Dalle Enneadi secondo Plotino: la provvidenza II
“C’è dunque una reciproca armonia di fondo delle anime e delle azioni, armonia che si traduce nel loro convergere in unità, se pure a partire da opposti. Del resto, tutte le cose discendono da un’unità e per una sorta di necessità naturale terminano nell’Uno, per cui, quando pure sono nate diverse e sono divenute opposte, proprio in virtù della loro origine, non smettono d’essere coinvolte in compagine unitaria.” – Plotino

Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.
Porfirio racconta nella biografia: “Quando io, Porfirio, arrivai dalla Grecia nel decimo anno del regno di Gallieno[1] insieme ad Antonio di Rodi[2], appresi che Amelio frequentava la scuola di Plotino ormai da diciotto anni e ancora non aveva osato scrivere nulla, eccetto quella raccolta di annotazioni, il cui totale non era ancora arrivato a cento. Nel decimo anno del regno di Gallieno, Plotino aveva cinquantanove anni. Invece io, Porfirio, quando lo incontrai per la prima volta, avevo trent’anni. Comunque, sin dal primo anno del regno di Gallieno, Plotino aveva già scritto su questioni occasionali, e nel decimo anno del regno di Gallieno, vale a dire quando io, Porfirio, lo incontrai per la prima volta, scoprii che aveva scritto ventuno libri e presi atto che erano riservati a pochi. La divulgazione, infatti, non era affatto semplice e non avveniva facilmente e immediatamente, ma solo dopo un’accurata selezione dei destinatari.”
Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.
Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.
Dal 9 marzo al 4 maggio abbiamo presentato la prima Enneade con alcuni paragrafi tratti dall’edizione Mondadori del 2012. Abbiamo così attraversato gli argomenti “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo”, “Le virtù“, “La dialettica”, “La felicità”, “Se l’essere felice aumenta col tempo”, “Il Bello”, “Il primo bene e tutti gli altri“, “Quali siano e da dove vengono i mali” ed “Il suicidio”.
Dall’8 giugno al 3 agosto abbiamo presentato la seconda Enneade ed i suoi nove trattati: “Il Cielo“, “Il moto celeste“, “Se gli astri hanno un influsso“, “La materia“, “Ciò che è in potenza e ciò che è in atto“, “La sostanza e la qualità”, “La commistione totale“, “La vista, perché le cose lontane appaiono piccole“, “Contro gli gnostici“.
Il primo trattato della terza Enneade è intitolato “Il Destino” (il terzo in ordine cronologico) e si presenta come una forte critica sul concetto del destino e sulle scuole che lo portavano avanti, come gli Stoici, gli Atomisti, gli astrologi. Il secondo trattato “La provvidenza I” è il quarantasettesimo scritto da Plotino ma Porfirio lo posizionò in modo perfetto subito dopo a “Il destino”, riprende infatti il concetto in quanto per gli Stoici destino e provvidenza coincidevano.
Il terzo trattato, “La provvidenza II”, è il quarantottesimo e Plotino cerca di risolvere l’aporia secondo la quale se l’Intelligenza è la ragione d’essere di tutte le cose, come si può spiegare il fatto che esistono realtà negative? E se la realtà superiore getta luce anche su ciò che è peggiore, come si spiega l’esistenza di ciò che è peggiore?
Anche la risposta di Plotino non può che essere un poco oscillante ma il pregio sta nel cercare di rispondere seguendo una logica, non aspettiamoci la Verità su questo genere di domande, non è per questo motivo che ci si interroga. Plotino afferma da un lato che ciò che è generato non mantiene gli stessi caratteri del generante ed è gerarchicamente inferiore, ed in questo vede che le colpe del male sono nel generato e non dipendono dal generante.
Altra causa del male è il sostrato materiale e non la ragione formale delle cose, ma lo stesso sostrato materiale dipende dalla ragione. Ribadisce anche che certi fatti ed azioni non si possono attribuire alla provvidenza ma che sono atti dell’uomo dissoluto.
“Non bisogna prendersela col peggio perché si insinua nel meglio; piuttosto, bisogna essere soddisfatti del meglio, per quel che di sé ha saputo comunicare al peggio. Di solito, quelli che vorrebbero cancellare il negativo nel tutto cancellano con esso anche la provvidenza. Infatti, a che cosa essa dovrebbe provvedere? Non certo a se stessa o al positivo.”
Di seguito sono riportati i primi due dei sette paragrafi del trattato, dunque, si invita all’acquisto del volume riportato in bibliografia per potersi dissetare pienamente.
Enneade III 3, 1

Qual è, allora, la nostra posizione su questo argomento?[3]
Che la Ragione formale, presa nella sua totalità, include tanto le realtà positive quanto quelle negative, essendo anche queste sue parti integranti. Ben inteso, non è che la Ragione formale ne sia la generatrice, ma, senza dubbio, se è un tutto, è insieme con esse.
Le ragioni formali sono attività di una certa Anima nella sua totalità, mentre le attività di parti delle ragioni formali sono, analogamente, attività di parti di essa. E come l’unica Anima ammette parti differenti, così diverse saranno anche le ragioni formali, e pure le loro azioni che costituiscono i loro estremi prodotti.
