Dalle Enneadi secondo Plotino: Eros
“Non c’è dubbio che Eros sia un essere reale, una sostanza che viene da un’altra e che è appena inferiore a quella che l’ha prodotta, e tuttavia concretamente esistente. D’altra parte, anche quell’anima era una sostanza, una sostanza generata dall’atto di un’altra di ordine superiore, tanto rispetto a lei quanto alla sostanza degli esseri che veramente sono, e che guardava fissa al suo principio, cioè alla prima sostanza.” – Plotino
Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.
Porfirio racconta nella biografia: “Aveva numerosi uditori, ma i discepoli e i seguaci della sua filosofia erano Amelio di Tuscia, il cui vero nome era Gentiliano, ma che lui preferiva chiamare Amerio, con la r, dicendo che era meglio derivare il nome da ameria (indivisibilità) piuttosto che da amelia (incuria). Poi c’era Paolino, un medico di Scitopoli, che Amelio soprannominava Miccalo, pieno di fraintendimenti. Ma c’era anche un altro medico, Eustochio di Alessandria, conosciuto negli ultimi anni della sua vita, che lo curò fino alla morte e che studiò soltanto le dottrine di Plotino fino ad acquisire il carattere dell’autentico filosofo.[1] Poi c’era Zotico, critico e poeta, che aveva corretto le opere di Antimaco e, molto poeticamente, aveva anche messo in poesia l’Atlantico, e che morì poco prima di Plotino ormai cieco.[2] Anche Paolino morì prima di Plotino. Un altro suo amico era Zeto, di origine araba, che aveva preso in sposa la figlia di Teodosio, un vecchio amico di Ammonio. Anche questi era medico, e fu molto caro a Plotino; dato che era anche un politico, Plotino si sforzò sempre di frenare le sue ambizioni politiche. Gli era così familiare che si trasferì da lui in un suo podere di campagna, distante sei miglia da Minturno, che prima era appartenuto a Castricio detto Firmo, colui che ha amato la bellezza più di ogni altro uomo ai nostri giorni, e che venerava Plotino e obbediva in tutto ad Amelio come un buon servitore; era legato come un vero fratello anche a me, Porfirio, in ogni cosa.[3] E venerava Plotino, sebbene avesse scelto la vita politica. Lo frequentavano anche non pochi membri del Senato, tra i quali fecero progressi in filosofia soprattutto Marcello Oronzio e Sabinillo. Anche Rogaziano era un senatore, che raggiunse un tale distacco dalla sua vita da abbandonare tutti i suoi averi, mandare via tutti i suoi domestici e rinunciare alla sua carica; quando fu sul punto di comparire in qualità di pretore, in presenza degli uomini di scorta, non volle uscire per ricoprire quelle cariche, e nemmeno volle più abitare a casa sua, ma preferì vivere da qualcuno degli amici e dei parenti, mangiando e dormendo da loro, anche se pranzava a giorni alterni; grazie a questo regime di rinuncia e di distacco dalla vita, egli, che soffriva tanto di podagra da essere costretto su una sedia, guarì del tutto, e, se prima non era neanche in grado di aprire le mani, dopo riuscì ad usarle con maggiore destrezza degli artigiani che fanno solo un lavoro manuale. Plotino lo riceveva volentieri e soprattutto lo elogiava, proponendolo come buon esempio per chi si dedica alla filosofia. C’era, inoltre, Serapione di Alessandria, dapprima studioso di retorica e in seguito dedito agli studi filosofici, il quale, purtroppo, non riuscì mai a liberarsi del vizio del commercio e dell’usura. Infine c’ero pure io, Porfirio di Tiro, amico tra i più stretti, che fui ritenuto degno di correggere i suoi scritti.”
Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.
Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.
Dal 9 marzo al 4 maggio abbiamo presentato la prima Enneade con alcuni paragrafi tratti dall’edizione Mondadori del 2012. Abbiamo così attraversato gli argomenti “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo”, “Le virtù“, “La dialettica”, “La felicità”, “Se l’essere felice aumenta col tempo”, “Il Bello”, “Il primo bene e tutti gli altri“, “Quali siano e da dove vengono i mali” ed “Il suicidio”.
