Dalle Enneadi secondo Plotino: contro gli gnostici

“L’Intelligenza è quello che è, sempre e stabilmente in atto. Il compito specifico dell’Anima è ormai quello di muoversi verso di lei, alla sua volta, mentre dall’Intelligenza una ragione formale scende sull’Anima rendendola intelligente, sicché fra l’Anima e l’Intelligenza non c’è spazio per un’altra realtà. Non vale neppure inventare una serie di intelligenze sulla base del fatto che una pensa e l’altra pensa di pensare. E infatti, se pure nella nostra Intelligenza pensare e pensare di pensare sono diversi, si tratterebbe pur sempre di un’unica apprensione a cui non sfuggono gli atti in cui si articola.” – Plotino

Enneadi - Plotino
Enneadi – Plotino

Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.

Porfirio racconta nella biografia:Dato che allora Eustochio abitava a Pozzuoli, come mi raccontò egli stesso, giunse tardi, quando Plotino era ormai in punto di morte; questi gli disse: “Ti ho aspettato”; e aggiunse: “Cercate di ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo”; e, mentre un serpente[1] strisciava sotto il letto in cui giaceva, per scomparire infine in un buco della parete, egli spirò all’età di sessantasei anni, almeno a detta di Eustochio, sul finire del secondo anno del regno di Claudio.[2] Quando morì, io, Porfirio, ero a Lilibeo[3], Amelio era ad Apamea di Siria e Castricio a Roma; solo Eustochio era presente. Se sottraiamo sessantasei anni al secondo anno del regno di Claudio la sua data di nascita cade nel tredicesimo anno del regno di Severo.[4] Ma non ha mai rivelato a nessuno né il mese né il giorno del suo genetliaco, perché pensava che non valesse la pena fare un sacrificio o un banchetto per festeggiare i suoi compleanni; al contrario, in occasione dei tradizionali genetliaci di Platone e di Socrate,[5] prima offriva un sacrificio e poi invitava gli amici a un banchetto, durante il quale chi degli amici era capace recitava un discorso di fronte ai convitati.

Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.

Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.

Per nove settimane, ed esattamente dal 9 marzo al 4 maggio abbiamo presentato la prima Enneade con alcuni paragrafi tratti dall’edizione Mondadori del 2012. Abbiamo così attraversato gli argomenti “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo”, “Le virtù“, “La dialettica”, “La felicità”, “Se l’essere felice aumenta col tempo”, “Il Bello”, “Il primo bene e tutti gli altri“, “Quali siano e da dove vengono i mali” ed “Il suicidio”.

Il primo trattato della seconda Enneade è denominato “Il Cieloed è il quarantesimo trattato scritto da Plotino. Il problema discusso è quello dell’eternità del cosmo con la ripresa del Timeo di Platone e di alcune critiche mosse da Aristotele rispetto alla teoria platonica, di Senocrate[6] e di altri. Il moto celeste” è il secondo trattato ordinato da Porfirio, mentre fu il quattordicesimo in successione scritto da Plotino. Molto breve, infatti, è composto da tre paragrafi indaga sulla questione del moto circolare del cielo causato dall’Anima.

Il terzo trattato è intitolato: “Se gli astri hanno un influsso”. Cinquantaduesimo trattato scritto da Plotino pone l’accento sulla complessa questione dell’influsso esercitato dagli astri sugli uomini, contrapponendosi alle ipotesi degli astrologi ma seguendo il concetto stoico secondo cui tutto è pieno di segni che possiedono significati premonitori per la ragione stessa per la quale gli eventi hanno una strutturale concatenazione l’uno con l’altro e nulla dipende dal caso.

Il quarto trattato denominato La materia è il dodicesimo scritto da Plotino. Troviamo nei suoi sedici paragrafi la trattazione della materia intelligibile e della materia sensibile. La materia va intesa come ἄπειρον (ossia come in-finito, il-limitato) che viene via via de-finito, de-limitato dai λόγοι (ossia dalle configurazioni e dalle ragioni formali). Possiamo ritenere la materia privazione e cioè presenta l’assenza di configurazioni formali e qualità, risulta essere amorfa ed in quanto tale capace di accogliere ogni tipo di forme. Il quinto, Ciò che è in potenza e ciò che è in atto”, è il venticinquesimo trattato scritto da Plotino, abilmente posizionato da Porfirio subito dopo “La materia” continuando così il discorso del concetto di materia.

