“Una giornata nera” di Aldo Costa: tutto compreso, anche il destino

La prima frase che ho sentito il bisogno di sottolineare è soltanto alla seconda pagina dell’undicesimo capitolo, anche se ancora ignoro perché: “Si chiede sempre il perché di tutto”.

Una giornata nera
Una giornata nera

Finora mi sono chiesto solo cosa stia cercando di dirmi l’autore e perché stia imbastendo una storia così follemente ordinaria?

Non sto provando simpatia per nessuno dei tre attori: lui, a detta di lei, è un po’ un esibizionista; l’altro, (“Come deve chiamarlo? Oste? Oste si scrive ma non si dice.”) è sfacciatamente infido; lei è un po’ problematica.

Fissa il proprio uomo:È il primo sguardo che gli rivolge oggi in cui ci sia più ammirazione che disprezzo.” Eppure lo ama, almeno crede di amarlo.

È un periodo strano. È un’età strana, la loro. Non hanno più trent’anni e non ne hanno ancora quaranta. Devono fare attenzione a non allontanarsi l’una dall’altro, presi ciascuno dalla propria vita.”

Lo sta pensando quindi lei:L’una dall’altro”.

Con nessuno dei tre trascorrerei volentieri una serata.

Dovendo sceglierne uno: lei… quella che mi pare meno negativa.

Torno indietro, nel non racconto. Del resto c’è poco da narrare: lui, lei e l’oste stanno comportandosi ognuno secondo il suo ruolo, in cui intuisco la finzione recitativa.

Anche da parte di lei? È presto per dirlo.

Lui recita la parte del marito dû ed còp in rifiùt, quando è briscola spade. Ma sarà davvero così? Lei è animosa a prescindere (sia nel rapporto emozionale, che in quello fisico), sempre pronta a reagire e a bisticciare, se serve.

L’oste, fin troppo visibilmente, sta cercando di accalappiare i clienti nel suo esercizio, che non è di certo il più frequentato della costiera. Non si sa nemmeno quale, del Sud mi pare. Intuisco in Campania.

Ognuno si esprime secondo il suo carattere: quella che mi pare la più ingenua (e forse perciò la meno finta) è lei.

Ma al momento sono soltanto vaghe intuizioni.

A un certo punto, i due avevano fatto un’inversione a U, di quelle che subiscono le attrazioni del Fato, e parcheggiano nei pressi di un barettino, che meno appariscente non si può, sprovvisto, per quel che pare a prima vista, anche di un parcheggio. E mai avrebbero immaginato che…

All’oste non sembra vero che ci siano due polli da spennare…

Dopo anni di turismo esistenziale sono arrivato a questa deduzione: di regola, il pubblico esercizio che sta in centro, è caro, ma non ti riserva sorprese. I suoi prezzi sono per lo più indicati in una tabella affissa alla parete. Ti siedi o vai al banco. E consumi. Poi te ne vai.

Chi posso servire ora?

Quelli che sono dislocati lontani dalla massa, e quindi non affollati, permettono al gestore, che in genere si giova, si fa per dire, di entrate risicate, di gestire il cliente. E qui occorre che quest’ultimo stia accorto.

C’è chi teorizza che se si è in un luogo lontano dalla patria bisogna dissimulare la provenienza, cercando di non lasciarsi andare al proprio accento dialettale. Bisogna domandare il prezzo (anche se talvolta riesce imbarazzante) e controllare l’eventuale esistenza di tabelle.

Tutto questo io non lo faccio mai e sono facile preda di eventuali marpioni.

I due turisti sono entrati per fare una sosta e per sorbire il caffè.

Poi succedono tante piccole cose, che sono mirate a diversi scopi: bere il caffè da parte dei due, riempirli di vivande anche poco gustose da parte dell’oste, all’unico scopo di rapinarli (commercialmente).

Quel che mi stupisce è l’arrendevolezza dell’uomo nel primo, e per lungo tempo unico, fatto importante, quando l’oste gli chiede la chiave dell’auto per parcheggiare ad hoc sul retro del cortile. La cosa è davvero strana: l’uomo è gelosissimo del suo veicolo (fiammante, esagerato, costoso, non parco nei consumi, anzi, tutt’altro). Eppure si arrende quasi subito: è come se in quel momento del gioco, non avesse scelta. Un po’ come quando a tressette non è ammesso il rifiuto della carta analoga.

Altra stranezza: il caffè tarda ad arrivare, ma nel frattempo l’oste serve cibo non richiesto, disdegnato da lui, mangiucchiato distrattamente da lei.

Il tono dell’oste è untuoso e sfacciato al contempo, come se richiedesse una loro complicità che non ha alcun senso. E intanto continua a portar loro della robaccia dozzinale.

A questa scena si alternano descrizioni di ricordi delle unioni sessuali fra i due, avvenuti poco o tanto tempo fa, non pare che la distinzione conti. Lei è più interessata all’aspetto erotico di quanto lo sia lui. Lui è funzionale al di lei desiderio, nulla di più. Riesce ad essere gentile, ma mai appassionato. Lei lo vorrebbe più animalesco. Ma non c’è niente da fare. Lui è così, freddo, ma non troppo: è sempre a temperatura ambiente.

Ma le cose, da quel punto di vista, almeno per tre anni sono andate a meraviglia.

Quando ha smesso di essere così” – domanda che si pone lei, non lui.