Dall’8 giugno al 3 agosto abbiamo presentato la seconda Enneade ed i suoi nove trattati: “Il Cielo“, “Il moto celeste“, “Se gli astri hanno un influsso“, “La materia“, “Ciò che è in potenza e ciò che è in atto“, “La sostanza e la qualità”, “La commistione totale“, “La vista, perché le cose lontane appaiono piccole“, “Contro gli gnostici“.
Il primo trattato della terza Enneade è intitolato “Il Destino” (il terzo in ordine cronologico) e si presenta come una forte critica sul concetto del destino e sulle scuole che lo portavano avanti, come gli Stoici, gli Atomisti, gli astrologi. Il secondo trattato “La provvidenza I” è il quarantasettesimo scritto da Plotino ma Porfirio lo posizionò in modo perfetto subito dopo a “Il destino”, riprende infatti il concetto in quanto per gli Stoici destino e provvidenza coincidevano. Il terzo trattato, “La provvidenza II”, è il quarantottesimo e Plotino cerca di risolvere l’aporia secondo la quale se l’Intelligenza è la ragione d’essere di tutte le cose, come si può spiegare il fatto che esistono realtà negative? E se la realtà superiore getta luce anche su ciò che è peggiore, come si spiega l’esistenza di ciò che è peggiore?
Il quarto trattato “Il demone che ci ha avuto in sorte” è il quindicesimo scritto da Plotino, la concezione è sostanzialmente quella espressa da Platone nella “Repubblica”.
Il quinto denominato “Eros” è il cinquantesimo in ordine cronologico, Plotino riprende il tema dei demoni fortemente connesso a quello di Eros, la cui fonte consiste nel desiderio di bellezza proprio delle anime, le quali intuiscono di avere con esso una affinità, ed è quindi un forte simbolo a salire alla Bellezza suprema.
Si racconta della duplicità di Afrodite nei due miti: una è nata da Urano ed è senza madre, ed una ― la più conosciuta ― è la figlia di Zeus e di Dione. Avremo dunque l’Afrodite celeste e l’Afrodite terrestre con annesso il figlio Eros (Platone sostiene sia figlio di Poros e Penia, e Plotino avanza un’ipotesi di etimo).
Eros per Plotino è un demone generato dall’Anima a vari livelli, la sua essenza è priva di Bene, ma ha costante e forte desiderio di esso. Plotino tratta anche la tematica strettamente sessuale individuando nella temperanza il corretto modo in cui esercitare l’Eros terrestre; l’omosessualità è vista come errore perché non è procreazione (tendere all’immortalità). Si tiene a precisare che si sta parlando dell’uomo che tende al Bene ed al Bello, ergo al filosofo che si rivolge nella visione e nella contemplazione.
Di seguito sono riportati il primo ed il terzo dei nove paragrafi del trattato, dunque, si invita all’acquisto del volume riportato in bibliografia per potersi dissetare pienamente.
Enneade III 5, 1
È importante indagare se l’Eros è un Dio o un demone o una passione dell’Anima; oppure se esiste un Eros che è Dio o demone accanto a uno che è passione, sforzandosi di precisare i caratteri di ciascuno. Per fare ciò, è bene prendere in considerazione i pareri degli uomini comuni, ma altresì quelle opinioni che, su tale tema, hanno rilievo filosofico: fra queste, in misura speciale si prenderà in considerazione il pensiero del divino Platone, il quale trattò a lungo dell’Eros in molto suoi dialoghi.[4]
Ora, Platone non si è limitato a sostenere che l’Eros è una passione dell’Anima, ma ha detto anche che è un demone, e ne ha raccontato addirittura la nascita, illustrandone i particolari e anche le origini. Come è noto, il sentimento che si riconduce a Eros nasce nelle Anime bramose di aderire al bello, sia in virtù di una attrazione tipica degli uomini temperanti i quali hanno dimestichezza con m0
il Bello in sé, sia anche a causa di una volontà che mira a qualche turpe azione.
Ebbene, la fonte di queste due propensioni merita di essere approfondita con rigore filosofico. A mio giudizio, attingerebbe alle vere cause dell’Eros che ne identificasse la sorgente in una primitiva attrazione per la bellezza in sé presente nelle anime, la quale implica una forma di conoscenza, di affinità e un senso di familiarità che prescinde dalla ragione.
Il brutto, invece, contrasta tanto con la divinità quanto con la natura, per il fatto che quest’ultima crea ispirandosi al Bello, cioè guardando a ciò che è definito ed è nella stessa serie del Bene,[5] mentre l’indefinito è brutto e allineato a tutt’altra serie.
