Il Compasso da Navigare #0: un portolano anonimo del Mediterraneo risalente alla metà del 1200
“Il Compasso da Navigare attende ancora l’opera benefica e proficua di un volenteroso, il quale ponga in luce tutto l’oro che ivi si cela, sotto la scoria degli errori di nomenclatura, onde l’ebbe ottenebrato il copista.” – Cornelio Desimoni, 1867
Un portolano, da portus-porto, è un manuale pratico per la navigazione costiera basato sull’esperienza e sull’osservazione, in cui il navigatore può trovare le informazioni principali relative alla zona in cui naviga o in cui intende pianificare la rotta della sua nave.
I portolani di più antica datazione derivano dai peripli di origine greca e latina: in epoca classica, la navigazione veniva effettuata servendosi oltre che dell’esperienza dei gubernator (in greco κυβερνήτες – Kybernetes, nocchiero), di libri che descrivevano la costa, non necessariamente destinati alla nautica, ma più spesso consistenti in resoconti di precedenti viaggi.
A differenza delle carte nautiche, di cui non si hanno tracce in epoca greca e romana coi peripli e successivamente i portolani si avvalgono di una tradizione ininterrotta e sostanzialmente immutata sino ai nostri giorni, derivante da secoli di utilizzo ed esperienza.
Il più antico testo a carattere portolanico conosciuto del Mar Mediterraneo è il Periplo di Scilace di Carianda (in greco Σκύλαξ, Skýlax) risalente alla metà del VI secolo a.C. e pervenutoci in copie medievali.
Le prime stesure dei portolani veri e propri risalgono invece al XIII secolo, inizialmente nella penisola italiana e successivamente nella Penisola Iberica.
Il medievalista Bacchisio Raimondo Motzo (Bolotana, 6 marzo 1883 – Napoli, 14 giugno 1970) nel 1939 fece risalire alla metà del Duecento, sulla base di un attento confronto filologico fra quattro diverse edizioni dello stesso, il portolano di cui trattiamo in questo articolo: Il Compasso da Navigare.
Si tratta di un’opera italiana composta fra il 1250 e il 1265 in due parti che si completavano a vicenda: il portolano, ovvero la guida scritta con le istruzioni per navigare nel Mar Mediterraneo, e la grande carta nautica del Mediterraneo, con la rappresentazione delle coste.
“L’importanza dell’opera si presentò a me ben diversa, quando, ritrovato un manoscritto dell’opera dell’Uzzano assai migliore[1] e persuasomi dell’interesse del testo del Compasso, mi accinsi a compiere il lavoro che il Desimoni aveva auspicato. Messomi alla trascrizione del manoscritto, subito mi si rivelò che il Compasso non era opera originale dell’Uzzano, il quale non fu in questa parte se non un semplice amanuense, ma era piuttosto il rimaneggiamento di un’opera anteriore al 1300, che meritava di essere rintracciata e ricostituita.” – Bacchisio Raimondo Motzo, 1939
Gli studi compiuti dal professor Motzo erano pronti per la stampa nel 1939, ma a causa degli avvenimenti bellici l’importante opera del filologo sardo vide la luce solo nel 1947, quando fu pubblicata negli Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari.
Il professor Motzo partì dal ritrovamento presso la biblioteca Guillot di Alghero di un manoscritto attribuibile al gruppo dei portolani scritti da Giovanni da Uzzano e riconducibili a una scuola amanuense del XIII secolo dedita a Porto Pisano alla copia dei portolani e delle carte nautiche.
L’opera del professor Motzo andò ben oltre la trascrizione e pubblicazione del manoscritto che fu ritenuto preziosissimo dal Desimoni nella seconda metà del 1800 per la mole dei dati contenuti e per la sua originalità.
La pubblicazione del manoscritto è stata accompagnata da una dettagliata introduzione nella quale è stata affrontata la questione relativa all’origine e all’evoluzione dei portolani e delle carte nautiche, le quali come anticipato si completavano a vicenda durante la navigazione.
Il professor Motzo annunciava inoltre l’intenzione di curare la riedizione di altri tre portolani derivanti dal Compasso da Navigare nell’intento di creare un “corpus” che evidenziasse il contributo fornito dall’Italia nella costruzione del sapere geografico e nautico e alla storia della navigazione.
