Arthur Rimbaud non è mai stato di questo popolo
Un libro è la ventura umana più misteriosa. Ogni ventura umana è misteriosa. Incontrare un libro è la ventura umana più misteriosa.
Arthur Rimbaud, lo conobbi quando avevo la sua età. Ne fui bombardato. Ogni suo verso staccò una parte di me. Per me fu un unicum. In ogni vita ci sono tanti unicum. Lui fu il mio unicum più unicum. Lo abbandonai su uno scaffale. Ogni tanto lo riprendevo in mano e correvo all’incipit di “Una stagione all’inferno”.
Lessi il libro che l’altro mio maestro scrisse su di lui: “Il tempo degli assassini” di Henry Miller. Ogni tanto lo riprendevo in mano e correvo all’incipit di “Una stagione all’inferno”.
Sentii con curiosità e interesse la canzone che Roberto Vecchioni scrisse su di lui. Ogni tanto lo riprendevo in mano e correvo all’incipit di “Una stagione all’inferno”.
Vidi il film “Poeti dall’inferno”. Ogni tanto lo riprendevo in mano e correvo all’incipit di “Una stagione all’inferno”. Scrissi, un giorno d’estate, a Pixuntum, una poesia, che dedicai al mio veggente. Mio è un aggettivo approssimativo.
“Le parole sanno esprimere/l’esprimibile, non/ il suo contrario,/ ch’è un concetto vano,/ come un dio,/ sol che non s’intenda/ il quasi inesprimibile./ Questo m’intriga/ rinvenire in me,/ quel ch’è arduo da manifestare./ Come mi gioverebbe/ incontrare sulla via,/ per quell’erta oscura,/ un tale pressoché dio…” – “Mio Arthur”
E poi tentai un’analisi, confusissima: la parola come tutto e nulla, quindi non nulla, quindi non tutto, spinse Arthur a cercare l’alchimia, così determinante per la questione poetica. Prima viene la realtà e poi la parola, che ha la funzione di esibirla e di nasconderla. Ho sempre amato in Carmelo la poetica della mancanza significativa, perché soltanto quando qualcosa cessa si sente la sua essenzialità, quando la sua massa diventa energia, come dice Albertino. Ed è per questo che faccio un po’ fatica col prode Luigi, così esaustivo nelle sue descrizioni dell’ambiente e dei personaggi, e del loro gesticolare, che non permette al lettore di ricreare quel che è già pienamente stabile e irrimediabile.
Poni ad un capo della corda Arthur l’affabulatore di ingiurie, o Gigi il factotum, dall’altro metti il taciturno Bodhidarma, coi suoi delicati silenzi. Noi, stando in mezzo a quei titani, comprenderemo soltanto la loro intraducibilità. Seppur qualcuno di loro giungerà “un jour o l’autre” all’ineffabile “Celà s’est passé. Je sais aujourd’hui aluer la beauté”, il mondo resterà un bel casino per noi piccoli uomini.
Arthur è veramente il mio maestro inconsapevole. Erano anni, forse trenta, che non leggevo l’introduzione al libro. Il suo “Je est un autre” è quel che io sogno d’essere, cioè di non essere, fin da quando ero un macilento anatroccolo e scrivevo illeggibili poesiole senza congiunzioni, avverbi e pronomi, e coi verbi spesso e irragionevolmente sottintesi. Ah! Lasciare che le cose, oggettive, divengano a poco a poco soggettive, restando concrete pietre ravvisabili “à tous les senses”… Nel marmo della Pietà Rondanini vibra la scintilla del genio, che toglie edificando, ma in essa vivrà per sempre la durezza del marmo.
Per la parola scritta il discorso è più complesso, per cui bisogna togliere e mettere, le due cose insieme, e separatamente. Occorre sconvolgere la logica, rimaneggiare a occhi serrati la sintassi e “jouer bons tours à la semiotique”. Arthur è il più dotato maestro di quest’arte folle, destabilizzante e insieme accumulatrice, capace di creare quell’incontro fra materia e la sua antagonista, che consente lo sprigionamento del fotone poetico, al fine improbabile di aprire il passaggio al verso-elettrone ad un livello superiore, per ricreare un nuovo mondo, “apres le déluge”.
Lo sai, Riccardo, che senza la forza elettro-magnetica il mondo non sarebbe null’altro che un buio pressoché immoto e indistinto? Solo grazie all’agitarsi delle particelle fotoniche, il loro subitaneo decesso e la loro improvvisa rinascita, si è creata la diversità e tutte le nostre adorate illusioni. Fiat lux, sed celere!
Così Carmelo viveva nella parola detta mentr’era taciuta. Ora che il suo fuoco deformante si è consumato per sempre, parte della sua energia agisce in me e in chiunque abbia patito insieme a lui sul palcoscenico! Raccogliere le sue patiences affinché siano preghiere, propellenti per l’astronave, purché si arrivi lassù, che sarà poi quaggiù, sol che si rigiri la clessidra, trasformandosi in quegli oggetti che non dovranno mai essere fissati per l’eternità, ma sempre brulicanti di vita, di microrganismi e di spore.
Altrove, anche Gigetto condanna l’anelito spirituale dello scultore che intende distruggere ogni immanenza nella propria opera, annichilendo la modella Tuda, sposata per poterne utilizzare fin l’ultimo respiro, per creare dal suo tormento una perfetta Diana. Mah…
Recentemente, Alessia mi convinse a rileggere ex novo, dopo tant’altro tempo “Une saison en enfer”. Ne parlai con un caro amico che mi disse che lui non amava quei poeti e artisti che producevano le loro opere solo dopo essersi intossicati in un qualche modo. Sì, avrebbe probabilmente finito per leggere anche quei maudits, prima o poi. Altri, più igienici, avevano per lui la priorità. Per me no.
… ogni tanto lo riprendevo in mano e correvo all’incipit di “Una stagione all’inferno”.
“Quel siècle à mains ! – Je n’aurai jamais ma main.” Che secolo di mani! – Non avrò mai la mia mano.
