“Exitus” di Salvatore Enrico Anselmi: la sapienza del bravo tessitore

È sempre più raro incontrare persone che sappiano raccontate qualcosa come si deve: e sempre più spesso si diffonde l’imbarazzo quando, in una compagnia, qualcuno esprime il desiderio di sentir raccontate una storia.” W. Benjamin, Il narratore

Exitus di Salvatore Enrico Anselmi
Exitus di Salvatore Enrico Anselmi

Exitus, in quanto titolo complessivo del libro d’esordio di Salvatore Enrico Anselmi, è la parola-chiave che unisce i tre racconti in esso contenuti.

Exitus è un termine latino connesso con il verbo exeo, a sua volta composto dalla preposizione ex, indicante allontanamento da un luogo chiuso ad un luogo aperto, e dal verbo eo, corrispondente all’italiano ‘io vado’: il sostantivo esprime pertanto l’allontanamento, la partenza, l’uscita, concetti che possono essere intesi sia in senso relativo che assoluto fino ad abbracciare anche l’uscita definitiva dalla vita, ovvero la morte.

La nozione dell’exitus accomuna e definisce i protagonisti delle tre storie coinvolte nel libellus di questo giovane autore. Non solo perché essi escono di scena ad un certo punto delle loro rispettive peripezie, ma anche perché le loro stesse vicende tra loro sono collegate. Del resto ogni uscita implica un passaggio e il passaggio mette in relazione cose o persone lontane: e di fatto exitus annovera tra i suoi significati anche passaggio. E in effetti sembra quasi che i narratori così come i protagonisti delle tre narrazioni “si passino” letteralmente il testimone nel succedersi gli uni agli altri.

Del resto in latino la nozione del narrare si può esprimere anche con il verbo serĕre che vuol dire, infatti, intrecciare, intessere, legare insieme, connettere, unire, concatenare. Il narrare, dunque, è sempre un collegare e un unire. Anche quando i racconti non diventano romanzo. E tali devono essere considerate le tre storie intessute in Exitus.

L’attenzione filologica ed etimologica che ho mostrato nell’incipit di questa recensione non vuole essere un’ostentazione di erudizione vuota e sterile, ma il mio omaggio a Salvatore Enrico perché il suo stesso raccontare, per il modo in cui è portato avanti, mi ha indotta a porre più attenzione alle parole, al loro valore e a come esse vengano intrecciate con altre nella stesura di un testo. E con testo la metafora “tessile” prosegue, perché testo deriva da textus, propriamente participio passato di texo, ‘tessere’, ‘intrecciare’, ‘comporre’, ma anche sostantivo indicante il tessuto, l’intreccio, la trama, la narrazione. E a questo tutti dovremmo rivolere la nostra considerazione.

E Anselmi bada a tutte queste implicazioni con la sapienza di un bravo tessitore: infatti, la prima cosa che ho apprezzato incominciando a leggere il suo volume, è stata una sensazione di pacificazione, di serenità, di calma, come se le storie narrate fossero una sorta di “evasione letteraria” dalla realtà e dai suoi drammi: e l’arte, in genere, ha anche una funzione catartica. Il motivo principale per cui, leggendo questi tre racconti mi sentivo così, è costituito dal come sono scritti.

Ciò non significa, ovviamente, che il contenuto delle vicende non sia interessante, anzi direi che la lettura risulta piacevole proprio per la capacità di Anselmi di tessere insieme forma e contenuto, adeguando la prima al secondo. Questo è sintomo di cura, di labor limae, di fatica letteraria, tutti concetti cari a chi ha una formazione classica.

E così, ad esempio, il primo testo, La stagione agra, è organizzato come uno scambio epistolare, in absentia, tra il pittore Francesco Olgiati e il figlio Lorenzo. Francesco, prima di lasciare definitivamente questa vita, esce di scena ritirandosi in un locus amoenus, in campagna e qui scrive al figlio una lettera-testamento. Francesco è un uomo di cultura, un tipo impostato, ed è completamente diverso dal figlio, ma in questa lettera egli si mette a nudo confessando tutti gli episodi della sua vita che non lo rendono l’uomo perfetto che egli si è sempre sforzato di apparire in vita, spesso anche criticando, con un velo di saccenza Lorenzo.

Nel confessarsi, tuttavia, Francesco mantiene uno stile elegiaco, sentimentale, ma non sentimentalistico e non perde mai l’occasione per lasciarsi andare con le sue digressioni culturali sulla musica, sull’arte, sulla letteratura, sulla pittura, ma anche sulla vita, l’amore, la natura. L’effetto è come quello di una cornice che, posta davanti al dolore di un uomo sofferente perché in fin di vita, è in grado di realizzare una sorta di catarsi nella forma, come riusciva benissimo a Francesco Petrarca.

