“La figlia del capitano” di Aleksandr Sergeevič Puškin: la vita sociale è una finzione?

Ciao amico mio.

Non ci conosciamo ancora, ma forse sai già che, da quando Anna, la nostra comune solidale, mi parlò di te, io ti volli subito bene e già mi mancasti non appena seppi della tua troppo esigua esistenza.

La figlia del capitano di Aleksandr Sergeevič Puškin
La figlia del capitano di Aleksandr Sergeevič Puškin

In verità, già non mi era sconosciuto il fatto che c’eri, che c’eri stato, ma del fatto non m’importava granché, essendo tu un’anima lontana nel tempo e nello spazio, e tante ce ne sono di più comode e ugualmente interessanti.

Ora anche tu lo sei diventato, comodo e interessante, ma la tua essenza mi duole. Mi sei dentro come lo è una ghiaina in una scarpa, che non vedo l’ora di togliere e non so se questo mi sarà possibile in tempi brevi. Questo è il motivo per cui ora ti scrivo.

L’altra ragione è che, quando uscì l’ultimo fascicolo con la storia di Maša, mancavano trentotto giorni alla… fatale rievocazione della fine del quarto capitolo… Ma di questo non parlerò più, perché il dato mi trafigge “con forza il petto un po’ sotto la spalla destra”…

Pëtr Andréevič Grinëv sei tu, su questo ho pochi dubbi. Lo fosti nell’atto di viverlo. Mentre ti occupavi di lui, lui era te e tu eri lui. E Pëtr è ancora qui, che mi osserva all’interno di quest’anima lignea, gialla e verde, in cui è incisa un’immagine di una donna tanto aggraziata e dal sorriso così benevolo. Tale e quale dev’essere stata per te e per Pëtr la stessa Maša.

Perché ho tanto bisogno di scriverti? Perché da una parte ti ammiro e dall’altra ti deploro. Tu sei stato quello che io non fui mai, né sarebbe stato giusto che fossi. Tu eri un ardimentoso idealista. Io un essere cinico e baro, come il destino di cui parla il tuo mancato alter ego, a cui, forse ingiustamente, ti accomunano: Giacomo. Chissà!

Nella prefazione viene negata una tua consanguineità con il grande di Recanati, mentre ti si accosta a quel romantico di Ugo, con cui hai sicuramente tante cose in comune, ma non l’anima. Egli, però, era un tipo sprezzante e uno che, per tutta la vita, “ciarlò lunga pezza”. Tu no, sapevi che il tempo ti era stato contingentato in maniera ingiusta e dovevi per forza scegliere per bene le parole, e tante chiacchiere da salotto non ti erano concesse.

Veniamo al dunque. Sintesi: a quattordic’anni andai al liceo, più o meno quando cominciavano ad esserci le elezioni studentesche. La scelta era fra “Il Collettivo” comunista, Comunione e Liberazione, Monarchici e il Movimento Democratico, un quid che nacque dal nulla, in occasione delle suddette elezioni e che si accaparrò i voti della maggioranza silenziosa. C.L. mi repelleva: lo frequentai trent’anni dopo o, meglio, accompagnavo colà, da non credente, un amico che lo frequentava, e me ne feci un’idea precisa, di cui ti parlerò in altra occasione. Il Collettivo invocava sempre nuove riforme e rigettava quelle sancite dal Ministero. Assistei un giorno a una scena in cui dieci di loro, grandi e grossi, presero a botte due monarchici, tra l’altro bassini, che stavano distribuendo dei ciclostili.

Decisi di non votare nessuno e mi mantenni integro (e qualunquista, ma preferisco apote, suggeritomi dal perugino Giuseppe) fino al diploma. Durante le elezioni, venivo raggiunto da telefonate da parte di alcun membri del Collettivo che mi rammentavano che stava per scadere l’orario e che mi sarei dovuto affrettare se volevo (e dovevo assolutamente!) votare. E io dicevo di sì, certo, aspettatemi che sto per… Beh, forse “qualunquista” non è un termine errato per identificarmi.

Quando regalasti un pellicciotto di lepre (“per il quale io stesso ero un po’ cresciuto” e che anche a lui “andava alquanto stretto”) a quel poveraccio che, per tutta la vita, ti chiamò “Vostra signoria”, lo facesti perché eri dotato di anima sensibile. Quel gesto ti salvò la vita, quando Pugačëv ti catturò. Quel miserabile secondo me ti volle bene per tutta la vita!

Quando poi ti chiese in che stato era la tua città, tu mentisti apposta e, per dovere di giuramento, gli garantisti che, per quanto riguardava le notizie di sfacelo, “si trattava di voci senza fondamento e che a Orenburg c’erano sufficienti provviste di ogni sorta”.

La tua menzogna poteva costarti cara, ma ti salvasti a causa di un diverbio che occorse in quel frangente fra i due scagnozzi di Pugačëv, e tu avesti inoltre la furbizia di cambiare al più presto argomento, ringraziando l’usurpatore “per il cavallo e per il pellicciotto” (te ne aveva regalato uno suo di pecora). E gli dicesti, a mo’ di concia: “Senza di te non sarei arrivato in città e mi sarei congelato strada facendo.”

Per tutto il tuo viaggio umano, caro Pëtr, sei stato bravissimo a rapportarti con quell’analfabeta, rimanendo sincero quel che basta, e falso in modo quasi impalpabile. Sei stato un maestro di ipocrisia. Probabilmente anch’io l’avrei fatto, al posto tuo.

