“L’arte di costruire una barca” di Jonathan Gornall: un padre, una figlia, ed il grande mare aperto

“Papà! – annuncia Phoebe, con le lacrime che ancora le rotolano giù per le guance – Non voglio una barca, per favore.” – Jonathan Gornall

L’arte di costruire una barca
L’arte di costruire una barca

L’arte di costruire una barca, è stato proposto in Italia dalla DeaPlanet a seguito del notevole successo riscontrato all’estero. L’Autore, Jonathan Gornall, è un giornalista freelance britannico, che ha scritto per The Times, ha vissuto e lavorato in Medio Oriente e ora vive nel Regno Unito. Scrive anche per The National, un quotidiano in lingua inglese negli Emirati Arabi Uniti, dove è stato in redazione dal 2008 al 2012. Durante quel periodo ha vissuto a Dubai e Abu Dhabi e ha viaggiato in molti paesi, tra cui Iraq, Oman e Qatar.[1]

Col senno di poi, penso che a quel tempo l’idea di costruirti una barca mi fosse sembrata un’idea straordinaria. Jonathan Gornall, Capitolo 1. Cara Phoebe …

Il racconto si apre con una lettera quasi testamentaria indirizzata alla figlia Phoebe. Il contenuto è autocommiserante ed incentrato su se stesso piuttosto che sulla persona a cui è rivolto: fa riflettere su quanto possa essere opportuno mettere al mondo una creatura in età avanzata, dopo un matrimonio fallito, un figlio abbandonato, e una gravissima problematica coi propri traumi infantili e giovanili che si scopriranno nel terzo capitolo “La ritirata da Suez” e nel quarto “Senza timone”; traumi e insuccessi che torneranno con un ripetitivo loop in ogni capitolo del libro nell’intento di inframmezzare l’aspetto documentaristico della personale esperienza nell’autocostruzione di un piccolo dinghy tradizionale in legno, alle sporadiche apparizioni della piccola Phoebe e della compagna Kate nel racconto, e alla poco velata pubblicità a case produttrici di strumenti da hobbistica, a note scuole di costruzione e navigazione inglesi, cantieri navali locali e via dicendo, che in un modo o nell’altro hanno avuto la loro parte in questa bizzarra avventura.

La personale autobiografia di cui ci omaggia l’autore nelle prime 150 pagine di racconto, ha un duplice scopo: il primo è quello di annoiare mortalmente il lettore, che a buon diritto si domanderà quand’è che si comincia a parlare della costruzione della barca con Phoebe (si scoprirà poi leggendo che la bambina ed il suo rapporto col padre sono ben poco presenti nel racconto), mentre il secondo è quello di giustificare al lettore – e soprattutto a se stesso – la necessità di compiere un gesto in vita che potesse dimostrare la capacità di portare a compimento e con discreto successo un obiettivo preposto, oltre che di riscattarsi come padre.

“Sebbene io abbia rappresentato il fatuo incidente che ha spedito fuori rotta la vita di mia madre, Phoebe è stata la benedizione che ha finalmente infuso significato alla mia.
Dopo aver fallito su tutta la linea nel tentativo di essere qualcosa di diverso da un padre assente per Adam […] non riuscivo proprio a capire che senso avesse guadagnarmi una seconda tazza con la scritta PEGGIOR PADRE DELL’ANNO.”
– Jonathan Gornall

E quale impresa migliore se non operando nel piano fisico con la costruzione di un oggetto di cui non si ha alcuna esperienza, e dopo aver collezionato ben due naufragi nel tentativo di attraversare l’Atlantico a remi?

Dalla nascita di Phoebe all’inizio della costruzione passano due anni di riflessioni, incontri con esperti costruttori e mille paure, infine la decisione, dopo il secondo compleanno di Phoebe:

“Certezza numero uno […] A livello emotivo e intellettivo, mi sono imposto di costruire una barca tradizionale.

Certezza numero due: la barca, forse, sarà costruita a fasciame sovrapposto (clinker)” – Jonathan Gornall

Quando alcuni mesi dopo arrivano i progetti, il panico è totale:

“Kate rimase li a osservare i dettagli minuti dei disegni. Corruga anche lei la fronte. Riesci a capirci qualcosa? Mi domanda.
Un po’. Le dico sulla difensiva. Questo qui (indico) è il davanti della barca. Questo è il dietro…
Si, fin li ci arrivo anche io. Ma che cosa è questo per esempio? E mia moglie pianta l’indice sul disegno nascondendo la didascalia del pezzo.
È un pezzo del ponte?
No. Qua c’è scritto che è una ghirlanda, di qualsiasi cosa si tratti. Sei davvero sicuro che sia una buona idea?
– Jonathan Gornall

Jonathan Gornall
Jonathan Gornall

Seguono settimane di disorientamento totale, e, consultando i forum di appassionati di costruzione in legno emergono dei testi tecnici di riferimento, che, se saputi leggere, danno tutte le informazioni base per avviare una costruzione navale. Ciò che è errato, tuttavia, è l’approccio giornalistico di Gornall, che al posto di studiare i testi, avrebbe voluto chiedere aiuto di persona agli autori:

“[…] emerge un altro problema quando cerco di mettermi sulle loro tracce [degli autori dei testi, n.d.r.]: sono morti. Tutti e quattro.” – Jonathan Gornall

Non rimane che chinare la testa, e, dietro lauto compenso, domandare l’aiuto di un istruttore di una locale scuola di costruzione navale, che una volta alla settimana, si recherà da Gornall per istruirlo e per correggerne gli errori, o guidarne la via.

La costruzione prosegue a rilento a causa della necessità di acquisire tecnica e manualità nel campo. Va avanti per un anno tra errori e piccoli incidenti che potevano rivelarsi fatali per l’autore.

Infine il varo, nel giorno di Pasqua del 2017. Non sappiamo se Phoebe abbia gradito, ma la barca galleggia e non fa acqua.

“Papà! Gridi, correndomi incontro nell’acqua bassa. È la mia barca?
Si, mio capitano.
Ti fermi sulla spiaggia, affacciata sul mare della tua vita ancora tutta da navigare. Che tu possa veleggiare con coraggio, compassione, grazia e gioia.”
– Jonathan Gornall

Tra le considerazioni finali che si possono fare sul libro di Gornall, forse a causa della traduzione in italiano che fa perdere molto del british humour che ci si può attendere da un giornalista, la narrazione è lenta, spesso ridondante e ripetitiva, e il libro non può essere inserito tra le guide del boatbuilding, ma neanche tra le autobiografie.

Son tuttavia interessanti i riferimenti bibliografici a John Leather e alcune citazioni dai testi tecnici. Sul percorso di vita dell’autore, sulla sua esperienza di padre e bricoleur, ognuno potrà trarre le proprie conclusioni, e trovar spunti di riflessione e autocritica secondo il proprio metro di giudizio. La sopvracopertina e il sottotitolo accattivante, sicuramente ben lo collocano nelle vetrine delle librerie più commerciali.

“Noi non smetteremo mai di esplorare/ E la fine della nostra ricerca/ sarà arrivare al punto di partenza/E aver conoscenza del nostro posto per la prima volta” T.S. Eliot, Little Gidding

 

Note 

[1] Fonte: pagina personale di Jonathan Gornall

 

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