C’è dunque una reciproca armonia di fondo delle anime e delle azioni, armonia che si traduce nel loro convergere in unità, se pure a partire da opposti. Del resto, tutte le cose discendono da un’unità e per una sorta di necessità naturale terminano nell’Uno, per cui, quando pure sono nate diverse e sono divenute opposte, proprio in virtù della loro origine, non smettono d’essere coinvolte in compagine unitaria.[4]
Peraltro, lo stesso avviene nel caso dei singoli animali: i cavalli, per esempio, costituiscono un solo genere, eppure gareggiano fra loro anche a morsi, e amano misurarsi spinti dal senso di competizione. E non si creda che sia diverso per gli altri generi, presi uno per uno, e questo vale anche per gli uomini. Queste specie vanno a loro volta raccolte nell’unico genere dell’essere vivente.
Siccome anche gli esseri inanimati sono divisi in specie, anch’essi andranno compresi nell’unico genere del non vivente; e, volendo, i due generi possono farsi confluire nell’Essere, e ulteriormente nel principio che produce l’essere.
In seguito, quando bene hai fatto unità intorno a questo principio, discendi per via di divisione e rivolgi l’attenzione al frazionamento dell’Uno mentre si estende nella totalità delle cose, pur comprendendole tutte in un unico ordinamento, alla maniera di un unico vivente distinto in molte membra, ciascuna impegnata nell’azione che le è connaturata eppure solidale con il tutto che la contiene. Così, per esempio, il fuoco brucia, e il cavallo si comporta da cavallo e ogni uomo compie le opere proprie seguendo la sua natura: certo gli uomini fanno cose diverse, ma perché sono diversi. In definitiva, il bene e il male seguono, secondo le rispettive nature, ai loro comportamenti e alla loro vita.
Enneade III 3, 2
Gli eventi fortuiti non sono determinanti alla fine della buona vita, e del resto neppure essi sono indipendenti dalle cause pregresse e nel loro procedere non sono avulsi dalla concatenazione causale.
Chi tira le fila di ogni evento è il principio direttivo, mentre le singole componenti danno un apporto in proporzione della loro natura: è come essere nel quartiere generale di un esercito in cui il comandante impartisce gli ordini e gli attendenti si adattano ai suoi comandi.
Il tutto è disposto dalla Provvidenza di un generale che guarda da una prospettiva di offesa e di difesa e pensa anche all’equipaggiamento – vettovaglie, bevande e armamento in generale, comprese le macchine belliche −, prevedendo altresì il coordinamento di questi vari settori, affinché da essi sia dia la condizione per un buon risultato complessivo.
E tutto ciò scaturisce in modo ingegnoso dalla mente dello stratega, per quanto sfuggano al suo controllo le azioni progettate dai nemici.[5] Ma se anche l’altro esercito finisse sotto il suo potere, e lui riuscisse a essere il grande condottiero a cui tutto è sottoposto, quale parte della realtà resterebbe disordinata e avulsa dall’unica armonia?
Note
[1] Cioè nel 263 d.C.
[2] Antonio o Antonino di Rodi potrebbe essere un altro discepolo di Ammonio Sacca, di cui parlano Proclo e Siriano.
[3] Questa domanda riprende la chiusura del trattato precedente “La provvidenza I”. Si è pensato che sia stato Porfirio a tagliare in due il trattato ma la conclusione in forma di domande si inserisce molto bene nel modo di comporre di Plotino.
[4] In De mundo di Aristotele si leggono pensieri analoghi: “Forse la natura agogna i contrari e da questi e non dai simili trae l’accordo, e come ad esempio ha congiunto il maschio alla femmina e non ciascuno dei due sessi al proprio simile, così ha stretto anche la concordia originaria mediante i contrari e non mediante i simili. E si vede bene che anche l’arte, imitando la natura, fa questo. Infatti l’arte della pittura, mescolando insieme i colori bianchi e neri e gialli e rossi, produce immagini in armonia con i modelli; l’arte della musica, mescolando insieme suoni acuti e gravi, lunghi e corti, realizza con voci diverse un’armonia unica […]. Ed è esattamente questo il significato che ha anche ciò che viene affermato da Eraclito l’oscuro: “congiungimenti: interi e non interi, concorde discorde, armonico disarmonico, da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose”.
[5] Anche questa immagine è ripresa da Aristotele, De mundo, : “Questo assomiglia esattamente a quello che accade nei momenti di guerra, allorché la tromba dà il segnale all’esercito: in quel momento, infatti, non appena udito il suono, uno afferra lo scudo, un altro veste la corazza, un altro ancora indossa schinieri o elmi o cinturoni; e, ancora, uno imbriglia il cavallo, un altro sale sul cocchio, un altro ancora trasmette la parola d’ordine; il capitano raggiunge immediatamente la sua compagnia, il comandante di divisione la sua divisione, il cavaliere la sua schiera, il soldato armato alla leggera corre al suo posto; tutto si mette in moto a un unico segnale dato per ordine del capo che tiene il comando.”
Info
Rubrica Dalle Enneadi secondo Plotino
Bibliografia
“Enneadi” di Plotino, Arnoldo Mondadori Edizioni, 2012. Traduzione di Roberto Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di Giovanni Reale.
11 pensieri su “Dalle Enneadi secondo Plotino: la provvidenza II”