“A qui me louer? Quelle bête faut-il adorer?” A chi affittarmi? Quale bestia bisogna adorare?
“Je n’ai jamais été de ce peuple-ci”, non sono mai stato di questo popolo.
“J’entre au vrai royaume des enfants de Cham.” Io entro nel vero regno dei figli di Cam.
“Je veux la liberté dans le salut: comment le poursuivre?” Voglio la libertà nella salvezza: come perseguirla?
“Jamais je ne travaillerai…” Giammai io lavorerò.
Quest’ultimo verso è un macigno che mi ostruisce il cammino. È il verso della mia disperazione. Del mio tradimento. Del mio annullamento avvenuto per un periodo durato oltre quarant’anni. Qualche anno dopo la mia prima lettura di Arthur, in una caserma sperduta sul confine con la Jugoslavia, lessi “Eros e civiltà”. Era tardi, già mi ero macchiato del peccato originale. La naja era stato il mio primo lavoro. Cosa non va nel lavoro? È facile e difficile al contempo rispondere. Tutto non va. Nulla va. È inteso come produzione, non come realizzazione. Bisogna accumulare oggetti di un qualche tipo perché essi siano diffusi creando quella cosa che si chiama ricchezza, profitto, benessere e, nella migliore delle definizioni, civiltà. Costi quel che costi. Una sola cosa non vale in quel verminoso discorso: l’anima individuale. Essa dev’essere bruciata, al fine di alimentare il motore sociale:
“Feu! feu sur moi! Là! Ou je me rends. – Lâches! – Je me tue! Je me jette aux pieds des chevaux!” Fuoco! Fuoco su di me! Ecco! O mi arrendo! Vili! Io mi uccido! Io mi getto ai piedi dei cavalli!
“Le strennes des orphelins”: la scrive Arthur, quindicenne, bisognoso di affetto, infreddolito, per sempre dalla vita.
“Sensation”: “je ne parlerai pas, je ne penserai rien” – non parlerà come gli altri, né come questi penserà: bohémien.
“Soleil et chair” “Je crois in toi! je crois in toi! E mère, aphrodité marine… Venus, c’est in toi que je crois!” – c’è il rifiuto di quasi duemila anni di civiltà paolina. Finalmente: “O! L’Homme a relevé sa tête libere e fière!” Venere (ed Eros) e non tutto il resto fa alzare la testa all’uomo nuovo. Il Dio che qui si rifiuta è quello che ti induce, senza una tua replica, all’azzeramento dell’individualità.
“Ofelia” “O pâle Ophélia! belle come ma neige…”
“Oui, tu mourus, enfant, par un fleuve emporté!”
“Et le Poète dit qu’aux rayons des étolis
Tu viens chercher, la nuit, les fleurs que tu cueillis”
È la poesia che più mi ha emozionato finora. Ignoro se Fabrizio la conoscesse. La sua “Canzone di Marinella” sembra una reazione alla poesia di Arthur. La quale rimanda, a sua volta, all’omonimo quadro di Millais, che ricorda il mito di Ofelia, che annega, dopo essere caduta accidentalmente nel lago. O forse Fabrizio si collega direttamente alla tragedia di William, pensando a quell’innocente sedicenne gettata nel Tanaro?[1] Poco ne cale, perché, nel cosmo, e in arte, tutto è gratis, nonché in perenne mutamento, e ogni cosa ri-assume una nuova forma, perché questa è la vita: produrre energia, che (ri)crea dal nulla.
“Il ballo degli impiccati”: a prescindere dal fatto che richiama altri componimenti di autori precedenti (di Villon, Banville e forse anche di Gautier) è macabro quanto basta per disgustare il lettore, ma serve anche per preparare la bocca al fido traditore (cosa non sono io, in fondo?), presentandogli per la prima volta Messire Belzébuth. Non posso non notare che, nelle sue poesie, Arthur fa un discreto uso del vento (“vent” o “brise”).
“Hurrah! La bise siffle au gran bal des squelettes”: diventa “Evviva! Il vento fischia al gran ballo degli scheletri!”. La Bise, vento gelido del nord-est, è anche un Bacio, un respiro donato, un soffio dell’anima, uno spirto vital.
“Le chatiment de Tartuf”: “Un jour qu’il s’en allait: ‘Oremus’- un Mechant” cattura il benpensante Tartuf, colui che corrisponde al detto reggiano: “Oremus per me e per chieter se gh n’è!”, lo prende per il bavero, e “Puah! Tartufe erait nu du haut jusques en bas!” Arthur ha finalmente messo a fuoco il nemico.
“Le forgeron”: protagonista è il fabbro, simbolo della canaille, della crapule: la canaglia, la folla inferocita che si vendica del potere regale. “Merde à ces chiens-là!” – quei cani restauratori!
“Morts de quatre-vingt-douze”: Arthur deride quei vili politici che vorrebbero riesumare, per propaganda bellica, i morti di altra non meno deprecabile guerra.
“A la musique”: Arthur è sempre più intriso di veleno e morde “le chair de leur cous blancs”, la carne dei loro colli bianchi. Loro sono quello che lui non sarà mai: un borghese.
“Venus Anadyomene”: vispa descrizione caricaturale della dea dell’Amore.
“Premiere soirée”: sdolcinata descrizione amabile della donna, oggetto di un amore ingenuo e ridente. Che bello saperti felice, pur solo in quest’attimo eterno!
“Les reparties de Nina”: una lunga promessa di atti d’amore. Troncata da un ultimo verso, che umilia Eros e affini: “Et mon bureau?”
“Les effares”: i cinque fratelli Rimbaud “a genoux, cinq petits – misère – Regardent le boulanger faire/ Le lourd pain blond… ”
Arthur Rimbaud, fratello mio, si fa presto a dire mio, noi non ci lasceremo mai.
“Roman”: come in “Premiere soirée” il racconto è delizioso e venato da un pizzico di fatalismo.
“Le mal”: il nostro amato dio “qui rit aux nappes damasséss des autels”, “qui dans le bercement des hosannah s’endort”.