Si riferiva in particolare al codice Grazia Pauli della fine del XIV secolo, al codice Carlo di Primerano della metà del XV secolo e al codice di Giovanni da Uzzano della metà del XV secolo, i quali si trovano custoditi nella Biblioteca Nazionale e in quella Riccardiana di Firenze, nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e nella Österreichische Nationalbibliothek – Austrian National Library.
Successivamente, nel 1985, la dottoressa Ornella Bazurro pubblicò un portolano genovese della metà del XVI sec, destinato alla flotta da guerra dei Doria e scritto da Gerolamo Azurri; questo portolano si rifà ampiamente al Compasso da Navigare dell’Uzzano, con ampie annotazioni, correzioni e aggiornamenti dell’Azurri che lo riadattarono alle esigenze delle navi militari. Scomparirono molti porti commerciali e annotazioni utili ai mercanti, in favore di ridossi, nascondigli, traversate e rotte.
L’avanzare dell’età impedì al professor Motzo di portare a compimento la sua opera, che si interruppe con la trascrizione di tre dei sopra citati manoscritti, i quali derivano tutti dal Codice Hamilton 396:
“Ma poi ecco un manoscritto con la data 1296 che ci porta al secolo XIII. È il manoscritto italiano 396, ora nella Biblioteca dello Stato Prussiano di Berlino. Scritto su buona pergamena, misura cm 21×14 […] Due lunghi segni di richiamo al principio del f.14, descrizione di Porto Pisano, e al principio del f.15, descrizione di Monte Argentario con Porto Ercole e Porto S. Stefano, riconnettono questo manoscritto alla Toscana. Al pari della più antica carta nautica a noi giunta, che viene detta Pisana perché già in possesso d’una famiglia di Pisa[2], il ms. Hamilton 396 fu posseduto da navigatori che avevano in Porto Pisano e nelle coste toscane il loro centro di interessi. La scrittura è una gotica libraria della fine del secolo XIII […]” – Bacchisio Raimondo Motzo
Si può dire ancora qualcosa in più sul Codice Hamilton 396, questo portolano fu proprietà di mercanti toscani e fu copiato da un amanuense, il libro comincia infatti in latino:
“In nomine domini nostri Ihesu Christi Amen.
Incipit Liber Compassum
M CC L XXXX VI de mense januarii fuit inceptum opus istuid.[3]” – Anonimo
E termina anche in latino:
“Explicit liber portuum totius maris in quo potest navigari.
Deo gratias Amen.
Qui scripsit scribat semper cum domino vivat[4]” – Anonimo
Risulta invece notevole la differenza linguistica e stilistica con il reale autore dell’opera, un nocchiero esperto che scriveva in lingua sabir, una lingua franca utilizzata nella marineria mediterranea dell’epoca parlata da navigatori e mercanti ispanofoni e da italofoni, la quale si sviluppò al di là della zona di contatto fra il portoghese e l’arabo e attraversò un processo di ispanizzazione o di italianizzazione, a seconda dei porti dove era parlata:
“Lo Compasso de Navegare
Aesto si è lo Compasso e la starea de la terra, si como se reguarda, en quante millara per estarea. En primieramente da lo capo de San Vincenzo a venire de ver Espagna ver levante.” – Anonimo
Questo anonimo autore, attingendo a fonti portolaniche più antiche, avvia la descrizione delle coste da Capo San Vincenzo in Portogallo, descrive Gibilterra, e poi le coste mediterranee della Spagna, Francia, Italia, Penisola Balcanica, Grecia, sino a Costantinopoli. Viene saltata la descrizione del Mar Nero e si riprende con le coste dell’Anatolia, Siria, Palestina, e infine dell’Africa settentrionale sino alla costa atlantica del Marocco, terminando a Saffi.
