“Diario intimo” di Henri-Frédéric Amiel: il tempo è un movimento dell’eternità – dicembre 1863/1870/1872/1880
“… Comprendere le cose significa essere stato nelle cose, poi esserne uscito; ci vuole dunque cattività, poi liberazione, illusione e disillusione: entusiasmo e disinganno.
Colui che è ancora sotto il fascino, colui che non ha subìto il fascino sono ugualmente incompetenti. Si conosce bene soltanto ciò che si è creduto e poi giudicato.” – Henri-Frédéric Amiel
Nel mese di dicembre ma nel 1863, 1870, 1872 e 1880 il filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel (Ginevra, 27 settembre 1821 – Ginevra, 11 maggio 1881) scriveva le sue quotidiane riflessioni nel Diario Intimo.
Amiel non è celebre, non ha avuto la fortuna di altri filosofi e poeti dell’800, la sua non è stata una vita “di corte”, di società ma una vera e propria esistenza donata al Pensiero.
Eppure, malgrado l’atteggiamento da eremita, con il suo Diario Intimo ha mostrato tutte le piaghe della società a lui contemporanea e che si sono moltiplicate nella nostra attuale.
In 16.840 pagine il Journal Intime disegna perfettamente ciò che è accaduto in Europa in 150 anni. Alla sua morte furono pubblicate alcune pagine scelte in “Fragments d’un Journal intime” decretate come fenomeno letterario molto interessante, e successivamente nel 1923 il filologo e docente svizzero Bernard Bouvier pubblica una selezione più ampia.
Henri-Frédéric Amiel è tagliente, non accomoda alcun partito, alcuna fazione, il suo scrivere è portare alla luce, è trasmettere il canto, è ragionamento continuo che non ha pretesa di pubblicazione editoriale né di ammirazione da parte degli altri intellettuali contemporanei.
E forse è per questi semplici motivi che il Journal Intime è vero e si presenta come il dialogo di un uomo con l’anima.
Una rarità nel mondo post illuminista che volgeva l’interesse verso la velocità e la produzione, verso la mercificazione dell’essere umano, sulle basi di quello che noi abbiamo chiamato capitalismo.
Abbiamo deciso di selezionare alcuni brani di questo grande filosofo augurandoci di potar ai lettori di oggi qualche riflessione interessante dando la possibilità di curiosare all’interno di un libro diventato pressoché introvabile.
Siamo partiti dal gennaio del 1866 con una bellissima pagina di diario nella quale il nostro filosofo esortava se stesso ed il possibile lettore alla contemplazione. La selezione di febbraio ci ha portati nel 1869 con il discorso della facoltà di conoscere, a marzo 1868 abbiamo attraversato le facoltà di metamorfosi, aprile del 1850 è stato il mese in cui abbiamo visto come la coscienza possa essere duplice e ci siamo soffermati sull’importanza del matrimonio. A maggio siamo stati a cavallo tra il 1852 ed il 1855 esaminando come la parola possa essere rivelazione, le pagine selezionate condividono l’interrogazione sulla parola e sull’abisso che risiede in ognuno essere umano ma che viene cercato da pochi. Nella selezione del mese di giugno ci siamo trovati nel 17 giugno 1857 e nel 25 giugno 1865, Amiel si interrogava sul come debba agire un uomo di cultura e rifletteva sulla dualità delle lacrime. A luglio (1856 e 1859) descriveva l’uomo europeo con le sue diversità culturali prendendo ad esame la Germania, l’Italia, l’Inghilterra e la Francia. Per il mese di agosto (1852 e 1859) si è deciso di selezionare tre giornate nelle quali spicca la riflessione sull’uomo d’ingegno e l’uomo di genio, sull’essere un pianeta oppure una stella. Il mese di settembre (1855 e 1863) ha trattato la caduta dell’essere umano nell’abisso con la riflessione dell’impossibilità del sapere tutto, quando l’universo delle idee diventa fumo. Ad ottobre (1851 e 1875) Amiel definisce la sua epoca come l’era della mediocrità nella quale “L’utile sostituirà il bello, l’industria l’arte, l’economia politica la religione, l’aritmetica la poesia.” Nel mese di novembre (1849, 1972 e 1879) abbiamo presentato la riflessione sulla tendenza dell’uomo di cancellare ciò che è originale a beneficio di un livellamento e teso verso quel lavorìo interiore che ogni uomo deve ricercare dentro si sé.
Ed è così che siamo arrivati a dicembre e terminato quest’anno di letture consigliate dal Diario intimo dello stimato Amiel. Sveliamo, in chiusura della nostra rubrica, il nome della donna a cui il nostro amato filosofo lasciò in punto di morte queste pagine straordinarie: Fanny Mercier.
