“Spleen” poesia di Sergio Corazzini: vuoi darmi la nostalgia di una canzone morta?
“Spleen” di Sergio Corazzini
Che cosa mi canterai tu
questa sera?
Amica, non voglio pensare
troppo: la prima canzone
che ricordi, antica,
non importa;
una di quelle canzoni
che non si cantano più
da tanto,
che non fanno più schiuder balconi
da un secolo. Vuoi
darmi la nostalgia
di una canzone morta?
Sei triste, mi dai pena
questa sera; non canti, non mi parli…
Che hai? malinconia
di morire? Ti duoli
perché siamo soli?
Ricordi l’ultimo ballo
nel tuo salotto giallo
roso dai tarli?
Sai che è primavera?
Io non me n’era accorto;
non ho rosai,
non ne ho avuto mai
nel mio triste orto.
Perché non suoni? Langue
di desiderio
quel tuo piccolo pianoforte esangue,
nell’ombra; o non così,
amica,
l’anima ci sospira nell’attesa
di chi
sappia farla vibrare?
Oh, che tristezza! Pare,
nel biancore lunare,
malata di etisia,
con tutte le sue porte
chiuse, la nostra via
diserta e quel fanale
solo e torbido pare
che attendendo la morte
ne vegli l’agonia.
Breve la vita di Sergio Corazzini, nato a Roma il 6 febbraio del 1886 e sepolto il 17 giugno del 1907. Le giornate minate dalla tubercolosi (etisia, tisi) lasciano spazio ad un versificare sentimentale e desolato per cui la poesia coltiva l’illusione di esistenza dopo la morte.
Un’illusione che è divenuta realtà visto che ancora oggi possiamo rendere omaggio al poeta romano che giocò il ruolo del poeta maledetto alla francese. E “Spleen” è la poesia adatta per sottolineare questa similitudine con Parigi e con il celebre movimento poetico dell’800.
Un amaro calice quello della poesia, un’introspezione ed un dialogo costante che permette all’essere umano di vedere oltre le variegate maschere dell’io. Sergio fu definito dagli amici (tra i quali Aldo Palazzeschi, Fausto Maria Martini, Corrado Govoni) piccolo Dio, Batista, poeta maledetto, ed i suoi versi suscitano stupore per l’intelligenza visionaria, pur se acerba, visti i pochi anni nei quali ha potuto operare.
In “Spleen” ‒ il poeta ‒ l’uomo mortale chiede ad Anima di trascorrere un po’ tempo con lui, con la forma fisica di ciò che rappresenta. Sergio, il poeta, vorrebbe sentire una canzone antica, qualcosa che è stato dimenticato dalla tradizione e che riecheggia come ricordo in Anima. Si accinge, Sergio, nella profonda solitudine a voler trasformare quel silenzio in melodia, si accinge a chiedere all’inconscio di accompagnarlo nei giorni che seguono e di recar sollievo a quel povero corpo malato costretto alla fatale e vicina morte.
“Vuoi/ darmi la nostalgia/ di una canzone morta?”
“Spleen” è tratta da “Le aureole” pubblicato nel 1905.