La natura, dunque, proviene dalle realtà superiori, cioè dal Bene, e, come è evidente, anche dal Bello. Ora, se uno subisce il fascino di qualcosa e ne è affine, certo ha familiarità anche con le sue immagini. Se, però, annulla la causa di tale attrazione, non riuscirà a rintracciare i caratteri e i motivi di un tale sentimento, neppure nei casi di Eros sessuale; anche questi amanti, infatti, vogliono generare nel bello, perché sarebbe assurdo che la natura, volendo creare cose belle, scelga di generare nel brutto.[6]
Tuttavia, quegli uomini che sono determinati a generare nel nostro mondo si accontentano del bello del nostro mondo, quale si manifesta per immagini nei corpi; e, del resto, questa gente non dispone dell’archetipo della bellezza, che è la causa per cui essi amano ciò che è terreno. Quelli che sanno risalire dalla bellezza sensibile a quella di lassù per via del ricordo[7] amano certamente questa nostra bellezza, ma solo come immagine, mentre chi ha perduto un tale ricordo, per non saper comprendere il proprio sentimento, finisce con il rappresentarsi questo bello come fosse l’autentico.
Ora, l’appropriazione di una tale bellezza, quando avvenga in modo temperante, non è peccaminosa; ma se uno si lascia andare all’amplesso sessuale, allora cade nella colpa. Chi mantiene puro il suo Eros per il bello, ama il bello e null’altro, indipendentemente dal fatto che egli sia sorretto dal ricordo del modello, oppure no. Se, poi, qualcuno associa a questo Eros l’altro desiderio di divenire immortale per quanto può esserlo un mortale, costui cerca la bellezza nell’immortalità e nell’eternità, e, indirizzandosi nel senso indicato dalla natura, feconda e genera nel bello: ossia feconda al fine di essere per sempre nel bello, per via della parentela che esiste fra l’eterno e la bellezza.
Infatti, la natura nella sua eternità è la prima a essere bella, e poi, dopo di lei, vengono tutte le altre cose. Certamente, però, chi non avesse la volontà di generare sarebbe dal punto di vista del bello più autonomo; invece, chi ha il desiderio di generare e vuole dare alla luce qualcosa di bello lo fa a motivo del suo bisogno e non perché basta a se stesso; e se pure creerà in forza del bisogno, si illuderà di essere bastante a se stesso, se solo gli riuscirà di procreare nel bello.
Non mancano neppure individui che decidono di generare al di fuori di ogni regola e contro natura; costoro, all’inizio, si incamminano su una via non contraria alla natura, ma a un certo punto, per così dire, escono di strada, e, scivolando, cadono lunghi e distesi. Indubbiamente, costoro non sono consapevoli del fine a cui l’Eros li indirizzava, ignorano l’istinto di procreazione e non sanno neppure fruire del bello come immagine e tanto meno riconoscere che cosa sia il Bello in quanto tale.
Dunque, gli uomini che amano i bei corpi anche mossi dall’istinto sessuale, li amano per la loro avvenenza; invece, gli uomini che provano quella forma di Eros che abbiamo definito mista, se si volgono alle donne, lo fanno per realizzare l’immortalità; ma se non si volgono alle donne, allora sono in errore.[8]
Restano i migliori che sono di due tipi, ambedue ispirati alla temperanza. Quelli del primo tipo apprezzano la bellezza terrena e qui si fermano; quelli del secondo ― e sono gli uomini che ricordano l’archetipo di lassù ― onorano il Bello trascendente, ma non disprezzano neppure la bellezza di quaggiù, che riconoscono essere il frutto di quel mondo dal carattere fittizio.
In verità, questi tipi non hanno un rapporto indecente con il bello, ma non mancano, però, quelli che scivolano nel male per effetto del bello, perché più di una volta è il desiderio di fare bene a determinare la caduta nel male. Ecco quali sono i sentimenti dell’Anima.
Enneade III 5, 3
Non c’è dubbio che Eros sia un essere reale, una sostanza che viene da un’altra e che è appena inferiore a quella che l’ha prodotta, e tuttavia concretamente esistente. D’altra parte, anche quell’anima era una sostanza, una sostanza generata dall’atto di un’altra di ordine superiore, tanto rispetto a lei quanto alla sostanza degli esseri che veramente sono, e che guardava fissa al suo principio, cioè alla prima sostanza.