La sostanza e la qualità” è il sesto trattato della seconda Enneade (diciassettesimo scritto da Plotino), come da titolo il nostro amato filosofo mette in relazione il concetto di qualità con il concetto di sostanza. Le conclusioni del ragionamento sono che, spesso, noi chiamiamo qualità delle cose alcune connotazioni che risultano costitutive delle cose stesse, facenti dunque parte della sostanza. Il settimo trattato è “La commistione totale”, trentasettesimo scritto da Plotino nel quale si esaminano le argomentazioni pro e contro la tesi portata in primo piano dagli Stoici. Plotino si concentra sul concetto secondo il quale la mescolanza deve rendere tutto omogeneo. L’ottavo trattato è il trentacinquesimo scritto dal filosofo e porta come titolo “La vista. Perché le cose lontane appaiono piccole”. Considerata la brevità del trattato si è ipotizzato che fossero una serie di annotazioni ed appunti che in corso alle lezioni venivano sviluppate.

L’ultimo trattato della seconda Enneade è denominato “Contro gli gnostici” (trentatreesimo trattato scritto da Plotino) e fa pare di un corpus più esteso che riprende l’argomento dello gnosticismo. Porfirio suddivise la tematica del Maestro in questa Enneade, nella terza (trentesimo e trentunesimo) e nella quinta (trentaduesimo), non sono chiare le ragioni di tale scelta.

Non è chiara neppure la corrente che Plotino prende ad esame perché risulta difficile identificare le sette gnostiche a causa della poca conoscenza che abbiamo, anche se dopo il ritrovamento del 1945 della Biblioteca gnostica copta di Nag Hamâdi si ha avuto la possibilità di arricchire notevolmente il patrimonio del corpus. Da considerare però che dal II secolo la dottrina è divenuta sempre più eclettica ed elitaria.

Plotino argomenta in dodici punti questo trattato rivolto ai discepoli perché c’era il timore che alcuni di essi potessero sposare il pensiero gnostico, essendo questo divenuto insistente ed arrogante per la convinzione di essere depositari di una rivelazione divina destinata a pochi eletti. Plotino scrive: “A coloro che non partecipano della virtù non è concesso in alcun modo di procedere verso le realtà di lassù. […] non serve a nulla invitare a guardare al Dio, se poi non si insegna a guardare.

Le argomentazioni sono: l’assurda moltiplicazione gnostica delle ipostasi; l’errata concezione dell’Anima cosmica; le contraddittorie figure della Sapienza e del Demiurgo; l’errata concezione della creazione del mondo nel tempo; la negazione della positività e della bellezza del cosmo; l’inaccettabile concezione di una nuova terra del tutto estranea alla nostra; la negazione della divinità dei corpi celesti; la superbia degli Gnostici che ritengono di essere solo loro i figli di Dio; le deviazioni di alcuni gruppi nella esaltazione del piacere nel senso epicureo; l’eccessiva svalutazione dei corpi; l’inaccettabilità di certe pratiche magiche; le errate interpretazioni di tesi di Platone e il distacco dalle antiche idee dei Greci.

Di seguito è riportato il primo dei diciotto paragrafi del trattato dunque, si invita all’acquisto del volume riportato in bibliografia per potersi dissetare pienamente.

 

Enneade II 9, I

Plotino - Enneadi - contro gli gnostici
Plotino – Enneadi – contro gli gnostici

Siccome l’essenza del Bene ci si è rivelata in tutta la sua originaria semplicità – e infatti tutto ciò che non è originario non è neppure semplice – e, siccome non ha nulla in sé se non l’unità, ecco che la natura di ciò che viene detto Uno è sempre la stessa – non è infatti possibile che sia prima qualcosa di diverso e poi Uno, e che questo, prima sia una cert’altra realtà e poi, in un secondo tempo, il Bene −; per tale motivo, quando diciamo Uno e Bene dobbiamo pensare di indicare una medesima realtà e una sola, non intendendo predicare nulla di essa, ma semplicemente volendo rivelarla a noi stessi, per quanto è nelle nostre possibilità.