“E a Safin finisce la terra, che da qui innanzi non si truova terra.” – Anonimo
Segue la descrizione delle coste delle isole maggiori del Mediterraneo: le isole Baleari, la Sardegna, la Corsica, la Sicilia, Malta, Creta, Cipro. In questa ultima isola l’autore del manoscritto ha segnato il termine della sua opera:
“Ora è complito lo libro che se clama Compasso da Navegare, zoè per estarea de tucta la terra entorno lo mare, e tucte le isole de la pelago e tucte l’isole de mare e granne e peticte.” – Anonimo
Come si può notare, il Compasso nella sua redazione originaria non comprendeva il Mare Maggiore di Romania (il Mar Nero). La redazione di questo tratto costiero fu aggiunta successivamente, ma secondo il professor Motzo non molti anni dopo la prima redazione e probabilmente si tratta di una aggiunta databile anch’essa al XIII secolo. Il copista continua infatti la sua opera di trascrizione:
“Ecqui ennanti parlarà e devizarà de lo Mare Maiore de Romania.” – Anonimo
Infine questo testo aggiuntivo si conclude con la frase:
“Qua è complito de volgere tucto intorno lo Mare Maiore da levante e da ponente, cioè lo Mare Maiore de Romania, dentro a Costantinopoli”. – Anonimo
Il professor Motzo, analizzando la toponomastica e la storiografia delle coste del Mediterraneo, ha potuto stimare la prima composizione del Compasso attorno al 1250, anno della morte di Federico II.
“De lo dicto grado de Lacte [Grau de Lattes] en Aque Morte XX millara entre levante e greco. Acque morte è porto con fondo plano lontano de terra meczo millaro […]” – Anonimo
Nel 1226, a seguito del Trattato di Parigi, il Conte di Tolosa cedette la sovranità delle coste della Linguadoca al re di Francia Luigi IX, il quale scelse proprio Aigues Mortes ed il suo porto come punto di partenza per le crociate del 1248 e del 1270. La menzione di questo porto viene segnalata dal professor Motzo come termine post quem per la composizione del testo del Compasso, per quanto ritengo ben possibile che Aigues Mortes fosse già frequentato come porto naturale ben prima delle opere di Luigi IX.
Di maggiore ausilio per la datazione dell’opera sembra invece il passo riguardante il porto di Brindisi:
“La bocca del porto de Brandiczo dentro dall’isola stae a greco et a garbino.” – Anonimo
Chi è avvezzo a navigare nel basso Adriatico ben conosce l’esistenza del porto interno di Brindisi, del quale in questo passo viene appena accennato. Il canale di accesso al porto interno fu voluto da Carlo I d’Angiò che nel 1276 fece avviare i lavori di escavazione del canale, la costruzione delle due torri di guardia e della catena di sbarramento fra le due torri. Il Compasso parrebbe scritto precedentemente a questi lavori.
Per quanto concerne la Sicilia, un altro toponimo fondamentale fa intuire una stesura dell’opera posteriore al 1232:
“De Rassalibom a l’Agostara V millara. E se volete montare el lo porto de Agostara, va lontano de l’isolecta I millaro de tucte parte, e quanno serrete entro en no porto vederete II isole de la parte de maestro, e ponte entro l’isola e la cettà, et à en quella parte bono ponedore.”
La città in questione è Augusta, rifondata nel 1232 per volere di Federico II che vi fece trasferire le popolazioni di Centuripe e di Montalbano.
Il professor Motzo insiste infine sull’origine italiana di questo gruppo di portolani secondo le seguenti tesi:
“ 1. La descrizione delle coste catalane, francesi e provenzali, dell’Italia meridionale e dell’Adriatico è piuttosto sommaria, in confronto delle coste liguri, toscane, corse e sarde.
2. Nella descrizione della Provenza, pur seguendo l’andamento generale da ponente a levante, si danno i punti di riferimento all’inverso, come se l’autore fosse abituato a navigare da Pisa e Genova verso ponente.
3. Tutte e quattro le nostre recensioni sono più o meno in rapporto con Porto Pisano e Pisa.
4. Il substrato linguistico del Compasso, pur con infiltrazioni di altri dialetti, è il volgare italiano, non ripulito per l’uso letterario, ma tale e quale era parlato dai marinai abituati ad andare di porto in porto.
5. Il Compasso non comprendeva in origine il Mare Maggiore di Romania […] prima e dopo il Trattato di Ninfeo (1261) e la caduta dell’Impero di Costantinopoli (1266) gli interessi genovesi in quel mare erano fortissimi e non si sarebbe omesso di descriverlo. L’autore viveva e scriveva in un ambiente che aveva per quel mare scarsi interessi. Tutto considerato, ritengo che il Compasso fosse composto in Pisa.” – Bacchisio Raimondo Motzo
Oggi è ampiamente riconosciuta la tesi del professor Motzo e il Compasso da Navigare viene classificato come un manoscritto pisano. Questo testo è stato tuttavia in uso su navi toscane, liguri, venete, fu trascritto e glossato da amanuensi e marinai genovesi, pisani, veneziani, spagnoli e portoghesi.