Un dio che si sveglia quando “lui donnent un gros sou lié dans leur mouchoir!”.
“Rages de Cesars”: povero “l’Homme pâle”, “soûl de ses vingt ans d’orgie!” “Il est pris.”.
È la tragedia: ogni tiranno sarà preso, prima o poi, ebbro dopo vent’anni d’orgia, uomo per sempre pallido. E chi interrompe il suo tragico e ridicolo sarà un altro, l’ennesimo, homme pale.
“Rêvé pou l’hiver”: d’inverno non ci restano che i freddi colori: “petit wagon rose”, “des coussins bleus”. Basta chiudere gli occhi per non vedere “les ombres des soirs”, “ces monstruosités hargneuses, populace de démons noirs et de loup noirs”.
“Le dormeur du val”,
“Un soldat jeune, bouche ouverte, tête nue, et la nuque baignant dans le frais cresson bleu”.
“Les parfums ne font pas frissoner sa narine; il dort dans le solei, la main sur sa poitrine,
tranquille. Il a deux trous rouges au côté droit.”
Arthur e Fabrizio, posso sognare che questo milite si chiami Piero?
“Au cabaret vert”: Il grande camminatore è “bienhereux”
“j’avais déchiré mes bottines aux cailloux des chemins”
“je contemplai les sujets très naȉfs de la tapisseire”.
Non è difficile essere felice: basta far finta di essere bianchi! Vert è il colore dell’assenzio.
“La maline”: solita scenetta amorosa, “Sens donc, j’ai pris une froid sur la joue… ”. Per guarirla basta a volte un bacio. Fino a quando durerà ‘st’amena e breve eternità?
“L’eclatante victoire de Sarrebruck”: un’incisione celebra la vittoria mediocre dell’imperatore.
“Boquillon rouge et bleu, très naif, sur son ventre se dresse, etr – présentant ses derrières – “De quoi ?… ”
“Le buffet”: ricordi di infanzia di Arthur, che vorrebbe rivivere i “contes” e i “bruis” de “le buffet”. Ormai tutto tace. “Ma boheme”: Via!, “les poings dans me poches crevées”, “mes solieurs blessés”
“Les courbeux”: Qualsiasi battaglia di “courbeux” o di fauvettes” sarà sempre “la défaite sans avenir”.
“Les assis”: neologismi arthuriani: “boulus”, “hargnosité”, “percaliser”, gnoccolute, arcignosità, percallizzare. La poesia sbeffeggia chi svolge il proprio lavoro rimanendo seduto, sia fisicamente che mentalmente.
“Téte de faune”: io leggo, rileggo dopo secoli, Arthur, perché qualcuno mi invitò (ripetutamente) di riaffrontare il mistero di “Une saison en enfer”. Qualcun altro aggiunge che si dovrebbe rileggerlo solo se si è in grado di arzigogolare come lui e insieme a lui, il che è impossibile; ma il sognare di farlo è la sorte di chi l’ha conosciuto. Si tratta di una forma terribile di draculisme, che non dà effetti secondari eccessivamente dolorosi. Inoltre basta una rilettura completa e i sintomi dell’assuefazione chimica si rimostreranno dopo trent’anni. Questa è l’ultima volta (macché!), l’ultima occasione dà più l’idea, che mi capita. Non si sa mai. Perché, ad esempio, Arthur scrive épeuré e non apeuré? Perché il primo termine è ardennese “de toute évidence!” Le poème est “vif et crevant”.
“Les douaniers”: “Cré Nom” !, “Machache”!, meglio essere “nul, très nul, devant le Soldats des Traités”. Péché, mon petit Arthur, que quand j’ai été rédigé, je n’avais pas le choix!
“Oraison du soir” : vi vedo, tu e Billy the Kid, a “épater le bourgeois” Deux jeune hommes “doux comme le Seigneur du cédre et des hysopes”, a pisêr drétt vêrs al sël scûr, dimòndi in êlta e luntân, con al parèir di grând ôlem! (non ci sono a Reggio dei “grands héliotropes”).
“Chant de guerre parisien!”: “Des eros”, che si pronuncia come “des zéros”, “familiers du Grand Truc!…”. Arthur finge di inneggiare agli invasori (come tutti gli eserciti sono), paragonandoli a maggiolini… E mi sovviene ancora quel Piero che a maggio muore… La guerra non rispetta nulla, ma adegua anche la bellezza alla sua malvagità. È l’ennesimo crimine dell’uomo contro la natura.
“Mes petites amoreuses”: in questa poesia, così piena di termini dialettali del suo paese natio, Arthur irride e chiama “laideron”, bruttone, le giovani donne che aveva cantato con tanta delicatezza. Non so se vi sia, nell’evidente disprezzo per quei distanti momenti, una specie di malinconia, per quanto inacidita. La predizione è malevole: “Vous crèveres en Dieu, batées d’ignobel soins”.
Da cogitare il verso iniziale, anzi i primi due: “Un hydrolat lacrimal lave/les cieux vert-chou”.
“Acroupissements”: “Le bonhomme” che c’è in noi, e anche in te, Arthur, ché non avresti avuto l’urgenza di ridicolizzare, acroupissement, accovacciato, sempre pronto a non Essere null’all’altro che una maleodorante fisicità: “le cerveau du bonhomme est bourré de chiffons”.
“Les poetes de sept ans”: Arthur rievoca la sua infanzia zeppa di aneliti e incomprensioni, di gesti e di piccole azioni, di abitudini e di reazioni, di giochi selvaggi e di romanzi fantasticati: di tutto quel che sta ora girando dentro di lui, a velocità siderale! Questa è la sua poesia più triste. Passiamo alla prossima, quindi. Prima, ri-cogitiamo il verso: “Il lisait une Bible à la tranche vert-chou”: un futuro da veggente!
