“Tarocchi magici e cavallereschi” di Marcello Simoni: la vera storia di Rolando
Scrive Cesare Segre che molte delle chansons de geste medievali sono andate perdute nell’oblio dei secoli. La più antica tra quelle conservate è quella di Orlando – Rolando in francese – che ha goduto di un’enorme fortuna fino al ‘500 quando – rielaborata a più riprese – viene consacrata da un capolavoro: l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
Proprio l’epopea di Orlando è l’ossatura portante di Tarocchi magici e cavallereschi (Add Editore, 2019, pp. 160), godibile romanzo di Marcello Simoni, autore emiliano che dopo la laurea ha lavorato come archeologo e bibliotecario, oltre ad aver scritto vari saggi storici, soprattutto incentrati sul Medioevo. Ed eccoci quindi al fulcro della sua opera, corredata dalle illustrazioni di Gabriele Pino che dialogano armoniosamente con il testo.
Una biblioteca – habitat di Simoni – e il Medioevo – il suo terreno prediletto –; ecco gli ingredienti che ci introducono al cuore di Tarocchi magici e cavallereschi, sottotitolato La vera storia di Rolando.
Perché infatti Rolando è il protagonista del romanzo e la sua figura ci viene restituita non solo direttamente, attraverso la narrazione delle sue gesta, ma anche in obliquo, grazie al racconto di chi lo ha conosciuto.
L’io narrante, nel quale non è arduo scorgere Simoni stesso, sta vagando dentro una biblioteca quando viene attratto dal suono di un dondolio. Con immenso stupore nota un vecchio in sella a un cavallo a dondolo.
Egli si qualifica come Turpino, arcivescovo di Reims, autore della Historia Karoli et Rotholandi e protagonista della guerra combattuta dall’Imperatore franco contro i Mori di Spagna.
Attraverso un gioco di tarocchi, Turpino ripercorre le tappe della vicenda del paladino carolingio. Liberata la città di Pamplona, porta della penisola iberica, Carlo sta per fare ritorno in Gallia quando il re africano Agolante riconquista quella terra. Almonte, figlio del sovrano, uccide in battaglia il padre di Rolando, il quale, in sella al corsiero Vegliantino, vendica il genitore.
Grazie alla fierezza dell’esercito carolingio Pamplona viene riconquistata, dopodiché viene liberata anche Cordova mentre Rolando è assente – si dice sia partito per l’Oriente in cerca di avventure. In seguito al tradimento di Gano, Carlo è costretto ad armare una nuova spedizione e pone Rolando, ritornato, alla retroguardia del suo esercito ma a Roncisvalle si consuma la disfatta dei Franchi.
Qui si interrompe il racconto di Turpino mentre appare un altro spettro, quello di Angelica. Proprio quando la vicenda sta volgendo al termine arriva il colpo di scena, il tocco magistrale di Simoni che scompiglia le carte – in questo caso sarebbe bene dire “i tarocchi” – in tavola.
Nell’atmosfera sospesa e rarefatta della biblioteca si susseguono apparizioni di fantasmi che danno voce, carne e sangue agli antichi eroi del ciclo carolingio. Turpino è il primo di essi; egli viene presentato come un vegliardo canuto e stizzoso, pazzamente “innamorato” del suo sovrano e, quasi un don Chisciotte ante litteram, armato in modo improbabile.
La dimensione ludica è la cornice in cui si inscrive l’intreccio. Attraverso l’escamotage del gioco dei tarocchi, Simoni ci propone un turbinio di personaggi potentemente caratterizzati che ci riportano a un Medioevo segnato da violenza ma anche da imprese mirabolanti.
Carlo Magno è l’Imperator pio e saggio, incarnazione terrena della divinità e come tale venerato.
Rolando è il paladino prode e indomito. Da ragazzino scapestrato, evolve in un giovane uomo animato da un radicato senso cavalleresco.
“Rotholandus non fu certo uno di quegli eroi tutto muscoli e niente cervello che vanno tanto di moda in questi tempi d’imbecilli. Oltre a essere di scorza robustissima, maestro di spada e insuperabile cavaliere, era saggio. Saggio come soltanto un prode può essere: pieno di pietà, di virtù teologali e di scienza strategica. Come un santo guerriero.”
Agolante è l’homo niger, il sarracinus; il colore della sua pelle ha un valore simbolico in quanto incarna una delle paure più diffuse nel Medioevo. E poi troviamo Ferraù, il gigante dalle braccia vigorose; Gano, il vile traditore; Angelica, la donna dal volto di luna per amore della quale Rolando esce dalla dimensione umana e, punto da angoscia e gelosia, entra in un folle stato bestiale.
L’artificio del gioco scelto da Simoni conferisce leggerezza e brio a un tema di per sé impegnativo; d’altra parte “leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto” scrive Italo Calvino il quale è uno dei fantasmi che si materializzano nella biblioteca in virtù della sua profonda conoscenza del Furioso.
Istrionica, pirotecnica, ricca di vis ironica, la prosa di Simoni non è appunto superficiale. Dietro tale leggerezza egli mette in campo la sua erudizione in materia di Medioevo, la quale risulta vivacizzata, viva e vitale, tutt’altro che relegata in qualche libro polveroso.
Due sono i registri linguistici usati da Simoni; essi si attagliano perfettamente ai personaggi che di volta in volta prendono la parola. Turpino e gli altri fantasmi si esprimono con un linguaggio forbito, esemplato sull’eloquio solenne dei cronisti antichi ma non esente da espressioni colorite; sermo vulgaris viene invece definita la parlata dell’io narrante, pungente, gergale e colloquiale.
Nel corpo della prosa sono frequenti frasi in latino e citazioni di Boiardo, Ariosto e della Chanson de Roland ma sempre in un contesto arioso.
La dimensione onirica induce un effetto di straniamento nel lettore che si trova a percepire due piani narrativi: il corpo principale della narrazione e, innestata su di essa, la memoria di un tempo glorioso.
Written by Tiziana Topa