La sua varietà linguistica nelle diverse recensioni lo rende il libro che più ci consente di avvicinarci alla conoscenza della lingua sabìr, la lingua franca parlata nei porti del Mediterraneo. A rafforzare questa tesi, si aggiunge la seconda parte dell’opera, ossia la grande carta nautica del Mediterraneo, di cui la Carta Pisana sopra citata è un valido esempio. Da questa derivano le carte di Giovanni da Carignano e di Pietro Vesconte, che sono delle copie migliorate e aggiornate.
Questa mappa su pergamena rappresenta il Mar Mediterraneo da Cavo Sancto Vincenzo (Capo San Vincenzo) sino al Mar Nero (la parte più danneggiata), una porzione delle Fiandre e delle isole britanniche, la costa nord africana con il Marocco atlantico.
Il Mediterraneo appare rappresentato nella sua interezza con una rappresentazione non distante dal vero al punto tale che le coste tirreniche, sarde, siciliane e corse sono quasi sovrapponibili ad una carta moderna. Queste carte venivano copiate dalle originali prodotte dai nocchieri cartografi, che grazie alla loro esperienza erano in grado di produrre una prima copia (in termini tecnici un eidotipo) che modificavano aggiungendo notizie e correzioni.
Queste bozze venivano poi replicate con un procedimento meccanico e geometrico nelle botteghe degli amanuensi. La richiesta di queste carte e dei manuali divenne grande, sino ad averne anche più di una per ogni nave come testimonia un inventario di bordo del 1294 tratto dall’Archivio di Napoli, in cui Carlo II (detto Lo Zoppo), su richiesta dell’Infante d’Aragona ordinava la restituzione all’equipaggio della nave messinese “San Nicola” – di cui era proprietario Raniero Grimaldi di Nizza – il vascello e gli oggetti trafugati dalla galea, i quali furono venduti a Taranto. Fra questi vi erano citati nell’ordine che segue un “mappamondo” (carta nautica) con compasso, un ago calamitato coi suoi accessori, un secondo mappamondo, un secondo ago calamitato, un terzo mappamondo. L’importanza di questo elenco è importante perché attesta come a bordo di una singola nave fossero custodite ben tre carte nautiche e due bussole, mentre riguardo al termine “compasso” relativo alla prima carta, si può supporre che si trattasse del compasso nautico utilizzato per rilevare le distanze sulla carta.
Sull’identità dell’autore del Compasso da Navigare il professor Motzo non si sbilancia, ma lancia comunque una traccia interessante e “[…] che solo ulteriori ricerche potranno apportare. Direi che fu un abile nocchiero, il quale aveva appreso, alla scuola di Leonardo Pisano o del suo discepolo Campano da Novara, quanto giovi fare ogni cosa “in numero et in mensura”. – Bacchisio Raimondo Motzo
L’autore del libro Compasso e del Compasso Carta aveva una mentalità matematica e precisa che mirava dritta allo scopo. La creazione della grande carta nautica del Mediterraneo ne rivela la sua mentalità e presuppone grandi conoscenze geometriche e di calcolo, una capacità di disegno non indifferenti e una grandissima conoscenza diretta delle coste del Mediterraneo e della navigazione.
