“Bisanzio prima di Bisanzio” di Tommaso Braccini: miti e fondazioni della nuova Roma

“Non ti è lecito sulle fondamenta da tempo distrutte di Troia/ insediare il nuovo nome di Roma: recati invece lieto alla città megarese, vicino al mare della Propontide,/ laddove il pesce e il cervo si nutrono al medesimo pascolo.” – Antologia Palatina, XIV, 115

Bisanzio prima di Bisanzio di Tommaso Braccini
Bisanzio prima di Bisanzio di Tommaso Braccini

Con la citazione dell’oracolo ricevuto dall’imperatore Costantino, il professor Tommaso Braccini avvia in maniera scenografica il suo nuovo libro Bisanzio prima di Bisanzio, miti e fondazioni della nuova Roma, presentato dalla Salerno Editrice nella collana “Piccoli saggi”, diretta da Giulia Mastrangeli, Saverio Ricci ed Emilio Russo.

Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul: la Porta d’Oriente, crocevia di mercanti, filosofi, geografi, religiosi, ricco e pescoso emporio e roccaforte protetta da mura ciclopiche, ha attraversato nei suoi oltre duemila anni di storia numerose rifondazioni. È stata una città tracia, poi una colonia greca che ha rivendicato origini ora megaresi, ora ateniesi o spartane, dal 330 città romana e sede del nuovo impero bizantino e poi ottomano.

Il professor Braccini, con mano sapiente e di cui è difficile non cogliere la passione per l’argomento trattato, guida il lettore in una affascinante lezione ricca di note e di riferimenti bibliografici (che aprono innumerevoli vie di studio e ricerca per lo studioso), a cavallo tra mito, storia e archeologia, proiettandolo in un vertiginoso ciclo di rinascite, abbandoni e rifondazioni della città attraverso una attenta analisi dello sviluppo delle rielaborazioni mitiche del passato, dei personaggi chiave, e del paesaggio di Bisanzio, che – come narra lo stesso autore – si rivela un “laboratorio mitografico” in piena regola in cui le “rinascite” delle leggende medievali non hanno azzerato i miti precedenti, ma hanno progressivamente portato a compimento “quel che era previsto da sempre”.

La stessa toponomastica della città, e dell’intera area del Bosforo è legata a fatti storici e mitologici. Dal drakon, la “corrente del diavolo” che scorre nello stretto, e che insidiava le navi, alle nebbie citate anche da Melville, e ancora ai legami mitici con gli Argonauti, dei quali Diodoro Siculo narra che nel loro viaggio di ritorno dopo la conquista del Vello d’Oro approdarono “presso l’imboccatura del Ponto […] Era re di quella regione Byzas […]” del quale le élites cittadine rivendicavano la discendenza al fine di argomentare la propria nobiltà.

Anche ad una analisi degli storiografi bizantini, in particolare Dionisio, la preoccupazione principale degli storici fu quella di rimarcare l’origine greca degli abitanti, in segno di civiltà e in opposizione alla belligeranza dei Traci, definiti come barbari crudeli e impulsivi.

Con la rifondazione della nuova Roma, ovvero Costantinopoli, occorreva una summa sistematica delle tradizioni sull’antica città di Bisanzio, trasfigurate alla luce del suo nuovo status di città imperiale di pretesa matrice romana. Fu questo il compito di Cristodoro, poeta di corte che fu capace di corroborare i miti delle origini e renderli accettabili alla nuova élite, scollegandoli dalla matrice greca e riorganizzandoli in una rilettura sulla falsariga della mitologia di fondazione romana.

In questo modo, spiega il professor Braccini, nel mito sulla costruzione delle imponenti mura a difesa della città, Bisante avrebbe escogitato l’opera edilizia come superiore ad ogni descrizione possibile all’epoca, “arruolando” al suo servizio nientemeno che Apollo e Poseidone.

Il riferimento è chiaramente di matrice greca, e riporta alle leggendarie mura troiane – erette anche in quel caso da Apollo e Poseidone – ma l’autore in maniera molto scaltra riesce a creare un doppio legame: il primo è il parallelismo tra le mura troiane e quelle di Bisanzio, il secondo, vede nei miti di fondazione di Roma, le origini di Enea a Troia, e per tanto Troia come una sorta di “madre” di Roma, e nel caso bizantino, Bisante diventa un novello Romolo.

Sancita la legittimità dell’élite, e la benevolenza degli dei, a questo punto alla città occorrono dei numi protettori. Nel crocevia di continenti, acque, mercanti, e soprattutto di forti energie, sarà la mageia di Apollonio di Tiana (un filosofo neopitagorico vissuto nel I secolo dopo Cristo) a diventare protagonista delle più curiose leggende sulla capitale.

Da quest’uomo rimasero affascinati Giulia Domna e Caracalla, i quali ordinarono al loro cortigiano Filostrato di narrarne la Vita. È da quest’opera che apprendiamo dei suoi viaggi in India, e dell’incontro con Nerone e Domiziano, di cui predisse la morte.

Il suo rapporto con Bisanzio ha inizio quando, a seguito dell’assedio di Odrise alla città, il prode Fidalia respinse l’attacco scagliando centinaia di serpi velenose sugli assedianti, disperdendoli. La cittadinanza, in segno di gratitudine ai rettili, smise di ucciderli, e, ben presto, la città ne fu invasa.

Apollonio di Tiana
Apollonio di Tiana

Secondo la narrazione storica, gli abitanti riuscirono per un certo lasso di tempo a tenere a bada i serpenti “con l’aiuto di Poseidone”, per mezzo delle cicogne, naturali cacciatrici dei rettili, ma a un certo punto, i volatili cominciano a diventare ostili verso la città, e i rettili vengono gettati nelle cisterne, nei pozzi, persino addosso alle persone.