“Les pauvres a l’église”: altra poesia facile da capire, ma non da tradurre, colma d’immagini che scolpiscono ed eternano gesti semplici di gente mediocre. Allieta la consueta acredine di Arthur verso i devoti-idioti, che nulla sanno dei loro diritti, che cercano nella religione la salvezza, ma si trovano relegati sempre di più alla loro sorte, “humiliés comme des chiens battus, les Pauvre au bon Dieu, le patron et le sire, tendent leur oremus risibles et têtus”. Una scena sopra tutte: “vingt gueles guelant le cantiquea pieux”
“Le cœur du pitre”: ‘sto versaccio: “Mon triste cœur bave à la poupe”, ripetuto tre volte nel poemetto, e tremila volte nel mio cervello, perché è tale? C’è chi ipotizza violenze patite, cita i versi “Ithyphalliques et piopiesques leurs insultes l’on dépravé!”. Fin qui e oltre, Arthur mantiene le rime e qui addirittura utilizza una forma medioevale di poesia (così dice la curatrice, nonché traduttrice, Laura Mazza, il cui compito non è poco ingrato). “Quand ils auront tari leur chiques: j’aurai des sursauts stoachiques si mon cœur est ravalé”! Baver è il verbo preferito di Arthur.
“L’orgie parisienne ou Paris se repeuple” Un verso dà l’idea: “Tas de chiennes en rut mangeant des cataplasmeses”. Un altro, orrendissimo: “Syphiliques, fous, rois, pantins, ventriloques”. Tutta la poesia, meglio, tutti i suoi versi sono spregevoli, come lo è la guerra, specie quella civile.
“Les mains de Jeanne-Marie”: queste mani, da quanti anni non le rivedo! Anche se spesso, in momenti indefinibili, le evocavo, le mani di una donna a cui vorrei tanto assomigliare! “Des mains fortes, mains sombres que l’été tanna, mains pâles commes des mains mortes.”
“Ce ne sont pas mains de cousine nid’ouvrières aux gros fronts que brŭle”. Cara e da tanto tempo sconosciuta Laura, può essere che, come già prima con “des eros”, Arthur non giochi con il quasi identico suono di cuisine?
“Les sœurs de charité”: Arthur chiama queste “femme, mouceau d’entrailles”. Non è il tipo che te manda a dire. Stravolge la lingua, e il suo senso, soprattutto, per offendere meglio.
“Viennen la Muse verte”, l’assenzio? Secondo Laura, è la Natura, che consola il cuore di Arthur. Emtrambe le cose, forse. Per chi si inebria, tutto è ogni volta la stessa cosa, purché semovente.
Finalmente “Voyelles”: il diciassettenne e tre quarti ch’ero vergò questi appunti: 0 bianco (forte), 1 nero (forte), 2 rossa (debole, ma poi corretto con abbastanza forte), 3 rossa (forte), 4 giallo (fortissimo) e i (fortissimo), 5 lilla (discreto), 6 verde (forte), 7 viola (un po’) e u (forte), 8 arancione (un po’), 9 marrone (fortissimo) e o (forte), rosa e (forte).
In altre parole, non condivido le scelte di Arthur, ma le rispetto: A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu.
Inoltre, dopo quattro decenni e mezzo, aggiungo: 1, nero, 4, giallo, i, 6, verde, 7, viola, u, 9, marrone, o: maschi, le altre femmine. 0 e bianco, asessuati.
Se ti interessa, Alessia cara, un mio solidale tradusse un tempo la poesia in linguaggio dei nativi zilocches:
“A vuir, E baisn, I trosn, U snerl, O kro: faalaas,
Hi frigniè siul fox mosiench fetentes:
A, vuir snoglet snelu snac fes snuck splacnek
Fii sockenent usnuck fes snucchers prulent,
Snockl gombr; E, fruneur fes cassnel hi fes verné,
flacks fes finees gieel, fuà frech, fullog snacckels;
I, vrottesw, fran sgnacchè, viir fes freen peels
Fans ah funneel ui glies frinii scenekte;
O, duigniè Glorieoun kliin fes sgniiiak inghignè,
Sgniecches trignigni fes murmeè y fes angleè:
O Ugniacca, riijon fiiiuliit fe sii Yuii!
U, schell, virrense ftinees fes merd dirines,
Jack fes panis pescen d’ineau, jack fes ruiin
Fhi l’ariiin prennee coux franfs groott frugniue.”
“L’étoile a pleuré rose”: altri colori, perché, a quanto pare, quelli della poesiola precedente non bastavano.
“L’homme giuste”: pare e di certo è Cristo, che grida: “je suis estropié”. Lo stesso viene poi definito “plus bête et plus degûtaunt ques les lices!”. Ed anche “le lache!” e col “cerveau torpide”.
Arthur, dal canto suo, è “maudit” ed anche “soûl, fou, livide. Ce que tu voux!”
“Ce qu’on dit au poète a propos de fleurs”: una serra e un caravanserraglio che non va commentato, ma soltanto letto e riletto.
“Les premières communions”: quei “sales fous” dei preti, sono i servi di quella religione che ha reso la donna quello che è, facile da trattare come “garces”, la poesia ripercorre i tormenti che deve affrontare per accedere al sacramento. Arthur offende il nome di Gesù, il suo “basier putride”. La sua volontà iconoclasta non consente alcun rispetto per quello che riguarda la religione imperante in Francia, serva del potere.
“Les chercheuses de poux”: un tenue ricordo, due zie che cercavano nella testolina dell’infante Arthur gli eventuali parassiti epizoi… quanta tenerezza e riconoscenza mai sopita nelle sue parole…
“Le bateau ivre”: ormai libero il battello ebbro solca il “Poème de la Mer”, indifferente, e quel che è fatto è fatto, “j’ai vu”, “rêvé”, “suivi”, “heurté”, “vu fermenter les marais énormes”, e tante altre, ormai inutili, cose, che sono ammucchiate nel passato. “Mais, vrai, j’ai trop pleuré! Les Aubes sont navrantes.”
“Si je dèsire une eau d’Europe, c’est la flache noire et froide où…”
Basta! Quante volte la devo leggere ancora?!?
M’importa assai più sapere perché Laura traduce “haleur” con “bardotto”. Haleur è chi tira il battello a mano, lungo le rive des “fleuves impasibles”. Come Siddartha!
