si ricava dalle equazioni matematiche della teoria di Einstein) che dipende dalla velocità relativa dei due osservatori.
Per Newton, lo spazio e il tempo sono il palcoscenico su cui si svolgono gli eventi del mondo, descritti dalle sue leggi del moto e dalla legge di gravitazione universale. Tolti gli oggetti materiali, il palcoscenico rimane: lo spazio e il tempo sono, per il genio inglese, due enti assoluti e indipendenti.
Ma Einstein, facendo una sintesi straordinaria di ciò che c’era di buono nel pensiero di Aristotele e in quello di Newton, giunge ad un’altra conclusione. Per Einstein, tempo e spazio sono si cose reali, però non sono per nulla assoluti, per nulla indipendenti da quanto accade, per nulla distinti dalle altre sostanze del mondo, come Newton immaginava.
Nella relatività di Einstein lo spazio ed il tempo sono interdipendenti. Per Einstein due “orologi” in moto uno rispetto all’altro misurano tempi distinti. Ovvero se prendo due orologi nello stesso punto e li faccio muovere uno rispetto all’altro, quando ritornano nello stesso punto hanno misurato tempi distinti. L’effetto è tanto più grande quanto più il loro moto avviene con velocità paragonabile alla velocità della luce (300000 km/s). Tutto ciò è stato verificato sperimentalmente.
Fino all’inizio del ventesimo secolo, il tempo era quindi visto come un fiume ovvero un orologio dal ticchettio continuo e insistente e nulla poteva alterare lo scorrere di questa grandezza fisica la cui velocità era la stessa per tutti gli osservatori in qualsiasi luogo si trovassero.
Quindi Albert Einstein, agli inizi del ventesimo secolo, dimostrò che il tempo non era una entità fisica fissa e immutabile come si era sempre pensato, la conseguenza di questa scoperta era che non esisteva un tempo assoluto.
La teoria della relatività ristretta fu formulata da Einstein nel tentativo di spiegare le contraddizioni insite nella fisica classica, e si applica ai sistemi che si muovono di moto rettilineo uniforme, sistemi di riferimento che vengono detti inerziali, e si basa su due postulati fondamentali.
Il primo postulato o principio di relatività, stabilisce che le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Questo significa che i risultati di qualunque esperimento devono essere gli stessi per qualunque sistema di riferimento che si muova di moto rettilineo uniforme.
Il secondo postulato, noto come principio di costanza della velocità della luce, afferma che la luce si propaga con una velocità pari a 300000 km/s indipendentemente dalla velocità della sorgente che l’ha emessa.
Questa affermazione appare in contraddizione con l’esperienza quotidiana che sembra implicare che un oggetto che si muove verso un osservatore abbia una velocità maggiore se contemporaneamente l’osservatore si muove in direzione dell’oggetto. Questo non vale per la luce. I due postulati di Einstein (che hanno ricevuto conferma da molti dati sperimentali) hanno mutato profondamente le nozioni di spazio e di tempo, che non possono essere più considerati assoluti. A velocità relativistiche, cioè paragonabili a quella della luce, si riscontrano una dilatazione dei tempi, una contrazione delle lunghezze ed un aumento della massa degli oggetti.
La dilatazione del tempo ha ricevuto una evidenza sperimentale attraverso la fisica delle particelle elementari dell’atomo, in particolare nel decadimento delle particelle dette muoni.
I muoni
I mesoni mu o muoni, particelle elementari definite “leggere” come gli elettroni, vennero scoperti nel 1936. Tali particelle avevano una massa intermedia tra l’elettrone ed il protone. In origine venne assegnato a tale particella il nome di mesone mu, ma nella fisica moderna viene indicata come muone.
