“Vita nuova” di Dante Alighieri: Io e Autore sono sinonimi

Il protagonista di quest’opera immensa, in cui il numero di pagine è mirabilmente ridotto, è un io narrante. Il mondo è visto attraverso quell’io.

Vita Nuova - Dante Alighieri
Vita Nuova – Dante Alighieri

Io e Autore sono sinonimi.

La prima sua finalità (seguita da altre più metafisiche) è di entrare in contatto, anche solo visivo, con l’Amata, già scelta tra le tante possibile, e per Sempre. Quando questo accade, il semplice mirarla gli ottunde ogni altro senso.

E quando ella fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito d’amore, distruggendo tutti li altri spiriti sensitivi, pingea fuori li deboletti spiriti del viso…

Per giungere a lei, l’io non esita ad utilizzare altre figure femminili, un paio di donne dello specchio, che svolgono una funzione tattica, col fine di scuotere una certa indifferenza da parte dell’Amata.

Amata e Amore assai presto si fondono, alchimisticamente, in UNO.

Estrapolo:Dico che quando ella apparia da parte alcuna, per la speranza della mirabile salute nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m’avesse offeso; e chi allora ‘avesse dimenticato di cosa alcuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente ‘Amore’ con viso vestito d’umilitade.”

Cito ora una poesia:

Cavalcando l’altr’ier per un cammino,

pensoso de l’andar che mi sgradia,

trovai Amore in mezzo de la via

in abito leggier di peregrino.

Ne la sembianza mi parea meschino,

come avesse perduto segnoria,

e sospirando pensoso venia,

per non veder la gente, a capo chino.

Quando mi vide, mi chiamò per nome,

e disse: ‘Io vegno di lontana parte,

ov’era lo tuo cuore per mio volere;

e recolo a servir novo piacere’.

Allora presi di lui sì gran parte,

ch’eli disparve e non m’accordi come.”

La poesia è assai descrittiva, adornata com’è di similitudini e di commenti psicologici, rispetto alla prosa, che appare più secca.

Non si notano però grandi differenze nel tono e nell’anima dell’io narrante, che rimane fatalmente immerso nel suo proprio pathos.

Esprimerlo, senza mezze misure, diventa la sua necessità cogente.

Vi sono dei personaggi indicati molto sommariamente, ma due vengono nominati: una certa Giovanna, che “è da quello Giovanni lo quale precedette la verace luce”, detta Monna Vanna, ma anche Primavera, per quanto è bella; e, ovviamente, Beatrice (Monna Bea), detta Amore, per quanto è simile a quel magnifico e imprevedibile Dio del Sentimento, il quale è “come se fosse una cosa per sé, e non solamente sustanzia intelligente, ma sì come fosse sustanzia corporale”: egli, infatti, viene, ride e parla, “e però che io ponga lui essere uomo.”

Nel XXVI capitolo, la poesia che inizia con:

Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand’ella altrui saluta

ch’ogne lingua deven tremando muta

e li occhi non li ardiscono di guardare

è talmente imprevista, anche se, paradossalmente, a lungo aspettata, che sono rimasto attonito per la sua bellezza, che mi sono chiesto se essa mi pare così superiore alle rime precedenti, solo perché sono decine d’anni che la conosco, tanto che essa è diventata proverbiale. Oppure no? Forse essa è stupefacente perché ogni tanto capita a un poeta ancor giovane di creare meraviglie improvvise e quasi soprannaturali? Non capitò lo stesso a Mozart, Masaccio e Raffaello?

Beatrice incontra Dante - Painting by Dante Gabriel Rossetti - 1855
Beatrice incontra Dante – Painting by Dante Gabriel Rossetti – 1855

Il testo in prosa è quasi ad ogni capitolo interrotto, adornato e completato da poesie scritte ad hoc, che sono ad esso congiunte e, al contempo, staccate, ma per nulla avulse.

Il linguaggio, che pare grezzo, si riferisce a immagini e a pezzi di locuzioni ricavate da testi altrui, abilmente interpolati e inseriti nel discorso dall’io narrante. Il gioco, perché tale appare, vale sia per la prosa che per la poesia; e sia per il passato che, magicamente, per il futuro.

Infatti, ho questa impressione quando leggo che alcuni versi di quest’Autore ricalcano quelli del successivo Petrarca (in ossequio al detto borgesiano che “Ogni autore crea i suoi predecessori”): in tutti i casi egli non cita mai la fonte, ma si limita a utilizzare i più disparati materiali per realizzare i suoi altissimi scopi.