Derniers vers (gli ultimi versi-vermi)
“Larm”: “je buvais, accroupi dans quelque bruyère”
“Que pouvais-je boire dans cette jeune Oise”
“Que tirais-je à la gourde de colocase?”
“Quelque liqueur d’or, fade et qui fait suer”
“Tel, j’eusse été mauvaise enseigne d’auberge.”
“Dire que je n’ai pas eu souci de boire”, l’ultimo verso diventa, in “Alchemie du verbe”: “Pleurant, je voyais de l’or –et ne pus boire.”; anche la terza quartina è completamente mutata.
La tempesta è sempre dopo la quiete, che è sempre dopo la tempesta.
Forse non c’è troppa differenza fra i due stati in Arthur: “La rivière de Cassis”: “Mais que salubre est le vent !”, le bateau ivre continua a viaggiare…
“Comédie de la soif”:
“Les parents”: “Que faut-il à l’homme ? boire.”
“Moi”: “Aller où boivent le vaches.”
“Moi” “Ah! Tarir toutes ler urnes!”
“L’esprit”: “Dites-moi la neige”, “Dites-moi la mer.”
“Moi”: “Non, plus ces boissons pures, ces fleurs d’eau pour verres”
“Les amis”: “Viens, le Vins vont aux plages”
“L’absinthe aux verts piliers…”
“Moi”: “Qu’est l’ivresse, Amis?”
“Le pauvre songe”: “Peut être un Soir m’attend où je boirai tranquille”
“Conclusion”: “Les deniers papillon !… ont soif aussi.”
“Expirer en ces violettes humides sont les auroires chargent ces forêts?”
Perché mai, cara Laura, traduci un “?” con un “!”?!
“Bonne pensée du matin”: bucolica poesia non rimata. Chissà se i “charpentiers” hanno due o quattro zampe?
“Fêtes de la patience”
“Bannières de mai”: Arthur, sempre perennemente assetato, vuole immergersi nella Natura.
“Le ciel est joli comme un ange”: che sublimità!
“Je succomberai sur la mousse.”
“A toi, Nature, je me rendes”
“Chanson de la plus haute tou”: “J’ai perdu ma vie.”
“Et la soif malsaine obscurcit mes veines”
“Oisive jeunesse a tout asservie, par délicatesse j’ai perdu ma vie.”
L’altezza non reca mai felicità, ma solitudine.
“L’éternité”: “Elle est retrouvée. Quoi? – L’éternité. C’est la mer allée avec le soleil.”
Arthur, ormai: “Là tu te dégages et voles selon.”
“Âge d’or”: “Et puis une voix – Est-elle angélique – il s’agit de moi, vertement s’explique”
Vertement, verdemente e acutamente.
“Jeune Menage”: Arthur e amante, “la nuit, l’amie oh! La lune de miel”, in attesa dell’inevitabile “malin rat”.
“Bruxelles”: “ – Calmes maisons, anciennes passions!”
Luogo di sereno riposo per Arthur.
“Est-elle Almée?”: Sì, Arthur, è Almea.
“Se dètruira-t-elle comme les fleurs feues…”
“Fétes de la faim”: “Anne, Anne, fuis sur ton âne.”
“Si j’ai du goŭt, ce n’est guers que pour la tere et les pierres.”
“Mes faims, c’est le bouts d’air noir”
“Qu’est ce pour nous, mon cœur, mon cœur”: poesia della rivolta e della finale disillusione: “Industriels, princes, sénats, perissez! Puissance, justice, histoire, à bas!”
“Ce n’est rien! j’y suis! j’y suis toujours”
“Entends comme brame”: nessuno ti capirà, Arthur. Non è compito mio farlo, quanto lo è leggerti!
“Dans ce brouillard triste et blêmi, justement!”
“Michel et Christine”: Zut alors si le soleil quitte ces bords!”
“Michel et Christine, – et Christ ! – fin de l’Idylle.”
“Honte”: probabile momentaccio fra Arthur e Paul (Verlaine). Il primo augura al secondo di tagliarsi “sa levre, ses oreilles, son ventre! Et faire abandon de ses jambes! O merveille!”
“Mémoire”: “L’eau claire; comme le sel des larmes d’efance”
La Madame che passeggia forse è tua madre?
A chi lanceremo questa domanda?
Chi potrà mai più rispondere?
“Ô canot immobile! Oh! bras trop courts!”
“O saison o chateaux”: “Que comprende à ma parole?” – altro incantevole quesito!
“Il faut que son dédain, las! Me livre au plus prompt trépas!”
E quel Gregory Corso, dove è quel Gregory ora? Dal 17 gennaio 2001 ha attraversato, smadonnando, un tunnel che non voleva finire più, arrancando, e per giunta a piedi. Arthur sarebbe stato fiero di lui.
O no? Arthur non sarebbe stato fiero nemmeno di sé.
Rammento un suo “ti gonfio di orologi impazziti!” Non lo trovo su internet! Il libro era di un mio amico e non l’ho più con me. Finalmente rinvengo la fonte. Il titolo della raccolta, questo lo sapevo, era “Gasoline”. La canzone era “Luogo natale rivisitato”, solo che la versione prodotta è così tradotta: “lo gonfio di orologi perduti”. Noooo!
Continuo la ricerca. Non posso aspettare domani. Sennò prendo un paio d’ore di permesso o addirittura un giorno di ferie e vado in cerca dell’opera. Forza, mi dico! Ripellino, che sorseggio da troppi giorni, può aspettare. Magari non lo viene manco a sapere che gli ho preferito per una mezz’oretta un altro poeta immaginifico! E finalmente lo trovo, il poeta matto come una campana, in pdf:
Il verso originale è: “I pump him full of lost watches.” La traduzione di quel libretto letto quand’avevo quindici anni era perciò fallace, e assolutamente precisa quella nuova. Non so se la scoperta di oggi mi muterà il mio verso preferito di Gregory. Non credo affatto. Né capisco granché il significato che Greg voleva dare a quella sua minaccia fatta a “Dirty Ears”, chissà, forse Dirty Ears era Kerouac, con cui ebbe a da spartire una donna, la protagonista dei Subterreans. E la reciproca antipatia non era ancora smaltita. Non so. Ricordo il commento al verso di quell’altro matto di Allen Ginsberg: “Cosa vuol dire con questo verso Gregory? Nessuno lo sa. L’unica cosa importante è che lo abbia detto!” Amen.