E questa fu la prima cosa che vide e, cogliendola come bene, si deliziò della sua visione. Per di più, la visione era talmente bella che per il veggente non restò un evento trascurabile, tanto che finì col generare un essere degno di sé e della sua visione, spintavi, vorrei credere, dal piacere, dal trasporto per esso e anche dal grande fascino che la visione esercitava.
In tale maniera, dalla intensa e attiva attenzione rivolta all’oggetto, e dall’influsso che quasi emanava da quest’ultimo, nacque Eros, l’occhio riempito, cioè una visione accompagnata dall’immagine. E tale è forse l’origine più probabile del suo nome, come quello di un essere che deve la sua esistenza al vedere.[9]
Del resto, anche il sentimento d’amore dovrebbe prendere il suo nome da Eros, se è vero che la sostanza deve precedere ciò che non è sostanza ― e infatti provare Eros in greco si dice “eran” ― e se vale l’espressione “l’Eros di quest’uomo lo possiede”, dove non si parla semplicemente di Eros ma di Eros di qualcuno.[10]
Ecco com’è l’Eros dell’Anima superiore: guarda egli pure verso l’alto, è a un tempo figlio e compagno dell’Anima, nonché suo vicino, e, infine si soddisfa della visione degli dei. Pertanto, se definiremo come separata quell’Anima che originariamente irraggia il cielo, dovremo porre come separato anche questo Eros. E non importa che nel discorso si sia detto di quest’Anima che è assolutamente celeste, perché, pure quando si tratta della nostra interiorità, riconosciamo che la facoltà più nobile è separata, anche se continuiamo a tenerla presente in noi stessi.
Insomma, dobbiamo ammettere che l’Eros si trova solo lassù, dove c’è anche l’Anima nella sua purezza. Poi, però, sorse il bisogno di un’Anima del nostro universo, e allora insieme a questa comparve un altro Eros, perché ci doveva essere un occhio anche per quest’Anima, figlio anch’esso del desiderio.
Ma tale Afrodite appartiene al mondo, e quindi non si riduce ad Anima o solo ad Anima, e dunque ha generato in questo mondo anche l’Eros, il quale si prende cura dei matrimoni. Però, nella misura in cui questo si lega al desiderio delle realtà sublimi, sa anche commuovere l’Anima dei giovani, e riesce a convertire l’Anima a cui è associato, per quanto essa sia spontaneamente indirizzata a quelle realtà. Ogni Anima, infatti, anche quella mescolata al corpo e appartenente ad un uomo, desidera il Bene, perché segue direttamente l’Anima superiore a cui deve l’esistenza.
Note
[1] Eustochio aveva pubblicato una sua edizione delle Enneadi prima di Porfirio.
[2] Antimaco di Colofone (404-348/47 a. C.) fu un poeta epico ammirato da Platone, di cui restano solo pochi frammenti. L’Atlantico corrisponde al Crizia di Platone, come si evince da Diogene Laerzio.
[3] Castricio Firmo era uno dei più fedeli discepoli di Plotino, ed a Porfirio dedicò il de abstinentia per ricondurlo alla dieta vegetariana.
[4] Soprattutto nel Simposio e nel Fedro.
[5] Si fa allusione alle due serie di contrari, raccolti in gruppi di dieci già dai Pitagorici, come ci dice Aristotele in Metafisica.
[6] Platone nel Simposio, parlando di gravidanza e generazione, scrive: “Ma queste non possono avvenire in ciò che sia disarmonico. E disarmonico con tutto ciò che è divino è il brutto; il bello è invece in armonia con esso.”
[7] Cfr. Platone, Fedro.
[8] Cfr. Platone, Fedro.
[9] Plotino fa qui derivare Eros da ὅρασις (visione), collegando efficacemente tale connessione terminologica con la propria dottrina metafisica della processione, che non è affatto solo un “derivare da”, ma un derivare che deve rivolgersi nella visione e nella contemplazione a ciò da cui deriva, per essere, ossia per diventare una sostanza.
[10] Il testo di Platone cui si fa riferimento è il Simposio.
Info
Rubrica Dalle Enneadi secondo Plotino
Bibliografia
“Enneadi” di Plotino, Arnoldo Mondadori Edizioni, 2012. Traduzione di Roberto Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di Giovanni Reale.
7 pensieri su “Dalle Enneadi secondo Plotino: Eros”