Non si può meglio rappresentare l’ambiente in cui si formò ed operò il nocchiero che compose quest’opera se non con le parole dello stesso Leonardo Pisano, detto Fibonacci (colui che introdusse la numerazione araba nel mondo europeo). Figlio di mercanti e viaggiatore, visse negli stessi anni in cui fu composto il Compasso da Navigare:
“Quando mio padre, scrivano pubblico presso la dogana di Bugia per conto dei mercanti pisani, fu incaricato di dirigerla, essendo io ancora fanciullo mi fece andare presso di lui […]. Essendosi reso conto dell’utilità e dei vantaggi che me ne sarebbero venuti in seguito, volle che là per un certo tempo stessi a studiare l’abbaco e su esso venissi istruito. Ivi fui introdotto in tale arte da un mirabile insegnamento per mezzo delle nove figure degli Indi. La conoscenza di tale arte molto mi piacque rispetto alle altre, successivamente con studio assiduo e impegnandomi in discussioni, giunsi a comprendere quanto di essa si studiava in Egitto, Siria, Bisanzio, Sicilia e Provenza, luoghi che ripetutamente visitai per i miei viaggi commerciali. Per questo considerai l’algoritmo e gli archi di Pitagora quasi un errore in confronto al procedimento degli Indi studiandolo più attentamente e aggiungendovi qualcosa di mia iniziativa e altro ancora apponendovi delle sottigliezze dell’arte geometrica di Euclide, mi sono impegnato a comporre nel modo più chiaro possibile questo libro diviso in 15 capitoli, presentandovi con dimostrazioni quasi tutto quello che ho inserito. E questo perché coloro che sono attirati da questa scienza ne vengano istruiti in modo perfetto, e i popoli latini non se ne trovino esclusi come è stato fino ad oggi.” – Leonardo Fibonacci
Questo tesoro di cognizioni fu raccolto nel Liber Abaci, nella Practica Geometriae e nel Liber Quadratorum. Un’opera perduta è invece il Libro di merchaanti detto di minor guisa e il Libro sopra il X di Euclide di cui il libro “Della decima ed altre gravezze contenute nella Pratica della Mercatura” di Giovanni da Uzzano, contenente al suo interno anche una recensione del “Compasso de Navegare” sembrerebbe un richiamo.
Due altri indizi ricondurrebbero a questa scuola matematica: l’utilizzo nel XIII secolo a bordo delle navi della “toletta de Marteloio” o “Razon a navegar co’ tutti i venti”, ossia un particolare metodo geometrico che date rotta e velocità della nave, serve tutt’oggi a stimare il fuori rotta dato dallo scarroccio della nave, consentendo di tracciare la correzione da dare alla prora della nave per rientrare in rotta. La costruzione di questa tabella presuppone la conoscenza di alcune nozioni algebriche e geometriche che si trovano sviluppate per la prima volta nella scuola di Leonardo Fibonacci.
Il sistema della toletta da Marteloio lo si trova citato dall’alchimista maiorchino Raimondo Lullo (metà del XIII secolo) e lo si ritrova poi ben descritto nei portolani quattrocenteschi di Andrea Bianco e di Giovanni da Uzzano.
Il secondo indizio è dato invece dalla scala in miglia utilizzata nella costruzione della carta del Mediterraneo. Al posto del tradizionale miglio romano, pari a 1480 metri, la carta adopera il miliarum geometricum, composto di 1000 passi geometrici pari a 1,23 metri ciascuno. Seguendo tale regola un miglio corrisponde a 1230 metri.
Prendendo in considerazione questi due dati e analizzando meglio la carta, la cosa che maggiormente colpisce è il reticolo che copre interamente il disegno delle coste, il quale è apparso per la prima volta nella storia con la Carta Pisana. Questo consiste in un doppio reticolato di quadrati più grandi e più piccoli sovrapposti in maniera tale che i lati dei quadrati maggiori costituiscano le diagonali dei quadrati minori. L’incrocio di queste rette crea a sua volta nei punti di intersezione dei due reticolati una serie di piccole rose a 8 braccia, corrispondenti agli otto venti principali. La carta è infine completata da due grandi rose dei venti (dette anticamente compassi), che danno le direzioni dei venti principali e delle loro quarte e ottave.
I lati dei quadrati maggiori, se confrontati con la scala miliare, sono lunghi 100 miglia ciascuno. Mezzo lato di essi corrisponderà per tanto a 50 miglia, mentre se si applica la suddivisione della scala sull’intero lato si può arrivare ad una suddivisione sino a 5 miglia.
Questo reticolato non è da considerarsi tuttavia un reticolato geografico di latitudini e longitudini, ma deve essere tenuto in considerazione puramente come reticolato geometrico di ascisse e ordinate, sulla quale il disegnatore aveva un continuo ed immediato riferimento su cui agganciare il rilievo delle coste.
Le coste a loro volta venivano tracciate sulla base dei dati raccolti dai nocchieri nei portolani scritti, in particolare trilaterando le distanze da un luogo all’altro sia lungo costa che nei peleggi[5], e considerando l’orientamento della costa durante la navigazione.