“Le loup criait”: il lupo Arthur si consuma…
“Que je dorme! que je bouille aux autels de Salomon.”
“Les stupra”:
“Les anciens animaux sailissaient, même en course”
“Nos fesses ne sont pas le leurs”
“Oh! de même être nus, chercher joie et repos”
“Illuminations”
“Apres le Déluge”
“Aussitôt l’idée de deluge se fut rassisse” – siamo nel campo delle idee, delle parole, dei sogni. Arthur sogna un diluvio che sommerga ogni cosa, consapevo che però ogni cosa ritornerà come prima.
“éclairs et tonnerre, – montez et roulez; – Eaux et tristesses, montez et relevez les Déluges.”
“Infance”:
“Cette idole, yeux noirs et crin jaune, sans parents ni cour, plus noble que la fable”
“C’est elle, la petite mote, derrière le rosers”. Per cui: “D’alleurs il n’y a rien à voir là-dedans”.
Nel “bois” ci sono tante cose: soprattutto: “Il y a enfi, quando l’o a faim et soif, quelq’un qui vous chasse”.
“Je suis le saint”: il fatto è ininfluente.
Per cui: “Qu’on me loue enfin ce tombeau.” Perché mai “une apparence de soupirail blêmirait-elle au coin de la voûte”.
“Conte”: “Un prince était vexé de ne s’etre employé jamais qu’à la perfection des générosités vulgaires…”
“Un Génie apparut, d’une beauté ineffable, inavouable même…”
“Le Prince et le Génie s’anéantirent probablement dans la santé essentielle… ”
“Le Prince était le Génie. Le Génie était le Prince”.
Il Principe muore, il Genio giammai.
“Parade”: “J’ai seul la clef de cette parade sauvage”.
Tranquillo, nessuno te la toglierà mai.
“Antique”: “Ta poitrine rassemble à une cithare”: la terrò a mente ogni volta che passo per Cetara.
“Being beauteois”: un autre etre! Ma “un Etre de Beauté de haut taille”, che se scutulia sano sano!
“Oh! nos os sont revêtus d’un nouveau corps amoreux.”
“Vies”:
“Je vous indiquerais les richesses inouïes. J’observe l’histoire des trésors que vous trouvâtes. Je vous la suite ma sagesse est aussi dédaignée que le chaos… ”
“Je suis un inventeur bien autrement méritant que tous ceux qui m’ont précédé; un musicien même, qui ai trouvé quelche chose comme la clef de l’amour.”
“Dans un grenier où je fus enfermé à douze ans j’ai connu le monde, j’ai illustré la comédie humaine.”
“Depart”: Mon poème préféré!
“Assez vu.”
“Assez eu.”
“Assez connu.”
“Départ dans l’affection et le bruit neus!”
“Royaute”: chi sono “un homme et une femme superbes”?
L’un et son autre !
“A une raison”: “Change nos lors, crible les fléaux, à commencer par le temps”
“Matinéee d’ivresse”:
“O mon Bien ! O mon Beau!”
“Voici le temps des Assassin”
Hascisch!
“Phrases”: frasi senza senso, se non quello che dà loro Arthur.
“J’ai tendu des cordes de clocher à clocher”: des guirlandes de fenêtre à fenêtre; des chaînes d’or d’étoileà étoile, et je dans.”
“Ouvries”: “Danz une flache laisée par l’inondatation du mois précédent à un sentier assez haut, elle me fit remarquer de très petits possons”: pesciolini che sguazzano nelle pozzanghere, miracolo!
“Les ponts”: “Un rajon blanc, tombant du haut du ciel, anéantit cette comédie”: cubiste comédie, dice giustamente Laura.
“Ville”: “La morale et la langue sont réduites à leur plus simple expression, enfin!”
“Ornieres”: “Défilé de féeries.”
“Villes”: “Ce sont de villes!” ovviamente, ce sera tôt ou tard!
“Vagabonds”: “Pitoyable frere! Que d’atroces veillés je lui dus!”
“Je répondais e ricanant…”
“Villes”: Ad Arthur interessa costruire “l’acropole officielle”
A me intrigano quei *** dopo “sont déjà plus fiers des…”
“Veillées”:
“C’est le repos éclairé.”, “L’ami.”, “L’aimée.”, “La vie.”, “Et le rêve fraîchit.”
“Rêve intense et rapide de groupes sentimentaux….”
“Le lamps et le tapis de la veillés font le bruit des vagues…”
“Mystique”: Quale verso scegli mio caro autre? Ce qui n’existe pas!
Subito dopo: “Sur la pente du talus les angels tournent leurs robes de laine dans les berbages d’acier et d’émeraude”
“Aube”: “J’ai embrassé l’aube d’été.” “Au réveil il était midi.”
Nulla più, a parte tutto il resto.
“Fleurs”: fra gli altri, Arthur scorge “la digitale s’ouvrir sur un tapis de filigranes d’argent, d’yeux et de chevelreus”. Di quest’erba le cui foglie hanno poteri narcotici, dai luminosi fiori purpurei, ne parla, ma solo nel titolo, Giovanni (Pascoli): “quel fiore… quel fiore di…? morte!”
“Nocturne volgaire”: “- Ici va-t-on siffler pour lìorage, et les Sodomes – et les Solymes, – et le bêtes féroces et le armées…”
Turbinio consueto (per Arthur, tale) d’immagini, odori, suoni, colori…
“Marine”: versi liberi che di più non si può, in cui quel che è marino si terrenizza “les courants de la lande” e quel che è terrestre si marinizza “les ornières immenses du reflux”.