Fu Apollonio di Tiana a risolvere la situazione, con la creazione di un telesmata – un talismano – composto da un gruppo statuario che rappresentava tre cicogne, una di fronte all’altra, e che aveva la funzione di allontanare i volatili dalla città, mentre un’aquila bronzea fu posta nell’Ippodromo, per allontanare i serpenti.

Il racconto è confermato anche da Esichio, che narra del quartiere Ta pelàrgou – il quartiere della cicogna – che prendeva nome dalla scultura. E ancora Chelone – La Tartaruga – e numerosi altri talismani, frutto di una conoscenza impareggiabile della realtà fisica e della magia naturale.

Apollonio fu screditato dai cristiani come un semplice magus, in contrapposizione alla figura di Gesù, e fu accusato di praticare la goeteia e la pharmakeia, pratiche negative e legate al male (la prima implicava rituali necromantici e invocazioni di demoni malefici che secondo la credenza popolare infestavano i cimiteri, mentre la seconda si dedicava alla preparazione di veleni) ma nonostante ciò, col tempo Apollonio fu considerato dai bizantini una sorta di santo pagano.

Nel trattato a lui attribuito, e intitolato Libro della Sapienza e della comprensione delle operazioni astrali, egli spiega come la mageia riguardi invece l’invocazione di demoni benefici per la creazione di qualcosa di buono, come i telesmata che proteggevano Bisanzio. Conoscendo i nomi segreti, le formule, e le proprietà del giorno e della notte, egli poteva “legare” e rendere inoffensivi gli animali, i venti e le acque. Nella lunga casistica dei talismani bizantini, si può osservare come le “statue incantate” rappresentassero uccelli, rettili, cavalli, e lo stesso fiume Lico.

“Alla base delle operazioni magiche si trovano proprio gli stoicheia, ovvero le statue incantate: nella terza ora del giorno, per esempio, viene incantato lo stoicheion degli uccelli […] nella quarta ora avviene lo stesso per lo stoicheion di serpenti, scorpioni, draghi, e altri animali velenosi […] nella quinta ora si agisce invece per neutralizzare i quadrupedi, come leoni, orsi e lupi.” – Tommaso Braccini

La fiducia incrollabile che la popolazione di Bisanzio ebbe nei talismani protettori della città sopravvisse alla fondazione di Costantinopoli e persino alla conquista turca del 1453. Nel XVII sec. Lo scrittore ottomano Evliya Celebì offrì un elenco dei talismani ancora presenti in città, arrivando a contarne sedici per la Terra, sei per il Mare, e altri ventiquattro attorno e dentro all’abitato. La loro realizzazione era attribuita a diversi grandi sapienti quali Galeno, Ippocrate, Platone, Filippo il Macedone, Pitagora, e ovviamente Apollonio, detto Balinus in lingua ottomana, o “sāhib al-tilasmāt” – il signore dei talismani, nella tradizione popolare.

“D’ora innanzi la mia capitale sarà Istanbul” – Maometto II

Queste son le parole che danno il via all’ultima grande rinascita della capitale imperiale, sotto il dominio ottomano. Dopo il primo atto, con la costruzione del Palazzo Topkapi sull’acropoli, il Sultano invitò tutta la popolazione ottomana a insediarsi nella capitale, ormai semiabbandonata dopo secoli di decadenza. Chi voleva stabilirsi in città poteva liberamente disporre delle case disabitate e delle terre abbandonate, il cui nuovo possesso era garantito dal Sultano in persona. Per attrarre mercanti e artigiani in città, fu eretto il Gran Bazar, assieme a numerosi caravanserragli. Santa Sofia fu convertita in moschea, le mura furono rinforzate, e Istanbul, scrive Tursun-Bey “divenne la Dimora della Sicurezza”. Ancora una volta i miti di fondazione e di discendenza delle elites vengono rimaneggiati in chiave ottomana.

Al termine di questa lunga rilettura di miti, leggende, topografia e archeologia, l’impressione finale è che le costruzioni letterarie fatte da poeti, storici ed eruditi sul passato di Istanbul, Costantinopoli, Bisanzio siano simili alla nebbia che avvolge il Bosforo, testimoniata dai tanti viaggiatori, e che come un velo mostri, nasconda o confonda gli elementi naturali da quelli architettonici, quelli storici da quelli mitici, dando l’impressione che ciò che è concreto non lo sia, e tutto sia frutto di illusioni ottiche e letterarie.

Tommaso Braccini
Tommaso Braccini

Fra gli elementi fisici, il filo conduttore è dato dalla cornice naturale della città: il Bosforo, il Corno d’Oro, i vari promontori. Su questo si costruisce la città come un palcoscenico: le mura, il porto, i mercati. Vengono poi in terzo grado gli eventi storici: assedi, e personaggi reali a cui è stato attribuito il merito della fondazione della capitale. Infine i miti di fondazione, come conclude il professor Braccini:

“I miti di fondazione di Bisanzio, nella loro mutevolezza e pur con l’inquietudine che a volte li attraversa, equivalgono in un certo senso alla Colonna di Arcadio, vista con il filtro della leggenda: un manufatto che reca su di sé storie passate legate indissolubilmente a quelle future, e che mette in guardia sul fatto che siamo stati o, presto o tardi, saremo tutti “altri” di qualcuno.” – Tommaso Braccini

 

Note sull’autore

Il professor Tommaso Braccini insegna Civiltà bizantina e Letteratura greca presso l’Università di Siena; studia il patrimonio mitico e leggendario dell’età antica, del Medioevo ellenico e delle tradizioni relative ai luoghi e monumenti di Costantinopoli.

 

 

 

 

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