“L’equivoco del nome” di Pasquale Stoppelli: rime incerte fra Dante Alighieri e Dante da Maiano

“Non bisogna dimenticare che obbligo primario del filologo è di farsi garante presso il lettore della legittimità del testo.” – Pasquale Stoppelli

L’equivoco del nome di Pasquale Stoppelli
L’equivoco del nome di Pasquale Stoppelli

Dante da Maiano visse nella seconda metà del ‘200 e fu un esponente della poesia siculo-toscana; i componimenti in volgare italiano a lui attribuiti sono raccolti nella “Giuntina di rime antiche”, una stampa cinquecentesca edita col titolo originale “Sonetti e canzoni di diversi autori toscani in dieci libri raccolte”, stampata a Firenze nel 1527.

Questo autore ebbe numerosi contatti con Dante Alighieri in una tenzone poetica il cui componimento va collocato nel periodo immediatamente precedente alla pubblicazione del Vita Nuova”, opera attribuita con certezza a Dante Alighieri e che si stima composta fra il 1292 ed il 1294.

Una serie di rime e sonetti di incerta attribuzione fra Dante da Maiano e Dante Alighieri separa, in alcuni casi con forti contrasti accademici, l’opinione di critici dell’opera dantesca e i filologi.

Il professor Pasquale Stoppelli, docente di filologia italiana presso l’Università La Sapienza di Roma, ha raccolto sei brevi saggi (già pubblicati singolarmente tra il 2013 ed il 2019) nel libro “L’equivoco del nome, rime incerte fra Dante Alighieri e Dante da Maiano”, edito dalla Salerno Editrice nella collana “Quaderni della Rivista di Studi Danteschi” diretta da Enrico Malato e Andrea Mazzucchi.

“Un principio elementare della ricerca esigerebbe che la riproduzione di un’ipotesi già confutata passasse per l’invalidamento di quella che ha presunto di confutarla. Nella ricerca filologica può accadere invece che si taccia su ciò che non si riesce a contraddire, concedendo l’onere della citazione a un lavoro che si considera scomodo solo su questioni del tutto marginali.” – Pasquale Stoppelli

Il professor Stoppelli mette da subito in evidenza quanto il dissenso tra gli studiosi di filologia sia un fatto fisiologico della stessa ricerca e come non tutti gli studiosi si assumono la responsabilità di prendere una posizione, di svolgere ulteriori ricerche, di riprendere in mano i testi alla ricerca di indizi. Molti hanno preferito sposare un filone e limitarsi alla citazione di studi precedenti mettendosi in posizione accademicamente neutrale.

“Lavarsene le mani è finanche apprezzato come atteggiamento equilibrato […] sarebbe oneroso e forse anche compromettente valutare la pertinenza dei dati esibiti e la loro economia scientifica […]. La capacità di argomentare o controargomentare dovrebbe per altro essere una competenza primaria di chi esercita il mestiere del filologo.” – Pasquale Stoppelli

Il professor Stoppelli lamenta nella sua premessa come seguendo questo approccio basato sulla critica della critica alle citazioni di citazioni, il problema della collocazione delle rime fra Dante Alighieri e Dante da Maiano rimanga irrisolta, a causa di tesi basate unicamente su “paradigmi critici sofisticati” e a ipotesi interpretative che portano irrimediabilmente a risultati fallaci.

Nei sei capitoli del libro, il professor Stoppelli riparte dalla necessità di un approccio metodologico del filologo e di come si debba affrontare a strettissimo contatto col testo l’approccio col testo originale.

Pasquale Stoppelli
Pasquale Stoppelli

Il primo capitolo è una vera e propria lezione sulla metodologia filologica, dalla quale il lettore potrà estrarre “se non delle regole, almeno dei suggerimenti che valgano di indirizzo per chi si trovi ad affrontare una questione attributiva” come spiega egli stesso rifacendosi anche alle proposte metodologiche di Roberto Longhi e, retrocedendo nel tempo, del Contini.

Chiarita la metodologia utilizzata, nei capitoli successivi si prosegue e si completa l’analisi già pubblicata in “Dante e la paternità del Fiore”, facente parte della stessa collana e ripresa nel capitolo sulle Opere dantesche di dubbia attribuzione.

Con un metodo di indagine razionale e distaccato dall’emotività e dalle ideologie, sulla base di riscontri stilistici stringenti, nella prima parte di queste ricerche si ipotizzava che a scrivere il Fiore e il Detto d’Amore potesse essere stato Dante da Maiano e non Dante Alighieri.

Si passa così gradualmente sempre più nello specifico, con l’analisi delle rime contenute nelle Giuntine di rime antiche, in particolare i due sonetti della tenzone del Duol d’amore.Qual che voi siate, amico” e “Non canoscendo, amico”, evidenziano per il professor Stoppelli uno stile troppo riconducibile a Dante da Maiano per non far sorgere il sospetto che siano una falsificazione di quest’ultimo al fine di accreditare sé stesso come corrispondente di Dante Alighieri.

“Sacciate ben (ch’io mi conosco alquanto)/ che di saver ver voi ho men d’un moco,/ né per via saggia come voi non voco,/ così parete saggio in ciascun canto. – Dante Alighieri a Dante da Maiano, “Qual che voi siate, amico”

 

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