In tal senso, se le diamo il nome di Primo, è perché la riteniamo assolutamente semplice; e se la diciamo autosufficiente, è perché non è fatta da una molteplicità di parti e quindi non dipende da esse. Inoltre, non si trova in altro, perché ogni cosa che si trova in altro dipende anche da questo.[7]

Di conseguenza, se non dipende da altro, non è in altro e non è una realtà composta, non può assolutamente esistere un essere che la sovrasti. Perciò non c’è bisogno di risalire a principi sovraordinati, ma, una volta fissato l’ordine naturale delle cose – cioè l’Uno, e subito dopo l’Intelligenza e il primo pensiero, quindi l’Anima dopo l’Intelligenza −, nell’ordine delle realtà intelligibili che si percepiscono con la mente non dobbiamo concepire niente di più e niente di meno.

Infatti, se se ne pongono di meno, si dovrà affermare che sono identiche Anima e Intelligenza,[8] oppure l’Intelligenza e il Primo.[9] Già altrove abbiamo dimostrato la diversità di tali ipostasi, ed ora resta da appurare se esse siano in numero maggiore delle nostre tre e se esistano altre realtà in aggiunta a queste. Intanto, una volta descritto nei termini indicati il principio del tutto, sarebbe impossibile trovare qualcosa di più semplice e di più elevato. E neppure gli Gnostici potranno sostenere l’esistenza di due principi, uno in potenza e uno in atto. Sarebbe infatti ben buffa la pretesa di introdurre in esseri che sono in atto privi di materia la distinzione fra potenza e atto, col risultato di moltiplicare queste nature.

Un tale risultato è inammissibile ance negli esseri successivi; d’altra parte, non si può neanche immaginare un’Intelligenza in quiete e una, per così dire, in movimento.[10] Infatti che cosa significano riposo, movimento e processione nel caso dell’Intelligenza? E poi, che cosa vuol dire che l’una sia caratterizzata da inattività e l’altra da una specie di azione?

L’Intelligenza è quello che è, sempre e stabilmente in atto. Il compito specifico dell’Anima è ormai quello di muoversi verso di lei, alla sua volta, mentre dall’Intelligenza una ragione formale scende sull’Anima rendendola intelligente, sicché fra l’Anima e l’Intelligenza non c’è spazio per un’altra realtà. Non vale neppure inventare una serie di intelligenze sulla base del fatto che una pensa e l’altra pensa di pensare. E infatti, se pure nella nostra Intelligenza pensare e pensare di pensare sono diversi, si tratterebbe pur sempre di un’unica apprensione a cui non sfuggono gli atti in cui si articola.

Tuttavia, sostenere una tale tesi a proposito della vera Intelligenza sarebbe per lo meno ridicolo: qui l’Intelligenza pensante e quella che pensa di pensare sono esattamente la stessa cosa. In caso contrario, avremmo da un lato l’Intelligenza che si limita a pensare, dall’altro l’Intelligenza che pensa che l’altra pensa; ma questa, in tal modo, sarebbe un’altra Intelligenza e non proprio quella che prima ha pensato. Se poi riterranno questa come una distinzione solo teorica, in primo luogo dovranno rinunciare alla pluralità delle ipostasi;[11] e poi è tutto da verificare se anche a livello concettuale sia possibile lasciare spazio ad una nozione di Intelligenza che si limita a pensare e non ha coscienza del suo stesso pensiero.

Basti riflettere che se un caso del genere succedesse a noi, subito saremmo tacciati di dissennatezza, perché a voler essere solo un poco saggi, ci tocca non perdere di vista né i nostri impulsi né i nostri pensieri. Quando, poi, è la vera Intelligenza a concepire se stessa nei suoi pensieri – e in tal caso l’oggetto non le è esterno, ma lei stessa si identifica con il pensato −, allora nel suo pensare non potrà che cogliere e contemplare se medesima. E quando coglie se stessa, non si vedrà certo come essere privo di pensiero, ma come essere pensante. Dunque, fin dall’origine l’Intelligenza si troverà ad avere nel suo pensare anche il pensare di pensare come se fosse un’unica realtà.