Di certo non mi sarei unito all’orda assassina. I rivoltosi non fanno per me.

Essi vogliono sconvolgere lo status quo altrui, per proporne uno proprio. Intendono cambiare i soggetti che comandano, non l’essenza del potere.

E qui vorrei citarti le parole dell’uomo più coraggioso del Ventesimo Secolo, Pier Paolo, che disse le celebri quanto dimenticate parole:L’unica anarchia possibile è quella del potere!”. Ed è vero.

Aleksandr Sergeevič Puškin - Portrait by Orest Adamovich Kiprensky - 1826
Aleksandr Sergeevič Puškin – Portrait by Orest Adamovich Kiprensky – 1826

Vedi un po’ come si sono comportati, i Grandi della tua Grande Russia. Quanta polvere hanno sollevato, sommergendo milioni di anime. Quanta miseria, in nome del popolo, hanno distribuito caritatevolmente ai poveri! Prova a scorrere il libro di Vasilij, il cui titolo “Vita e Destino” è l’essenza del significato del romanzo. Così è (la Vita) se vi piace, questo è il nostro (comune) Destino: patire il potere.

Di Pugačëv vorrei, per giustizia, ricordare la favola che ti raccontò.una volta l’aquila domandò al corvo… ‘perché tu stai al mondo trecento anni e io soltanto trentatre?’, ‘Perché, matuška… tu bevi sangue vivo e io mi nutro di carogne.Al che il vorace assassino alato rispose: ‘No, fratello corvo, piuttosto che nutrirsi per trecento anni di carogne, meglio abbeverarsi una volta sola di sangue vivo, e sia quel che Dio vuole!’. Insomma: la Storia si dovrebbe vivere un giorno da leone, piuttosto che cent’anni da ovino. Ma non la voglio tenere lunga, perché il tuo tempo è scarso. E sta svanendo ad ogni riga che scrivo.

Ma tu volevi davvero bene a quel proletario!

In quel momento una forte simpatia mi attirava verso di lui. Desideravo ardentemente strapparlo dalla compagnia di quei malfattori, di cui egli stava alla guida, e salvargli la testa, finché si era ancora in tempo. Ṧvabrin e la folla, che si accalcava intorno a noi, mi impedivano di dire tutto ciò di cui era ricolmo il mio cuore.”

Quando sapesti della disfatta di quel tanghero, a cui eri così affezionato, cominciarono nuovi guai.

La guerra era finita. Finalmente mi sarebbe stato possibile andare dai miei genitori.”.

Ma intanto uno strano sentimento avvelenava la mia gioia: il pensiero del malfattore, schizzato dal sangue di tante vittime innocenti, e del supplizio che lo attendeva, mi turbava mio malgrado”.

Il pensiero di lui era in me inseparabile da quello della grazia concessami in uno dei momenti più terribili della sua vita, ed ella liberazione della mia fidanzata dalle mani dell’abbietto Ṧvabrin.”

Tornasti da papà, il quale perdonò magistralmente quella marmaglia di schiavi, che aveva fraternizzato col delinquente. Dissero: “Siamo colpevoli! Proprio così, colpevoli.” “Allora va bene, peccato confessato, è mezzo perdonato. Dio ci ha dato il bel tempo, è ora di raccogliere il fieno: e voi stolti, cosa avete fatto per tre giorni interi? Starosta! Manda tutti senza eccezioni a falciare il fieno; e bada bene, briccone rosso, che per il giorno di Il’ja tutto il mio fieno sia raccolto in covoni. Filate!” (ma poi un bel giorno tanti bricconi rossi si vendicheranno! Sic transit historia mundi!)

Tu non ti accorgesti di nulla, briccone di un Pëtr Andréevič, o quasi: “Non starò a descrivere la nostra marcia e la fine della guerra di Pugačëv. Attraversavamo i villaggi da lui depredati, e contro la nostra volontà privavamo i poveri abitanti di quel che era stato lasciato dai banditi.”

Poi ci fu l’accusa atrocemente giusta nei tuoi confronti.

Tu le sopravvivesti, caro amico, perché la tua morosa incontrò per caso un’usurpatrice di nome Caterina, che era in buona e munifica giornata. E che ti salvò la testa, quando eri già stato condannato per la tua frequentazione con quel perdente, quello sconfitto da quella sontuosa troia chiamata Storia!, facendo come se fosse cosa in fondo da nulla che ti eri mischiato con quel lazzarone.

Con quell’usurpatore.

Di che?

La tua furbissima futura mogliettina ebbe il genio tutto femminile di dire alla misteriosa dama: “Sono venuta per implorare grazia e non giustizia”.

Quella femminuccia, che tanto idiota m’era parsa in tutto il tuo narrare, aveva di certo riconosciuta la Sovrana. Ma non fece trapelare nulla! E non solo ebbe salva la tua vita, ma ottenne dall’imperatrice, senza nemmeno chiedere!, una promessa: ‘So che non siete ricca… ma io sono in debito con la figlia del capitano Mironov. Non preoccupatevi del futuro. Mi prenderò io la cura di provvedere al vostro patrimonio.’

La vita sociale è tutta una finzione, Aleksandr Sergeevič Puškin, dove gli uomini più sinceri sanno mentire solo allorché serve.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Aleksandr Sergeevič Puškin, La figlia del capitano, Biblioteca Economica Newton

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *