“Il seggio vacante” di J. K. Rowling: un romanzo polifonico
In genere, le mie reazioni sono in itinere, o in progress, a seconda dell’idioma usato: le faccio mentre leggo e vivo il libro che sto tenendo in mano. All’improvviso, non troppo delicatamente, poso il piccolo mostro di cellulosa e mi reco, in tutta fretta e con gli occhi sbarrati, alla consolle e comincio a vergare, si fa per dire, alcune cose che mi stanno scompigliando la testa, lasciando immoti i pochi capelli che ancora ho.
Altre volte, più raramente, e mi è capitato recentemente con Balzac, cessa l’attrazione nei miei confronti da parte di un libro subito dopo che ho letto l’ultima parola dell’ultimo rigo dell’ultima pagina: dopo di cui rimango per qualche tempo assorto a pensare a poco o a nulla. Poi riprendo coscienza, mi faccio un po’ forza e mi chiedo se ho per caso qualcosa da scriverne.
Come già mi capitò con il visionario francese, anche oggi, anzi, poco fa, mi sono detto no, mi dispiace, non ho nulla da aggiungere a tanta compiutezza. Poi qualcosa talvolta cambia. E la gravitazione universale torna a compiere il suo scopo: riunire le anime. Non sempre però ci si accorge del fenomeno.
La cosa mi è accaduta con “Il seggio vacante” della Rowling (edito da Salani Editore). Si tratta di un libro a cui nulla bisogna aggiungere, tranne quel poco che segue.
Mi è venuto in mente, tra l’altro, che oggi è il compleanno di una persona a me tanto cara, la stessa che m’ha consigliato, anzi, prescritto di leggere il libro. Mia figlia Anna, di cui non temo granché gli strali e le critiche, in quanto non bisogna mai farsi condizionare troppo dai giudizi altrui, ancorché giustificati, ama accusarmi di non leggere i romanzi nel modo corretto. Ad esempio, in effetti, mi è capitato che solo all’inizio del secondo libro della saga di Harry Potter, mi resi conto del fatto che i due gemelli Fred e George, così identici in tutto, erano pure fratelli di Ron.
Per cui, nel caso del libro della Rowling, nella prima pagina bianca del tomo, lei mi aveva trascritto col lapis il nome di tutti i personaggi della storia e la loro breve descrizione: “Altrimenti non ce la puoi fare a ricordarli tutti!”, mi aveva assicurato, senza però rassicurarmi affatto. Nel secondo capoverso del romanzo, alla prima citazione del nome di una certa Krystal, leggo, sempre scritto da lei a matita: “Ricordatela”.
In genere io sottolineo varie parti dei libri che leggo, ma qui dovrei farlo quasi tutti i momenti. Che noia eccitante! La Rowling, e lo dico piano e forte, senza tema di essere smentito, è una grande scrittrice. Ma lascia a volte poco spazio all’ingenuo e sprovveduto commentatore-reagente. E dimostra a ogni passo, che sa andare avanti anche da sola, senza stare ad aspettarti. Invece no, dai, poi, mammescamente, rallenta e aspetta che hai finito di fare i tuoi comodi…
Ero (alcuni eoni fa) arrivato al sesto capitolo della seconda sezione della prima parte del romanzo, quando mi permisi cautamente di sottolineare una parte di un lungo periodo:
“Miles entrò nella camera da letto; Samantha lasciò andare la pelle, prese il copriocchiale e reclinò la testa all’indietro, come faceva sempre quando si truccava: così la pelle un po’ cascante del profilo si tendeva e le borse sotto gli occhi si attenuavano. Lungo il bordo delle labbra c’erano delle rughette corte e sottili. Potevano essere riempite, aveva letto, con una sostanza sintetica iniettabile…”
Lo feci anche con un altro passo del medesimo capitolo:
“… I capelli nero corvino erano cotonati e spruzzati di una pesante mano di lacca, con sotto una faccia pallida e scimmiesca, attraversata da una spessa striscia di rossetto rosa shocking che si increspò quando Miles si chinò a baciarle le guance.”
E poi pure alla pagina dopo:
“Maureen, con una delle sottili mani ad artiglio, stava giocherellando con la catenina che portava sempre al collo, alla quale erano appesi un crocifisso e la fede del marito morto.”
Infine, tre pagine appresso:
“Sulla tavola calò un silenzio come una tovaglia immacolata e stirata di fresco, ricca di aspettative, e stavolta tutti parvero capire che toccava a Howard introdurre il nuovo argomento di conversazione.”
Ed ecco che con queste lunghe citazioni, ho quasi completato il 45% della reazione!
Evviva!
Ed ora qualche cenno della trama (che tanto interessa il lettore basso-medio-alto): muore nelle primissime pagine un tipo, chiamato Barry Fairbrother (Bartolomeo Buonfratello) che occupava un seggio nel Consiglio Comunale di un piccolo centro inglese, la non meglio specificata e un po’ anonima Pagford. Barry, beh, pare sia stato una brava persona, ma contava fra i suoi concittadini numerosi detrattori. Poi si scopre che la cittadinanza è composta soprattutto da detrattori che sono a loro volta detratti da qualcun altro, e che i gruppuscoli di individui si schierano in base ad alchimie imperscrutabili e in continuo fermento.
Panta rei, tutto scorre, nel mondo in generale e nel paesino in questione in particolare.
Barry era un buon fratello di tutti, tranne che di alcuni suoi acerrimi nemici, e si occupava di tante belle cose, ad esempio della salvaguardia di alcune famiglie di un quartiere della cittadina che si chiama I Fields, periferia tanto degradata, che molti vorrebbero fosse tagliata fuori dai confini del comune.
Lì abita la disperata famiglia di Krystal (disastrosa sedicenne che vive insieme a Terry, la mamma drogata e irrecuperabile, che fa un po’ di tutto nella vita, pur di avere la sua dose di stupefacenti; con Robbie, il fratellino piccolo e un po’ sconnesso; e con la virtuosa ma inferma nonna Cath, che ha il buon gusto, ma soprattutto la buona ventura di morire a metà romanzo).
La trama è davvero interessante e basta leggerla per acquisirla. Ma non è l’argomento principe di questa reazione.
Tutti i personaggi descritti sono assai ben individuati, ciascuno con il suo tratto caratteristico (non per niente in inglese si dice character). Tale introspezione psicologica mi colpì anche leggendo la saga di Harry Potter. La differenza è qualitativa e quantitativa. Essendo effettivamente alto il numero dei personaggi, la Rowling, per ognuno di loro ha saputo individuare un aspetto, un tic, una particolarità, una dote o un vizio che lo identifica poi per tutto il romanzo, a volte solo subliminalmente, senza che il lettore se ne accorga più di tanto.
Si tratta di un romanzo non semplicemente corale, ma polifonico, perché le singole voci, pur integrate nella medesima armonizzazione, mantengono una loro tenace individualità: s’incontrano, si disperdono e poi sempre, prima o poi, si lambiscono nuovamente, interagendo di frequente, senza mostrare empatia o simpatia l’una per l’altra. Si attirano e si allontanano, in modo generalmente prevedibile e regolare, e finiscono necessariamente per contrastarsi, al momento del contatto, poco prima di divergere.
Nella saga potteriana, la faccenda era più semplice. Le differenze erano per lo più rese evidenti da peculiarità fisiche e, talora, da fantasiose mostruosità. E i rapporti erano più chiari e immediati. Qui è occorsa alla Rowling tutta la sua geniale sagacia e capacità inventiva per riuscire a rappresentare in modo icastico tutti quegli esseri umani, molto umani, a volte troppo umani.
Al lettore, a me cioè, degli altri non so dir nulla, sembra quasi che, nella fronte di ciascuno di loro, sia stato inserito un led luminoso, che riporta l’indicazione variabile dei vari stati (non quantici, ma relativistici) di ognuno. Tutto è relativo, dice chi ama discorrere di Albert (Einstein). Ognuno di essi lo è. Questi sono i dati in cui è espressa la misura delle qualità, in mutamento relativo e continuo: felicità, senso di oppressione, onestà, senso del dovere, grado di trasgressione, perbenismo, entropia esistenziale, malvagità.
Tali sono le caratteristiche principali che ho percepito e che ricordo. Altre ce ne saranno certamente.
Ogni lancetta all’interno di ogni led è in continua fibrillazione, spostandosi un po’ in avanti e un po’ indietro. La parte sinistra di ogni indicatore è azzurro mare, la parte destra è di un rosso acceso.
Questa osservazione è di pertinenza unicamente del lettore che è disposto a sacrificare parte della sua attenzione all’esistenza psico-fisico-sociale dei characters, come capita al fisico sperimentale, a cui a volte sfuggono certi macro-particolari che esulano dalla sua ristrettissima ricerca.
“E si farà l’amore ognuno come gli pare…”, cantava Lucio Dalla.
Cara Anna, forse te l’ho già detto. Uno legge un libro, o un fumetto, guarda un film, o assiste a qualsiasi fenomeno artistico e poetico, come ie dice ‘a capa. Ognuno agisce come sa, come può e come vuole o come sente di dovere, dentro di sé. Non so e forse non credo di aver letto il libro nel modo che tu ti mi hai caldamente consigliato. Ma in fondo, francamente, me ne infischio.
“A Libertà! A Libertà! Pure ‘o pappavallo l’adda pruvà!”
Molto interessante è l’epilogo. Qui tu hai pianto, m’hai detto. Io no. Non ho gioito, però. Mi sono semplicemente intristito.
In “Follia” di Patrick McGrath, letto poche settimane fa (che caso, davvero!), la narrazione termina dopo la morte, anche lì per annegamento, di un minore, un po’ più grandicello di Robbie. Che immense tragedie, accidenti! Che qui, come colà, si raddoppia: in entrambi i casi, chi ha provocato la morte del consanguineo, catarticamente, sparisce presto dalla faccia della terra. E viene sepolto senza eccessivi onori.
Qui, a Pagford, la colpevole deceduta non viene di certo rimpianta. Trattasi sempre di miserabile gente.
Il bimbetto, secondo quanto va dicendo la buona gente, conviveva con due instabili e fallimentari drogate. Che altra fine poteva mai fare! Ci sarà un’inchiesta! E la faccenda costituirà senz’altro il tema principale che sarà utilizzato da tutti gli aspiranti consiglieri durante la prossima campagna elettorale.
E Tutto (che parola orrenda e inquietante!) continuerà, senza finire mai, a scorrere più o meno com’è sempre stato, nella pacifica e industriosa, nonché amena, nonché terribile!, cittadina di Pagford.
Giudizio finale: la Rowling è un’abilissima giocatrice di scacchi, dama, tressette, bridge, pinnacolo e burraco. Sa gestire molto bene i suoi pezzi, con grande capacità di analisi, più che di sintesi. Ed è una grande narratrice, sa cioè combinare in modo armonioso quello che pare, a prima vista, dissonante, creando storie sempre compiute, sensate ed emozionanti.
Buon compleanno, Anna!
Written by Stefano Pioli