In conclusione, neppure a livello teorico lassù c’è duplicità. D’altra parte, se quello che pensa è sempre quello che è, com’è possibile una separazione, se pure solo teorica, fra il pensare e il pensare di pensare? Se poi, dopo il secondo concetto corrispondente al già citato pensare di pensare, si volesse introdurre un terzo, equivalente al pensare di pensare di pensare, certo cadremo ancor più nell’assurdo: infatti, che cosa ci impedirebbe di procedere, su questa via, all’infinito?[12]

Inoltre, se uno ammette una ragione formale che procede dall’Intelligenza, e poi da questa ne fa scendere dall’Anima un’altra, appositamente allo scopo di costituire un’ipostasi intermedia fra l’Anima e l’Intelligenza, l’Anima stessa sarà privata della facoltà del pensiero, una volta che, non accogliendo alcuna ragione formale direttamente dall’Intelligenza, la riceve dall’altra ragione formale che sta in mezzo. E quella che avrà sarà solo un simulacro della ragione formale, e non la vera ragione formale, e neppure por avere cognizione dell’Intelligenza; anzi, non penserà per niente.

 

Note

[1] Il serpente, animale ctonio per eccellenza, era per i Greci uno dei simboli dell’anima umana che proviene dalla terra e ritorna alla terra. Ma, essendo anche simbolo della medicina, è probabile che Porfirio abbia voluto combinare le due diverse simbologie per indicare che, con la morte del corpo, Plotino ha raggiunto la vera salute dell’anima.

[2] Marco Aurelio Valerio Claudio II, detto il Gotico, imperatore dal 268 al 270 d.C.

[3] L’attuale Marsala.

[4] Lucio Settimio Severo fu imperatore dal 193 al 211 d.C. Da queste informazioni ricaviamo il 205 come data di nascita di Plotino ed il 270 come data di morte.

[5] Nei circoli neoplatonici era usuale celebrare con banchetti e simposi le ricorrenze natalizie di Socrate e di Platone, che coincidevano, rispettivamente, con le feste di Artemide e di Apollo, cioè il 6 e il 7 di Targelione (in greco antico: Θαργηλιών, Thargheliòn. Era il nome dell’undicesimo mese del calendario attico nell’antica Grecia. Targelione andava dalla seconda metà di maggio alla prima metà di giugno circa. Il nome del mese era legato alle Targhelia (o Targelia o Targelie), feste in onore di Apollo e di Artemide che si svolgevano ad Atene.).

[6] Senocrate (Calcedonia, 396 a.C. – Atene, 314 a.C.) fu discepolo di Platone. Lasciò l’Accademia dopo la morte del suo maestro per dissapori con Speusippo, di cui prese il posto nel 339 a.C. Senocrate è contraddistinto dalla tendenza al pitagorismo, ed è celebre la sua definizione dell’anima: “un numero che si muove da sé”.

[7] Riassumiamo velocemente i precedenti trattati. La prima ipostasi è l’Uno che non ammette distinzione in potenza ed in atto. La seconda è l’Intelligenza non distinguibile tra Intelligenza in quiete ed in movimento. All’Intelligenza fa seguito l’Anima senza intermedi.

[8] Riferimento al pensiero stoico.

[9] Cfr. Aristotele, Metafisica.

[10] Numenio esprime alcune idee vicine a queste appena proposte. Numenio di Apamea (Apamea, II secolo – Apamea, II secolo) è stato un filosofo siro, di lingua greca e vissuto in età romana. Fu esponente di spicco del neopitagorismo ma influenzato da Platone è considerato anche uno fra i massimi rappresentanti della scuola medioplatonica. Plotino fu accusato di plagio proprio per queste somiglianze e difeso dal suo discepolo Amelio.

[11] Il religioso e docente italiano Vincenzo Cilento (Stigliano, 1º dicembre 1903 – Napoli, 7 febbraio 1980) su “Paideia antignostica” scrive: “Plotino vuol togliere di mano agli gnostici le varie strutture logiche del pensiero greco delle quali malamente gli gnostici si servivano per moltiplicare i loro eoni”.

[12] Cfr. nota 11.

 

Info

Rubrica Dalle Enneadi secondo Plotino

 

Bibliografia

“Enneadi” di Plotino, Arnoldo Mondadori Edizioni, 2012. Traduzione di Roberto Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di Giovanni Reale.

 

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