Da tutto lo spazio arrivano verso la Terra i raggi cosmici che appena entrano negli strati superiori dell’atmosfera producono moltissimi muoni. I muoni sono delle particelle instabili che “vivono” circa 2.2 milionesimi di secondo; dopo questo tempo decadono cioè si trasformano in un elettrone e due neutrini, quindi diventano altro. Questi muoni si muovono ad una velocità paragonabile a quella della luce cioè a circa il 99.9% di quella della luce. Dalla fisica sappiamo che lo spazio percorso da un corpo che si muove a velocità v per un tempo t è dato dalla relazione: s = v. t
Dove v = (99.9/100) x 300000 x 1000 m/s
t = (2.2/1000000) s
Quindi s = (99.9/100) x 300000 x 1000 x (2.2/1000000) m
s = 660 m
I buoni prima di decadere, cioè di trasformarsi in altro, viaggiano nell’atmosfera percorrendo una distanza pari a 660m. L’atmosfera ha uno spessore di 15 km cioè di 15000m. Allora ci chiediamo: come fanno i muoni ad arrivare sulla Terra attraversando 15000 m di atmosfera se “muoiono” dopo 660 m?
Per eseguire questi semplici calcoli ci siamo serviti delle formule della fisica classica. Ma la fisica classica non funziona più quando gli oggetti si muovono a velocità confrontabili con quelle della luce. Secondo la fisica classica, questi muoni, sulla Terra non ci dovrebbero arrivare. Ma come abbiamo visto la realtà è diversa, essi vengono rilevati sulla superficie terrestre.
In questa situazione è necessario ricorrere alla teoria della relatività di Einstein, la quale prevede la “relatività del tempo”. Cioè il tempo misurato è relativo al sistema di riferimento scelto. Secondo tale teoria il tempo e cioè la durata di un evento, non è una grandezza assoluta ed immutabile. Per Einstein un evento che accade in un luogo, visto da un osservatore che sta fermo in quel luogo, avrà una certa durata di tempo, per esempio può essere il tempo di vita media del nostro muone. Quando sta fermo, misuriamo una vita media di 2.2 milionesimi di secondo, ed anche il muone misura questa stessa durata.
Se però il muone si muove a velocità prossima a quella della luce, allora per me che sono sulla Terra (cioè nel mio sistema di riferimento solidale con la Terra), il tempo durante il quale “vive” la particella, è più grande, si dice quindi che siamo in presenza di una dilatazione del tempo. Questa dilatazione dipende da quanto la velocità dell’oggetto in moto è vicina a quella della luce. Facendo i calcoli, in base alle equazioni matematiche che governano la relatività di Einstein, per il muone, il tempo si dilata di circa 25 volte.
Questo vuol dire che, per me che sta sulla Terra (cioè per il sistema di riferimento posto sulla Terra) il tempo di decadimento, cioè il tempo in cui “vive” la particella diventa:
T = (2.2/1000000) x 25 = (55/1000000) cioè 55 milionesimi di secondo
T = 55 milionesimi di secondo
Durante questo intervallo di tempo, il muone percorre uno spazio S dato dalla relazione
S= V x T = V x 25 x t cioè
S = (99.9/100) x 300000 x 1000 x (55/1000000)
S = 16000 m cioè S = 16 km
Ecco perché i buoni arrivano sulla Terra. Il tempo, cioè la durata di un evento, è relativo al sistema di riferimento in cui avviene l’evento. Nello spazio in cui il muone si muove (cioè l’atmosfera) i suoi tempi si dilatano e la realtà è differente da quella che calcolerei con la fisica classica di Newton.
Mettiamoci ora a “cavallo” del muone, cioè mettiamoci dalla parte di un osservatore che sta sul muone. Il muone, nel suo sistema di riferimento sta fermo, quindi vive 2.2 milionesimi di secondo; come fa a giustificare il fatto che riesce ad arrivare sulla Terra?
Qua ci viene in aiuto l’altra parte della relatività, quella che riguarda la relatività dello spazio. Einstein dice che una certa lunghezza L (ad esempio lo spessore dell’atmosfera), misurata da un sistema in cui L sta fermo (per esempio dall’osservatore a Terra), si accorcia se la guardo da un sistema in movimento rispetto ad essa (l’osservatore posto a “cavallo” del muone). Quindi il muone vede lo spessore dell’atmosfera (L= 15km) più corto. Ci chiediamo di quanto e la risposta (dalla relatività) è dello stesso fattore responsabile della dilatazione del tempo, cioè 25. Quindi per il muone l’atmosfera non è spessa 15 km cioè 15000 m bensì 15000/25 = 600 m. Ecco perché i buoni riescono ad arrivare a Terra. Dalla Terra si vede un muone con la vita più lunga, dal muone si vede l’atmosfera più corta.