Per la selezione del mese di dicembre verte su diversi aspetti della vita psichica dell’uomo. Passiamo dal 4 dicembre 1863 con la bramosia di vivere da saggio “conservando l’armonia nell’anima“, traendo il sapore della vita ad ogni età vissuta, vivendo con gratitudine, coraggio ed in contemplazione della vita nell’ordine, la vita in Dio.
Qualche anno dopo, ed esattamente il 6 dicembre 1870, Amiel sta leggendo Johann Wolfgang von Goethe soffermandosi su una profonda poesia del poeta tedesco: “la persistenza nella mobilità”; si apre, dunque, una concezione del tempo e dell’eterno di grande interesse.
Ore nove e tre quarti di mattina del primo dicembre del 1872, l’influenza della filosofia orientale si osserva non solo dall’uso del sostantivo femminile sanscrito māyā ma anche dalla chiusura della pagina di diario nella quale, parlando del sogno, sostiene: “Cominciamo da orientali e finiamo da occidentali: sono le due metà della saggezza.” Una frase del genere estrapolata dal contesto quasi la si potrebbe leggere come una sorta di profezia sulla fine dell’era dell’uomo così come lo abbiamo conosciuto, la fine della cultura filosofica che si interroga sull’anima, su ciò che pre-esiste ed esiste nella materia.
Ed in chiusura, quel 30 dicembre 1880 nel quale Amiel ci ha sussurrato la via da seguire pesando ogni parola con quella sua lodevole semplicità: “Colui che è ancora sotto il fascino, colui che non ha subìto il fascino sono ugualmente incompetenti.” Questo diario è per coloro che solitari si aggirano tra veglia e sogno, per coloro che hanno affrontato la sete con entusiasmo e disinganno e che, successivamente, si sono trovati a percorrere la via in rigoroso silenzio contemplativo.
4 dicembre 1863
Tutto il segreto di restar giovani a dispetto degli anni e dei capelli bianchi è di proteggere in sé l’entusiasmo, per mezzo della poesia, della contemplazione e della carità, cioè, più brevemente, conservando l’armonia nell’anima.
Quando ogni cosa è al suo posto in noi, possiamo restare in equilibrio con l’opera di Dio. Il fondo della saggezza forse è l’entusiasmo grave per la bellezza eterna e per l’ordine eterno, la ragione commossa e la bontà serena.
La saggezza! Tema inesauribile! Una specie d’aureola beata circonda ed illumina questo pensiero, che riassume tutti i tesori dell’esperienza morale ed è il frutto più maturo di una vita ben impiegata. La saggezza non invecchia, poiché è l’espressione dell’ordine stesso, cioè dall’esterno.
Il saggio soltanto trae dalla vita e da ogni età tutto il suo sapore, perché ne sente la bellezza, la dignità e il prezzo. I fiori della giovinezza appassiscono; ma l’estate, l’autunno ed anche l’inverno dell’esistenza umana hanno la loro maestosa grandezza, che il saggio riconosce e glorifica.
Vedere tutte le cose in Dio, fare della propria vita la traversata ideale, vivere con gratitudine, raccoglimento, dolcezza e coraggio: è la magnifica concezione di Marco Aurelio; aggiungervi l’umiltà che s’inginocchia e la carità che si dedica, è la saggezza dei figli di Dio, è la gioia immortale dei veri cristiani.
– Ma che cattivo cristianesimo quello che dice male della saggezza e ne fa a meno! – In questo caso preferisco la saggezza, che è una giustizia resa a Dio, anche in questa vita.
Il segno di una falsa concezione religiosa sta nel prorogare la vita e nel distinguere l’uomo santo dall’uomo virtuoso. Questo errore è un po’ quello di tutto il Medio Evo e forse del cattolicesimo nella sua essenza. Ma il cristianesimo vero dev’essere purgato da tal errore funesto.
La vita eterna non è la vita futura, è la vita nell’ordine, la vita in Dio, e il tempo deve imparare a considerarsi un movimento dell’eternità, un’ondulazione nell’oceano dell’essere. L’essere che si percepisce sotto la categoria del tempo può prendere coscienza della sostanza di questo tempo, che è l’eternità. E vivere mantenendo la propria coscienza sub specie aeterni significa essere saggio; personificando l’eterno, significa essere religioso…
6 dicembre 1870
Dauer im Wechsel, “la persistenza nella mobilità”, questo titolo di una poesia di Goethe è la parola d’ordine della natura. Tutto cambia, ma con rapidità così disuguali, che una data esistenza appare eterna per l’altra; così un’età geologica paragonata alla durata dell’essere, così il pianeta paragonato ad un’età geologica appaiono eternità, come la nostra vita paragonata alle mille impressioni che ci traversano in un’ora.
Da qualunque parte si guardi, ci si sente assediati dall’infinità degli infiniti. La visione seria dell’universo dà lo spavento. Tutto sembra così relativo, che non si sa più ciò che ha un valore reale.
Dov’è il punto fisso in questo baratro senza limiti e senza fondo?
Non sarebbe forse ciò che percepisce i rapporti, in altri termini il pensiero, il pensiero infinito? Considerarci nel pensiero infinito, sentirci in Dio, accettarci in lui, volerci nella sua volontà, in una parola la religione, ecco ciò che è immutabile.
Sia questo pensiero fatale o libero, il bene sta nell’identificarsi con esso. Lo stoico come il cristiano s’abbandonano all’Essere degli esseri, che l’uno chiama saggezza sovrana e l’altro sovrana bontà.
San Giovanni dice: Dio è luce, Dio è amore.
Il bramino dice: Dio è la poesia inesauribile.
Orbene, diciamo: Dio è la perfezione.
E l’uomo? L’uomo nella sua impercettibile piccolezza ed inesprimibile fragilità può concepire l’idea della perfezione, collaborare alla volontà suprema e morire cantando osanna.
1° dicembre 1872 (ore nove e tre quarti di mattina)
La potenza del sogno di fondere insieme gl’incompatibili, d’unire ciò che si esclude, d’identificare il sì e il no, costituisce la sua meraviglia e al tempo stesso il suo simbolismo.
In sogno la nostra individualità non è chiusa, abbraccia per così dire ciò che la circonda, è il paesaggio e tutto il contenuto, noi compresi. Ma se la nostra immaginazione non è nostra, se è impersonale, la personalità non è che un caso particolare e ridotto delle sue funzioni generali. A più forte ragione ciò vale per il pensiero.
Il pensiero potrebbe essere senza possedersi individualmente, senza concretarsi in un io. In altri termini il sogno conduce all’idea di un’immaginazione affrancata dai limiti della personalità, e anche di un pensiero che non è più cosciente. L’individuo che sogna sta dissolvendosi nella fantasia universale di Maia. Il sogno è un’escursione nei limbi, una semiliberazione dalla prigione umana.
L’uomo che sogna non è più che un luogo di fenomeni vari, di cui è spettatore suo malgrado; è passivo ed impersonale, è il trastullo delle vibrazioni sconosciute e dei folletti invisibili.
L’uomo che non uscisse dallo stato di sogno non arriverebbe mai all’umanità propriamente detta. Ma l’uomo che non avesse mai sognato non conoscerebbe che lo spirito già formato e non potrebbe comprendere la genesi della personalità; assomiglierebbe ad un cristallo, incapace di indovinare la cristallizzazione.
Così la veglia esce dal sogno, come il sogno emana dalla vita nervosa e come questa è il fiore della vita organica. Il pensiero è il culmine di una serie di metamorfosi ascendenti, che si chiamano natura. La personalità ritrova allora in profondità interiore ciò che perde in estensione, e compensa la ricchezza della passività ricettiva col privilegio enorme della direzione di sé, che si chiama libertà.
Il sogno, confondendo e sopprimendo tutti i limiti, ci fa sentire la severità delle condizioni legate all’esistenza superiore; ma il pensiero cosciente e volontario soltanto fa conoscere e permette d’agire, cioè esso soltanto è capace di scienza e di perfezionamento.
Dunque sogniamo volentieri, per curiosità psicologica e per nostro riposo: ma non diciamo male del pensiero, che fa la nostra forza e la nostra dignità. Cominciamo da orientali e finiamo da occidentali: sono le due metà della saggezza.
30 dicembre 1880
… Comprendere le cose significa essere stato nelle cose, poi esserne uscito; ci vuole dunque cattività, poi liberazione, illusione e disillusione: entusiasmo e disinganno.
Colui che è ancora sotto il fascino, colui che non ha subìto il fascino sono ugualmente incompetenti. Si conosce bene soltanto ciò che si è creduto e poi giudicato.
Per possedere bisogna esser stato posseduto ed aver conquistato la propria indipendenza.
Per comprendere bisogna essere liberi, ma non esserlo stati sempre.
Ciò è vero, si tratti dell’amore, dell’arte, della religione, del patriottismo, ecc.
La simpatia è la prima condizione della critica. L’emozione è il piedistallo della ragione e l’antecedente della giustizia.
– Per questo motivo Gesù e poi Maria sono stati adorati più del Padre; il fedele vuole un Dio divenuto umano, che abbia attraversato la vita e il dolore, che abbia conosciuto la prova, portato la sua croce o sentito sette spade nel cuore; perché l’uomo allora si sente meglio compreso nella sua miseria e nella sua desolazione. Un giudice impassibile fa paura.
Bibliografia
“Frammenti di un giornale intimo” di Henri-Frédéric Amiel (Unione Tipografico – Editrice Torinese, 1967, a cura di C. Baseggio)
2 pensieri su ““Diario intimo” di Henri-Frédéric Amiel: il tempo è un movimento dell’eternità – dicembre 1863/1870/1872/1880”