“Fête d’hiver”: posso citarla tutta? No? Allora bisogna solo leggerla.
“Angoisse”: “Elle”, “La Vampire qui nous rend gentils…”
“Métropolitan”: “Elle”
“La ville!”
“La bataille!”
“la campagne!”
“le ciel!”
“ta force.”
“Barbare”: “Le pavillon en viande saignante sur la soie des mers et des fleurs arctiques ; (elles n’esisten pas).”
Fa lo stesso.
“Solde”: Arthur vende, svende, regala, liquida.
“A vendre”
“A vendre”
“A vendre”
“A vendre”
“A vendre”
“Fairy”: “Pour Hélène…” “Pour l’enfance de Hélène frissonnerént les fourrures et les ombres…”
“Guerre”: “C’est aussi simple qu’une phrase musicale.”
“Jeunesse”:
I : “Dimanche”: “Un cheval détale sur le turf suburbain…”
II : “Sonnet”: “Homme de costitution ordinaire, la chair n’étati-elle pas un fruit pendu dans le verge” (“pendu dans la verge ?”)
III : “Vingt ans”: “Les airs et le formes mourant…”
IV : titolo non pervenuto, il resto sì: “En tout cas, rien des apparences actuelles…”
“Promontoire”: “Palais-promontoire” da cui ogni cosa se la si dice accade.
“Scenes”: Il mondo è il teatro che è il mondo che è il teatro.
“Lcienne Comédie”, “Des boulevards de tréteaux” “Un long pier en bois d’un boit à l’autre d’un champ rocailleux où la foule barbare évoule sous les arbres dépouillés”, “dans des corridors”, “Des oiseaux des mystères”, “Des scènes lyriques”, “La féerie manœuvre au sommet d’u amphithéâtre”, “L’opèra comique se divise sur notre scène à l’arête d’intersection de dix cloisons dresseés de la galerie aux feux.”
“Soir historique”:
“En quelque soir, par example, que se trouve le touriste naif…”
“Non!”
“Cependant ce ne sera point un effet de légende!”
“Bottom”:
“La réalité étant trop épineuse pour mon grand caractère…”
“Tout se fit ombre ed aquarium arden…”
“H”:
“Toutes les monstruosités violent les gestes atroces d’Hortense”
“O terrible frisson des amours novices sur le sol sanglant et par l’hydrogène clarteaux! Trouves Hortense”
Hortense c’est moi!
“Mouvement”:
“et la nouveauté chimique”
“cherchant la fortune chimique personelle”
“un couple de jeunesse s’isole sur l’arche, – Est-ce ancienne sauvagerie qu’on pardonne ? et chante et se poste”
“Devotion”:
“A madame ***”
“A l’adolescent que je fus. A ce saint vieillard, ermitage ou mission.”
“A l‘esprit des pauvres…”
“A tout prix et avec tous les airs, même dans des voyages métaphysiques. – Mais plus alors.”
La critica è felicemente impotente!
“Democratie”:
“Au revoir ici, n’importe où.”
“nous aurons la philosophie féroce”
“ignorants pour la sciense, roués pour le confort”
“la crevaison pour le monde qui va”
“C’est la vraie marche.”
“En avant, route!”
“Genie”: tutto il tuo genio e la mia ingenuità nel leggerti, Arthur.
“O monde! et le chant clair des malheurs nouveaux!”
Chi conosce Arthur Rimbaud, non dimentica mai che una parte di Arthur è sempre dentro di sé.
Sento il bisogno di tornare indietro… ancora e per sempre devo sapere cosa una parte di me scrisse: … ma ogni tanto lo riprendevo in mano e correvo all’incipit di “Une saison en enfer”, … che è così straordinariamente imparato a memoria, che non riesco a scegliere il verso da citare più degli altri… creerei un’ingiustizia…
“Mauvais sang”: “J’ai de mes ancêtres gaulois” (gaulois boi) sento di avere soprattutto il pregio di essere “le ecorcheur de bêtes, le brûleur d’herbes le plus inepte de mon temps”. La mia inettitudine, per fortuna, non riguarda solo lo scorticare bestie e l’incendiare l’erba, ma attiene a quasi tutto lo scibile e la manovalanza umana. È grazie a tale mia demenza che sono qui, ora.
“J’hai horreur de tous le métiers…”, soprattutto quello per cui mi sono guadagnato la vita nelle ultime quattro decine di anni…
“Si j’avais des antécédents a un point quelconque de l’histoire de France”: l’unico antecedente che ho nella storia del mondo sono io da bambino, pochissimi quarti di secolo fa.
Anch’io sono stato di “race inférieure”, talmente e incommensurabilmente tale, che è ormai cessato il senso di alcun paragone.
“Mais toujour seul; sans famille”: e qui colgo la mia diversità da te, Arthur: la famiglia è sempre stata la catena che più mi ha assicurato al suolo. E la dimentico, senza mai scordarla, solo in uno di quei momenti.
“J’attendes Dieu avec gourmandise. Je suis de race inférieure de toute éternite”. Io attendo e non attendo. Attendo la nostra comune sorella, che mi staccherà un biglietto per Vedremopoidove. Ma in fondo non sono in attesa di nulla. Ho altro da fare.
“On ne part pas”. Questa è la vita, un’eternamente mancata partenza.
“A qui me louer?”: ho deciso che appartengo a tutti o a nessuno, quindi a me stesso.
“Encore tout enfant, j’admirais le forçat intraitable sur qui se referme toujours le bagne”: io provo, oggi come oltre quarant’anni fa, un’ammirazione sconfinata per Felix Milani, un corso che fu condannato forse innocente o forse no, e che fu deportato alla Cayenne, all’Île du Diable. E ricordo sempre il suo motto: “Mon droit, forçat”.