Alla serie di epistole paterne risponde Lorenzo con una missiva posta a fine racconto e scritta quando ormai l’uscita di Olgiati senior dalla vita si è consumata. Da questa lettera emerge un Olgiati junior molto più maturo e più uomo di quanto non sembrasse inizialmente. Bravo è Anselmi a mimetizzarsi nella voce che di volta in volta narra, usando uno registro più sofisticato quando parla il padre e uno più comune quando parla il figlio. Impossibile non cogliere nelle lettere di Francesco un tono di falsa modestia, anche nei punti in cui ammette le sue debolezze e le sue meschinità. Nei punti in cui il pittore argomenta sull’arte figurativa è impossibile non ritrovare le competenze dello scrittore che nella vita è uno studioso di Storia dell’Arte, come potrete leggere nella quarta di copertina dell’opera.

Salvatore Enrico Anselmi
Salvatore Enrico Anselmi

Il secondo racconto, Bovary, sembra non avere nessun legame con il primo. Ciò è evidente, in primis, dalla sua struttura narrativa che è in terza persona, benché la voce narrante sia onnisciente come si evince dal lungo incipit di natura riflessivo-argomentativa che, pur presentano considerazioni generali concernenti l’uomo, l’ambiente e l’educazione, è chiaramente cucito sulla personalità del protagonista della storia, Carlo Rusticucci, uomo normalissimo se non mediocre che vive meccanicamente e in modo piatto tutte le fasi di passaggio della sua vita (studi, lavoro, relazioni, matrimonio, paternità), privo di uno spirito critico proprio.

Tale rimarrà nonostante le tormentate vicende sentimentali burrascose che sconvolgeranno la sua vita normale, non brutti scherzi del destino, ma trappole tesegli da Piero, conoscente di vecchia data, spirito narcisista, dandy, desideroso di “far soffrire Rusticucci, ovvero la personificazione di un cretino”. Lo farà intromettendosi nel suo matrimonio, in modo subdolo e crudele. Il finale riserva sorprese e più di un exitus; uno di questi riguarderà la possibilità di intravedere in Carlo un buon padre, al di là dei suoi limiti. La trama stessa e le continue trasposizioni per cui Rusticucci e sua moglie vengono chiamati rispettivamente Charles ed Emma, fanno capire l’allusività letteraria del titolo imposto alla storia.

Il racconto contiene en passant un cenno a Lorenzo Olgiati, il co-protagonista della storia precedente, presentato come un amico di Piero. Sembrerebbe un riferimento privo di significato, solo un formale collegamento con La stagione agra; in realtà esso costituisce un elemento medio che congiunge tutte e tre le vicende raccolte in Exitus: non soltanto per le uscite di scena che le caratterizzano, ma anche perché Lorenzo Olgiati, su suggerimento paterno e ispirandosi alla storia di Piero, scriverà un suo racconto, coincidente con Sebastien prima di Valmont che chiude la nostra raccolta. Tutto ciò è spiegato da Olgiati stesso in una sorta di prologo posto prima del racconto e strutturato come una lettera al padre defunto.

Come anticipato nel prologo l’ultima storia riguarda un uomo che, a causa di una sofferenza sentimentale mai elaborata, si trasforma una persona spergiura, traditrice, narcisista, non più in grado di amare. Per lui l’exitus, dunque, è il passaggio ad un altro tipo di vita, conseguente all’exitus della donna amata.

Con la solita coerenza, Anselmi annuncia già nel titolo il cambiamento di Sebastien in Valmont e continua a farlo per buona parte della narrazione iterando la formula “Prima di diventare Valmont, Sebastien”: Valmont è il negativo in cui Sebastien si è trasformato. La sua vicenda, analogamente a quella del suo amico Piero serve a spiegare che “un lutto mai elaborato”, può essere davvero esiziale per tutti. E di lutti non elaborati, del resto, era stata piena anche la vita di Francesco Olgiati.

Narrare questi dolori può essere una chiave di volta per capire i vari esiti (exitus in latino è una forma omografa per singolare e plurale) che le vicende umane possono comportare e per trasporli su un piano più alto, quello dell’arte. Anche aver anteposto ad ogni storia una citazione letteraria può essere visto come un modo per suturare, ricucire, sanare i casi di “ferite umane” riportato in questo tris narrativo.

Ad maiora Enrico, con la speranza che Exitus possa essere solo il primo di tanti altri numerosi “passaggi letterari”.

 

Written by Filomena Gagliardi

 

Bibliografia

Salvatore Enrico Anselmi, Exitus, GB EditoriA, Roma 2019, 133pp., 12 euro

 

3 pensieri su ““Exitus” di Salvatore Enrico Anselmi: la sapienza del bravo tessitore

  1. Un sentito ringraziamento a Oubleitte Magazine per aver pubblicato l’acuta e circostanziata recensione scritta da Filomena Gagliardi, alla quale rivolgo, con riconoscenza, il mio più cordiale saluto. Mi lusinga l’associazione del nome alla pratica del bravo tessitore. Auspico, davvero, di poterla meritare a pieno titolo.

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