Si tratta di un giovane (e un po’ in erba) architetto che sta tentando di erigere un Luogo Sacro, una Cattedrale dedicato al suo .

Le trentuno poesie sono, a parte un paio, divise in sezioni, ognuna delle quali è delimitata e commentata dall’Autore, dapprima a posteriori, poi a priori, all’interno del racconto, per illuminare il lettore sulle varie funzioni e significati. Alcune di esse non sono divise dall’Autore, perché formano, a suo dire, un tutt’uno in sé.

Generalmente il commento conduce alla poesia, mentre, in altri casi, più rari, è il contrario. La poesia è resa necessaria dal suo commento, anche se essa gli è, logicamente, anteriore. L’Autore la scrisse. L’io narrante ora la giustifica, come una particella di antimateria che inverte il senso temporale. Quando i due eventi si incontrano, si annichilano, producendo l’energia necessaria per giungere al capitolo successivo.

Fra le due diverse forme letterarie, non si notano dissonanze, nel tono e nel contenuto, ma è conclamata la discontinuità necessaria fra i due generi.

La prosa sembra sapere della poesia in modo patente, mentre la poesia pare aver coscienza della prosa in modo subliminale. Si tratta di vere interazioni, mirate a riprodurre un senso generale, che riportano ogni volta al discorso principale: l’Amore (che cresce ad ogni pagina, fino a diventare pressoché Infinito) verso quella Creatura Angelicata.

Il commento ristabilisce però la gerarchia: l’io narrante definisce l’io poetico, mai il contrario. La ricerca della Donna Ideale si basa sul Nulla Eterno e Divino, pur essendo, inizialmente, mera necessità umana.

La donna ideale è personificazione della virtù umana, una Virtù che assurge a Divinità.

L’Amore non è tanto un sentimento o una passione, bensì persona viva, accidente sostanziato, un personaggio, un alleato, che a volte causa sofferenza, oppure, talvolta, è un opposto, con cui trattare, ovvero un ambiguo viandante: “… lo dolcissimo signore, lo quale mi signoreggiava per la virtù della gentilissima donna, nella mia imaginazione apparve come peregrino leggermente vestito e di vili drappi.”.

La ricerca svolta dall’io è perigliosa, in un irrimediabile sturm und drang emotivo. L’ambiente fisico è ininfluente alla vicenda narrata, tanto che non sembra neppure esistere.

La scrittura è mirata a descrivere con nudità il sentimento dell’io narrante e gli accadimenti che egli vive in funzione delle sue mire amorose e pie.

La lingua utilizzata è dura, in fieri, sempre forte e icastica, capace, come ho detto, di utilizzare termini provenienti da varie parti d’Italia e da differenti autori, imitati scientemente anche se, apparentemente, alla rinfusa. Tutto quanto è stato prodotto in precedenza è ora materiale edile. Lo scopo dell’Autore è stato, fin dall’inizio, quello di costruire un monumento omogeneo, utilizzando tutto quello che ha trovato nella sua ricerca letteraria. Lo stile usato non è così dolce, ma è sicuramente nuovo.

Dante Alighieri - Painting by Sandro Botticelli, 1495
Dante Alighieri – Painting by Sandro Botticelli, 1495

Tre sono i momenti logici del racconto: nella prima l’io riceve il saluto della sua bella; nella seconda tale felicità gli viene negata; nella terza l’Amata muore; dopo di cui, dapprima l’io sente, con sorpresa, la malia da parte di una novella donna gentile, ma subito da essa fugge, scongiurando l’immondo peccato di non amare più, in maniera assoluta, Colei che condurrà l’io a Dio.

Nel XLII e ultimo capitolo, al suddetto io appare “una mirabile visione”:

ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei.”

Sarà “colui che è sire de la cortesia” a consentirgli di “vedere la gloria de la sua donna”, come viatico alla visione di Dio, cioè “di colui qui est per omnia secula benedictus”.

Anche in quest’ultimo passo, l’Autore (uomo nato in Italia nella seconda metà del XIII secolo) imita sfacciatamente un poeta aretino del XIV secolo[1], il quale utilizzerà in modo speculare la vita e la morte della propria amata musa, all’unico e sublime fine di approdare all’agognata conoscenza dell’Ultima Verità.

 

Written by Stefano Pioli

 

Note

[1] Paradosso Borgesiano: “[…] ogni scrittore crea i suoi precursori” cit. “Altre inquisizioni”, capitolo su “Kafka e i suoi predecessori”

 

Bibliografia

Dante Alighieri, Vita Nuova, Biblioteca Universale Rizzoli, 1984

 

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