Anch’io, come te, “au matin j’avais le regard si perdu et la contenance si morte que ceux quel j’ai rescontres ne m’ont peut-etre pas vu.” Anche se siamo nudi, pochi se ne accorgono (è un grandissimo privilegio). Mi piacerebbe far ridere il tuo spettro, mon cher Arthur (“l’affreux rire de l’idiot”). Una volta giocai a pallone con degli amici, L’ala avversaria, a cui i compagni non la passarono mai, vedendolo così oppresso da me, mai la toccò, e neanch’io. Mentre ci si faceva la doccia, un mio compagno mi mandò un accidente perché non mi ero presentato alla partita…
Ma… “Plus de mots. J’ensevelis les morts dans mon ventre. Cris, tambour, danse, danse, danse! Je ne vois même pas l’heure où, le blancs débarquant, je tomberai au néant”.
Anzi, ora che ci penso, non sarà meglio fingere di essere uno di loro? la chiarezza della mia pelle mi aiuterà. E anch’io, quando “le blanc debarquent”… credo, anzi, fingo di farlo, che “La ragion m’est née”. E che “le mond est bon”. Si fa per dire, naturalmente!
E non ho mai compreso del tutto se la mia e la tua, caro Arthur, falsità sia la forma estrema di sincerità.
“En marche!”
“Nuit de l’enfer”: “J’ai avalé une fameuse gorgée de poison”. Altra differenza col sottoscritto, non avendo io mai assunto droghe. Il tuo più grande ammiratore, a parte un autre, Henry Miller diceva che a lui bastava un bicchiere d’acqua per inebriarsi. La cosa è davvero poco importante, anche se (già lo dissi) ho quasi litigato con quell’amico che affermava che leggere un poeta che ha ricorso a droghe sia immorale. Molto più corretto leggere gli altri, più salubri. Altri, ma tutti?, gli ho chiesto, con greve ironia!… Altri, diceva, hanno la precedenza. Per me la precedenza ha l’intrepido caso che mi ha fatto conoscere tre, quando avevo la tua età, e mi ha spinto a re-incontrarti ora, che essa mi si è ripresentata, più canuta, ma non meno demente di prima.
“J’ai soif, si soif!” – Anch’io ho sete, di cosa, se non di libertà e di tutto il resto?
“… plus de foi en l’histoire, l’oubli des principes”: io ne ho orrore, perché sono stanco di sentir dire che la storia è lo studio degli eventi umani, no! È la sua vile imposizione!
“Dècidément, nou sommes hord du monde. Plus aucun son. Mon tact a disparu.” Come vorrei essere io, fuori del mondo. Non sentirne più il suono. Noli me tangere! Qualcosa, qualcuno mi trattiene.
“Delires”
“L’epoux infernal”, la “Vierge folle”: “Drole de ménage”. Arthur e Paul. Nulla da aggiungere. Se non che. “Il dit: ‘Je n’aime pas les femmes. L’amour est à réinventer, on le sait… ”
“Alchimie du verbe”: “La viellerie poétique avait une bonne part dans mon alchimie du verbe.” Per produrre nuove sostanze occorre bruciacchiare le vecchie.
“Je devins un opéra fabuleux: je vis que tous le êtres ont une fatalité de bonheur”
“A chaque être, plusieurs autres vies me semblaient dues”.
“Cel s’est passé. Je sai aujourd’hui saluer la beauté.”
“La morale est la faiblesse de la cervelle”
“L’impossible”: “J’ai eu raison de mépriser ces bonshommes qui ne…”
“Je m’évade”.
La terza differenza, la peggiore. Io non so disprezzare la mia vita, né gli esseri che l’hanno attraversata. Nessuno di loro. Essi rimarranno sempre coinvolti dentro di me, entangled. Non voglio evadere, perché farlo non ha senso, ovunque io vada, io sarò con ciascuno di loro.
Questo vale per gli esseri a due zampe, a quattro, e a quelli di cellulosa.
“… Meux deux sous de raison son finis” – si sono trasformati, ma torneranno.
“O pureté! pureté!”
“C’est cette minute d’éveil qui m’a donné la vision de la pureté! – Par l’esprit on va à Dieu!
“Dechirante infortune!”
“L’éclair”: “Le travail humain! C’est l’explosion qui éclaire mon abîme de temps en temps.”
Sebbene io non desideri produrre alcunché per quella spregevole schiatta umana a cui appartengo… ancora credo nella luminosità dell’azione umana. Perché “Rien n’est vanité”.
Tutto è ignominioso commercio d’armi e di gente disperata.
“Matin”: “N’eus-je pas une fois une jeunesse aimable, heroïque, fabuleuse, à ècrire sur de feuilles d’or, trop de chance !”
Qualcosa che si chiama illusione. Che poi sia eterna, non è che un’aggravante.
“Le chant des cieux, la marche des peuples! Esclaves, ne maudissons pas la vie.”
Anche se, come dissi, coltiverò fino alla fine dei miei giorni il dubbio sulla tua lealtà, caro amico mio, fingerò di credere alla tua estrema speranza.
“Adieu”: “J’ai vu l’enfer des femmes là-bas! – et il me sera loisible de posséder la vérité dans une âme et un corps”
Non so cosa ho visto in te, Arthur, ma cercherò di rammentarlo per l’eternità.
Perché si legge un libro? Per entrare nella vita dell’Altro. Perché si scrive un libro? Per entrare nella vita dell’Altro. Entrambi gli atti sono un cercare i se stessi fuori di sé. Così è?
Written by Stefano Pioli
Note
[1] «[Il brano] È nato da una specie di romanzo familiare applicato ad una ragazza che a 16 anni si era trovata a fare la prostituta ed era stata scaraventata nel Tanaro o nella Bormida da un delinquente. Un fatto di cronaca nera che avevo letto a quindici anni su un giornale di provincia. La storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte.» – Fabrizio De André, da un’intervista con Vincenzo Mollica (1997) – Fonte Wikipedia
Bibliografia
Arthur Rimbaud – Poesie – Newton Compton Editori 1975
Angelo Maria Ripellino – Notizie dal diluvio-Sinfonietta – Lo splendido violino verde – Einaudi 2007
Gregory Corso – Poesie – Guanda 1975
H. Miller – Tempo degli assassini – Oscar Mondadori