“Nenetta” di Eleonora Carta Belfiore: la società che nega il diritto di essere felice
“Assorta nelle sue riflessioni, Nenetta se ne stava china sul suo lavoro, e si rammaricava di vivere in un paese dove si teneva in così grande considerazione quello che pensavano gli altri”.

Inizio anni ’60, in un non meglio identificato paesino dell’entroterra abruzzese, si consuma la vicenda umana di Nenetta, giovane ribelle che non accetta le regole rigide e claustrofobiche che vigono nella sua comunità.
Nenetta insieme alle sue amiche vorrebbe cambiare la vita già scritta da generazioni, quella vita che di madre in figlia si ripete sempre uguale a se stessa: il lavoro duro nelle campagne, il matrimonio deciso dai genitori, fare figli e rimanere sempre sottomessa al maschio di turno, prima il padre e i fratelli, poi il marito e infine anche i figli.
Tutti gli uomini, in quel contesto sociale, sono legittimati a maltrattare le donne di famiglia, a considerarle al pari di bestie da lavoro, che devono “schiattà nei campi”.
La giovanissima Nenetta aspira a qualcosa di diverso, a una vita fatta sì di lavoro e di famiglia, ma tutto frutto di sue decisioni. È per questo che convince i genitori a permetterle di frequentare un corso di taglio e cucito, vuole diventare sarta e magari cucire per sé e per le future clienti quei bellissimi abiti che vede sui cartamodelli, quelle gonne corte che non osa nemmeno immaginare addosso a lei mentre passeggia per le vie del paese.
Quelle stesse vie dove a ogni angolo si cela un giudice, siano essi gli uomini che bighellonano davanti al bar, fra una briscola e un bicchiere di vino, siano invece le vecchie comari, acide e velenose pronte a sputare sentenze sulle giovani ribelli del paese.
La storia che ci racconta la Belfiore, anche lei di origini abruzzesi, in questo romanzo edito da D’Abruzzo Edizioni Menabò, è una storia fatta di rapporti familiari duri, dove la fatica nei campi non lascia spazio alla dolcezza di un abbraccio fra madre e figlia, dove la ripetizione dei lavori che segue il ritmo delle stagioni non permette alla mente di interrogarsi sulla ripetizione dei comportamenti sociali e si rifugia nella tradizione, nell’eterno perpetuarsi di una società patriarcale e fortemente maschilista che annichilisce le donne nel corpo e nello spirito.
Nenetta non ci sta e fintanto che le è possibile si ribella allo status quo “A ma’, io non me lo voglio piglià a quello. Io non so come potete fa a farmelo piglià per forza” è lo straziante grido di Nenetta che rifiuta il fidanzato che i genitori hanno scelto per lei.
La sua battaglia contro le decisioni prese da altri la vede solitaria contro tutto il paese, pronto a puntarle il dito e indicarla come una sciagurata che dà guai ai genitori non accettando di fidanzarsi con l’uomo scelto per lei.
Ma il destino di Nenetta, che diventa metafora di molte donne che in quegli anni hanno vissuto le medesime condizioni, è molto più crudele. La sua ostinazione contro l’imposto fidanzato si scontrerà contro una violenza sessuale che la metterà con le spalle al muro.
Donna marchiata a fuoco, con l’indelebile macchia di essere stata presa con la forza dal suo promesso sposo, non potrà sottrarsi al matrimonio e all’accettazione di una vita non voluta e caparbiamente osteggiata.
“Quando si sentì afferrare per la vita iniziò a scalciare cercando di divincolarsi, ma i suoi piccoli pugni non potevano molto contro le forti mani di Amedeo. Lottò con tutte le sue forze, gridando a squarciagola, come se la forza della sua stessa voce potesse liberarla da quella stretta fatale. (…) Poi, rimase solo il pianto sommesso di Nenetta, che non si spense che due giorni dopo, quando Amedeo ritenne che non fosse più necessario tenerla chiusa a chiave, perché sembrava che la uajona (ragazza, ndr) avesse capito che non aveva più senso scappare, ormai quella era la sua nuova casa”.

La brutalità della violenza sessuale come strumento di coercizione al matrimonio, un’abitudine spesso usata nei contesti rurali fino all’inizio degli anni ’80, quando è stato finalmente abrogato l’art. 544 del Codice Penale che prevedeva l’estinzione del reato di violenza sessuale quando l’autore del reato contraeva matrimonio con la persona offesa. Occorrerà tuttavia attendere il 1996 perché venga modificata la portata dello stesso reato che, da reato contro la morale pubblica e il buon costume, diviene reato contro la persona.
Per Nenetta quella violenza rimarrà attaccata alla sua pelle, si infilerà nella sua carne, le scorrerà nelle vene e non la abbandonerà mai, nemmeno quando il suo giovane corpo darà alla luce un bambino che lungi dal riscattarla finirà, giorno dopo giorno, per ricordarle l’origine di quel matrimonio. Nenetta pagherà un prezzo molto caro per la sua ansia di libertà, di modernità, in un contesto in cui tutto ciò che era nuovo e diverso dalla tradizione veniva considerato trasgressivo e peccaminoso.
Il quadro che l’autrice ci dipinge di questo angolo d’Italia in un periodo storico in cui grandi cambiamenti sociali ed economici attraversavano la società italiana, ha tinte fosche, cupe che allungano ombre nere su un’idea di famiglia e di società in cui l’individuo, soprattutto di sesso femminile, non ha diritto a essere felice, non può anelare al cambiamento, al miglioramento, perché tutto deve perpetuarsi nella tradizione e nel rispetto di regole sociali patriarcali pesantemente maschiliste.
Written by Beatrice Tauro