Il disegnatore, armato di compasso, non doveva far altro che trasportare sulla carta le distanze e posizionarle secondo l’orientamento. L’esattezza del disegno era ed è tutt’oggi data nel rilievo tradizionale – ad esempio in campo archeologico – dalla precisione nella misurazione e dall’abbondanza dei dati raccolti, verificati da una serie di capisaldi di cui si aveva una misurazione certa, i quali fungevano da punti di controllo della trilaterazione. Questi erano dati dalle località da cui si dipartivano numerosi peleggi. In questo modo attraverso diverse verifiche incrociate si facevano concordare le trilaterazioni di distanze anche notevoli.
Per sciogliere il problema di conoscere come in antichità si potessero misurare le distanze tra due punti in mare e di quanto la nave avanzasse in una unità di tempo ci viene in aiuto Bartolomeo Crescenzio (1565-1605).
Romano, navigatore, cartografo, matematico e autore del libro “Nautica Mediterranea”, nel decimo capitolo del secondo tomo della sua opera intitola:
“Come si conosce per via dimostrativa quanto trascorre il vascello in ogni palata o cascata di remo.”
In questo capitolo egli ricorda come Aristotele avesse risolto il problema, ed osserva:
“È il viaggio dei remi per sé manifesto; gli stessi remieri comprendono con l’uso quante banchate scorre ad ogni palata la loro galea. Quello che i remieri osservano è che nel fine della palata, numerando dal luogo ove nell’acqua percosse la pala, conoscono quante banchate trascorre la galea […]”
Conoscendo la distanza fissa tra le bancate si calcolava l’avanzamento da un colpo di remo all’altro.
Per le navi a vela questo sistema era invece differente, ma già Vitruvio nel primo secolo avanti Cristo descrisse il thalassometro: uno strumento usato sulle navi che consisteva in una ruota a palette posta alla linea di galleggiamento, la quale ruotando azionava un meccanismo il quale ad ogni miglio, seppure con un certo margine di errore, lasciava cadere un sassolino in un recipiente.
Lo strumento è stato descritto anche nei “Dioptra” di Erone di Alessandria, purtroppo non databili con precisione, ma compresi fra il I e il III secolo d.C..
Leonardo da Vinci ne fece una ricostruzione sulla base di Vitruvio nel XVI secolo. Altre copie furono replicate da Leon Battista Alberti, Nicolò Tartaglia, e dallo stesso Bartolomeo Crescenzio, il quale scrisse:
“Con il quale giustamente o a Poppa o ad Orza che spiri il vento et la nave cammini si sappia ad ogni momento quanto ella abbia fatto di viaggio.”
Sulla base di tutti questi elementi, il Compasso da Navigare si pone come la più importante opera della scienza nautica del XIII secolo, di gran lunga superiore al Libro di Re Ruggero di Al-Idrisi, che ricade ancora nella tipologia libraria dei peripli, e superiore al Milione di Marco Polo, pur singolarissimo nella sua descrittività, ma privi entrambi di elementi scientifici nell’accezione moderna del termine.
A differenza di queste due opere il Compasso da Navigare offre infatti una rappresentazione grafica ed una descrizione sistematica e sistematicamente condotta della vasta regione del bacino Mediterraneo.
A questo si aggiunge il valore storico per la descrizione delle località costiere in quella determinata epoca.
Torri, chiese, monasteri, castelli, porti, città, vengono citati come abitati, disabitati, o addirittura in rovina, sono osservabili i mutamenti delle linee costiere in un arco cronologico di almeno tre secoli se si considerano le edizioni del Codice Hamilton 396 e le successive copie con i debiti aggiornamenti, che a buon titolo inseriscono il Compasso da Navigare tra le prime opere della prosa scientifica italiana.
“ Aesto si è lo Compasso e la starea de la terra, si como se reguarda, en quante millara per estarea. En primamente, da lo capo de San Vicenzo a venire de ver Espagna, ver levante.” – Anonimo
Written by Claudio Fadda
Note
[1] Il manoscritto si trovava nella biblioteca Guillot di Alghero.
[2] Ora alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
[3] “Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo Amen/ Inizia il libro del Compasso/ questa opera è stata copiata nel mese di gennaio del 1296”.
[4] “Termina il libro di tutti i porti e mari in cui si può navigare./ Sia resa grazia a Dio, Amen.”
[5] Traversate.
Bibliografia
Il Compasso da Navigare, curato da Bacchisio Raimondo Motzo, 1947, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari
Complimenti una ricerca e uno scritto interessantissimo e completo, uno dei più accurati e completi che abbia consultato e che mi permetterò di citare in un mio prossimo lavoro.