Dobbiamo quindi accettare il fatto che se incontriamo “qualcuno” che si muove a velocità vicina a quella della luce ci dobbiamo ricordare che i nostri tempi e i nostri spazi andranno calcolati in modo diverso da quelli che calcolerà “lui”.
Ricapitolando:
per l’osservatore sulla Terra l’atmosfera è spessa 15000 m e il tempo di vita del muone è 55 milionesimi di secondo;
per l’osservatore sul muone l’atmosfera è spessa 15000/25 = 600 m e il tempo di vita è 2.2 milionesimi di secondo.
Nel 1972 venne eseguito il seguente esperimento: due orologi atomici (cioè quelli basati sulle frequenze di vibrazione dell’atomo di cesio) perfettamente sincronizzati fra loro, vennero rispettivamente posti uno su un aereo che fece il giro del mondo, l’altro rimase a terra. Vennero quindi, al ritorno, confrontati i tempi indicati dai due orologi. Le differenze di tempo riscontrate, dopo tale volo, risultarono in pieno accordo con quanto previsto dalla relatività di Einstein.
Written by Carolina Colombi
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Bellissimo articolo e te lo dice uno che ha ancora più la consapevolezza di te di essere gravemente ignorante in materia…
Hai fatto solo un microscopico errore che poi ti dirò.
Le particelle elementari che indichi sono quelle che attualmente paiono tali, ma chissà se sono indivisibili come quella ipotizzata de Democrito. Tieni presente che al di sotto del cosiddetto spazio di Planck non è (e forse non sarà mai) possibile alcuna previsione e/o osservazione.
I fisici che hanno sgobbato anni e anni per laurearsi e specializzarsi e io, che approfitto del loro sudore, non parliamo (anche tu puoi farlo) di dimensioni, ma di gradi di libertà della particella, per cui, copia-incollato da Google: un corpo rigido nello spazio tridimensionale ha esattamente 6 gradi di libertà: 3 di tipo traslazionale e 3 di tipo rotazionale. e quindi il corpo ha 6 gradi di libertà.
Svariati anni fa lessi in inglese un libro arcano, e qualcosa capii, ma non tutto: “The end of time” di Julian Barbour, maestro sia di Rovelli che di Lee Smolin, fisico non accademico, ma ficcantissimo nelle sue idee.
Il tempo, dice, e lo conferma ora Rovelli, non esiste.
Cosa non sia (reale) si sa, ma perché lo percepiamo così come non è rimane un mistero.
Pochi capiscono esattamente il significato della dilatazione del tempo: ma è attestata, come spieghi tu bene.
Però… esiste la meccanica quantistica, che non dice che “l’osservazione della realtà non è assoluta, bensì relativa”; ma che “ogni osservazione muta la cosa osservata”, come recita il principio d’indeterminazione di Heisenberg.
Un fisico onesto non può ignorare le due correnti di pensiero e non può non accettarle entrambe: è un po’ come un buon cattolico obbligato a diventare anche animista.
Quindi nessuno ha davvero le idee chiare.
Rovelli è colui, assieme ad altri, che cerca da anni di giungere alla loro conciliazione; e sta rischiando di fare la fine dei Singh, che volevano mettere ‘accordo islamici e induisti, finendo per farsi massavrae in massa da entrambe le fazioni (da allora girano col coltello). Molti disprezzano le sue teorie e le sbeffeggiano. A torto, perché non si fa così. Ma cosa dice Rovelli: a) il tempo non esiste b) lo spazio è un grumo. Ma intanto viene snobbato da molti e definito “looppista”.
Vedi tu.
L’errorino di cui cianciavo è che la luce non va affatto a 300.000 km/sec , ma a 299.997 km/sec abbondanti. Se tu fossi a cavallo di un fotone e provassi a tirare un sasso con la fionda esso non si staccherebbe. Rimarrebbe piantato lì.
Però… la meccanica quantistica ha ipotizzato i tachioni, che viaggerebbero più veloci dei fotoni, tornando indietro nel tempo…
Spero di averti confuso ulteriormente la mente…
Ciao!