Quando arriva il conto i due scoprono che i loro sospetti sono fondati: la cifra è assurda.

Qui comincia la disfida fra l’uomo e l’oste.

Nella lista, scritta su un foglietto basta che sia, c’è il coperto (“in certi locali in centro sono anche più cari”), gli antipasti (“per quei due peperoni di merda…”), il pane (“che evidentemente qui non fa parte del coperto”), acqua (“magari era quella del rubinetto”), due desert (“con una esse sola”) “e finalmente i nostri due caffè”. Un pranzetto decisamente non luculliano.

Totale sessantaquattro euro, ma l’ha arrotondato a sessanta.”

Aldo Costa
Aldo Costa

Qui l’agone agonizza un po’, quando l’oste riceve la richiesta (assurda!) della ricevuta fiscale.

Non era pronto a tanta ferocia.

Ma poi gliela porta, la ricevuta numero due del mese, e l’importo è ora lievitato a “sessantotto e cinquanta”.

Prezzo onesto, si fa sempre per dire, anche se non si capisce “quale aliquota d’Iva abbia applicato”.

Il carosello da dialettico (anche se sarebbe meglio dire retorico) diventa illogico, Altro.

E soprattutto si gioca Altrove.

Quando lei, resa ansiosa dall’assenza prolungata del compagno, lo raggiunge, lui è in piedi, attonito e l’unica cosa che lei riesce a capire con chiarezza è quando lui dice: “È un casino adesso”.

Per risolvere il quale non si sa proprio che fare.

Lui ha una missione. Cercare la chiave dove forse è, in un luogo ormai forse irraggiungibile. Ma deve provarci, per cui lascia la sua donna sul posto, avventurandosi in quell’Altrove sempre più tale.

Durante la sua ricerca lei spia nel cellulare di lui. E si accorge che… qualcosa non quadra.

Quando, dopo miserevoli situazioni, i due si incontrano di nuovo, lei lo provoca, fingendo di sapere quel che ancora ignora, fino a farlo confessare una grossa bugia e un’assurda infedeltà.

Lei, che l’amava, ora lo odia. Lui cerca di salvare capra e cavoli (rapporto di coppia e salvezza personale).

Lei non ci sta.

Gli farà pagare per i suoi errori.

Ci sono parole apparentemente innocenti, ma che celano delle insidie.

Quando lui le aveva detto che aveva pregato l’oste “di darci le chiavi della macchina”, lei obietta:Darci?”, per cui lui si corregge prontamente: “Darmi”.

Lui le aveva mentito su un aspetto della loro vita privata, e le disse che “per il momento sarebbe stato bello non dare un nome alla loro unione”.

Lei pensa, con adirata pena: “… non giusto, coerente o corretto, ma bello…”

Il pensiero più interessante di lei (l’unica che pensa veramente fra i due, che si pone cioè interrogativi esistenziali, non soltanto operativi) riguarda non il tempo, ma il suo ricordo. Quel che è accaduto anche solo un’ora prima richiede il passato remoto. Di acqua ne è passata tanta, sotto i ponti della sua anima.

E può ancora pensare alla bellezza dell’eros vissuto con lui, quest’uomo così bello e opportuno, mai fuori dalle righe, mai decontestualizzato, ogni volta funzionale a uno fine pratico, tipo canticchiare rimirando il sesso di lei. Ci fu (o forse sarebbe meglio dire che fu stato) un momento di gioia, di comunicazione fisica e mentale fra i due, in cui tanto comunicavano, non dico troppo, ma quasi). Quando ci fu stato, lei fu felice.

Lui sta scrivendo mentalmente il copione della sua difesa da recitarsi davanti a chi indagherà su quanto successo.

Non serve più, lei non lo aiuterà.

Lei non gli perdona più nulla.

A lui non resta che attendere la condanna definitiva: “… può soltanto subirla e sperare che non venga chiesta la pena di morte.”

Il romanzo narra della finzione sociale, quando è ricoperta da una coltre di non verità. Il linguaggio dei due uomini, sia verbale che non verbale, è sempre teso a dissimulare la realtà.

A sottacere quello che non serve ai loro scopi.

Nemmeno il loro silenzio è sincero: in esso subdolamente si macera ogni loro tattica futura.

La donna è spontanea e franca, dice quel che pensa. È da assolvere anche quando dice piccole bugie, perché non danneggiano nessuno.

Al lettore, invece, cosa resta?

Si tratta di una scrittura molto descrittiva e in parte minimalistica. Lo scrittore dice tanto, ma meno di quello che serve a soddisfare la curiosità di chi legge.

I due personaggi maschili non lasciano trapelare alcunché della loro anima, tanto che può sorgere il sospetto che non ce l’abbiano. In realtà la sanno nascondere molto bene. Sono due disonesti intellettualmente e, nel caso dell’oste, anche commercialmente.

Lei non è affatto minimalista, anzi, mi pare di averla conosciuta da sempre.

Vi è amarezza in me, dopo che ho compreso (e condiviso) la sua solitudine. Non meritava questa malefica sorte.

I due uomini sì, anzi, poteva andare loro peggio (all’oste, forse no: ha centrato il suo Destino; meglio: il Destino ha centrato lui).

Non importa che fine faccia l’uomo, non è questione che m’appassioni.

E di lei, che rimane?

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Aldo Costa, Una giornata neraMarsilio, 2020

 

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