“Straniera” di Pamela Schoenewaldt: quando le donne emigravano in America
Il fenomeno delle migrazioni è uno dei più ricorrenti nella storia dell’umanità. Gli uomini, dall’origine dei tempi, si spostano da un luogo all’altro per le ragioni più varie: guerre, carestie, violenze, ricerca di un futuro migliore per sé e per i propri discendenti.
Ricerca della felicità.
È un fenomeno, quello dei flussi migratori, che non si fermerà mai, almeno fino a quando enormi sperequazioni continueranno a dividere il mondo e i suoi abitanti, ma anche fino a quando l’uomo manterrà la sua innata curiosità, la sua fame di scoperta, di novità.
Il nostro Paese, che oggi ha assunto il ruolo di luogo di immigrazione, è stato per lunghi anni paese di emigrazione: milioni sono stati gli italiani che hanno lasciato il suolo natio per tentare la fortuna all’estero, sia in Europa che nel nuovo mondo, quelle Americhe al di là dell’oceano.
La storia che ci racconta Pamela Schoenewaldt nel suo romanzo “Straniera” pubblicato in Italia da Ianieri Edizioni, è proprio quella di una donna che parte in cerca di fortuna, lasciando il suo minuscolo villaggio abbarbicato sulle montagne abruzzesi e incamminandosi verso l’ignoto della grande America.
“«Guarda!» strillò Gabriella quando la nebbia si alzò. «Palazzi alti che sembrano denti». Aveva ragione. Una dentatura irregolare mordeva il cielo. Così era questa New York: la bocca spalancata di un lupo enorme”.
È la prima sensazione che prova Irma quando il bastimento con cui ha attraversato l’oceano attracca al porto di New York. Lei, una piccola e insignificante giovane donna proveniente da una famiglia rurale dell’entroterra abruzzese, si trova al cospetto di una città enorme, di una nazione ancora più grande, con un progetto semplice ma ben chiaro in mente: arrivare a Cleveland per ritrovare il fratello Carlo e avviare una attività di sartoria, essendo lei un’ottima ricamatrice.
La storia ha inizio fra i monti dell’Abruzzo dove Irma conduce una vita dedita alla famiglia, al lavoro nei campi. Ha un rapporto difficile con suo padre, soprattutto dopo la morte della madre.
Unica consolazione è la zia di cui si prende cura. Non vorrebbe lasciarla, ma dopo un terribile episodio di molestia da parte di suo padre, è la stessa anziana zia a convincere la nipote a partire, a trasferirsi in America anche per cercare di ritrovare il fratello Carlo, partito poco tempo prima.
L’autrice narra in maniera dettagliata i giorni della traversata, il ritrovarsi in mezzo ad una umanità varia, nella quale si mescolano buoni e cattivi, generosi e invidiosi, mettendo per la prima volta Irma di fronte al fatto che non tutti gli uomini sono buoni come Attilio, che l’ha generosamente accompagnata fino al porto di Napoli, e come le sue sorelle che l’hanno accolta prima della partenza.
Arrivata in America la storia di Irma si dipana fra le mille difficoltà che la ragazza inevitabilmente si troverà a dover affrontare in una terra straniera, dove non tutti gli incontri sono ispirati dalla generosità e dalla bontà.
Pagherà a caro prezzo la sua ingenuità, il suo fidarsi del prossimo. E imparerà che bisogna essere guardinghi, attenti e mai farsi distrarre da lusinghe e dolci parole.
“Tagliare, cucire, lavorare – queste parole riempivano la mia cupa valle come campane di ferro che mi invitavano a dormire la sera e mi svegliavano la mattina, e risuonavano al di sotto del frastuono dei carri mentre mi affrettavo verso la bottega. Persino i piccioni sui tetti innevati tubavano, tagliare, cucire, lavorare”.
Crede nelle sue potenzialità Irma e capisce che in quella terra le opportunità le devi inseguire: con questa consapevolezza lascia Cleveland diretta a Chicago e poi a San Francisco, rincorrendo il suo sogno e lavorando sodo per poterlo realizzare, nonostante gli ostacoli e i gravi eventi che affolleranno il suo cammino.
Quella che ci restituisce l’autrice americana in questo romanzo è una donna forte, determinata, che pur avvertendo una profonda nostalgia per il paese natio, per la sua casa, la famiglia che ha lasciato fra i monti abruzzesi, non perde mai di vista il suo obiettivo: realizzarsi come persona nel mondo.
Anche se per fare questo ha dovuto attraversare l’oceano e affrontare montagne di problemi più alte e impervie di quelle reali che scalava inseguendo le capre che portava al pascolo in Abruzzo.
L’analogia con le odissee che oggi portano migliaia di donne ad affrontare viaggi terrificanti attraverso i deserti africani, i lager libici e le traversate mortali del Mediterraneo è fin troppo evidente.
Ma appare interessante constatare proprio come motivazioni e obiettivi accomunino le donne che partivano alla fine dell’Ottocento e quelle che partono oggi.
Le difficoltà economiche, le guerre, le torture, le devastazioni climatiche e le conseguenti carestie sono state in passato e sono tuttora oggi le ragioni che spingono alla partenza, su percorsi e itinerari niente affatto scontati.
Si parte con l’incognita dell’arrivo, esattamente come avveniva due secoli fa. Per le donne le motivazioni sono spesso anche riconducibili a una situazione di sottomissione familiare dettata da una società patriarcale e maschilista che mentre pone il maschio sul livello più alto, consentendogli potere di vita o di morte sulle donne, queste ultime sono condannate all’asservimento, alla sopportazione. O, in alternativa, alla partenza.
Ma questo romanzo è anche un affresco di un passato italiano troppo spesso dimenticato, la memoria di un tempo in cui partire significava dare un taglio profondo ai legami familiari che si lasciavano a casa: le difficoltà di comunicazione non permettevano il mantenimento dei contatti e spesso ci si perdeva completamente.
Solo i più fortunati, quelli che ce la facevano, riuscivano forse a tornare in patria, dove tuttavia si ritrovavano stranieri, in un contesto che non era più quello dal quale erano partiti ma nel quale difficilmente riuscivano a ritrovarsi.
“Straniera” è una bella storia di emigrazione che ci insegna molto del nostro passato ma accende una luce potente anche sul nostro presente.
Written by Beatrice Tauro