Intervista di Emma Fenu a Stefania Convalle: fra i mantelli de “Il silenzio addosso”

“Gli uomini, secondo me, diventano padri solo verso i propri figli. Credo sia proprio un fatto fisiologico: la donna nasce per accogliere nel proprio corpo una nuova vita e nel proprio Dna, anche se non si concretizza la maternità, ha per definizione un senso di accoglienza.” – Stefania Convalle

Stefania Convalle
Stefania Convalle

Oggi è con noi, nell’atmosfera magica del pozzo di Oubliette Magazine, Stefania Convalle, giornalista, scrittrice, poetessa, tutor di scrittura creativa, organizzatrice di eventi culturali, fondatrice e curatrice del premio letterario Dentro l’amore ed editora (Edizioni Convalle).

Con il suo romanzo intenso, imperniato sull’indagine dell’animo umano, intitolato Il silenzio addosso, ha ricevuto Menzione d’onore Premio Letterario Città di Arcore e il Premio Giovani Premio Microeditoria di qualità.

Ed è da questa opera letteraria che partiremo, per raccontare, raccontarsi e riflettere.

 

E.F.: Il silenzio addosso è un velo di pizzo, un cappotto di panno o la nudità che ci spoglia e ci rivela?

Stefania Convalle: Se penso al silenzio addosso di Chiara, la protagonista del mio romanzo, mi viene in mente l’Eremita, uno degli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Egli è raffigurato come un vecchio che indossa molteplici mantelli dai vari colori a rappresentare la saggezza e l’intelligenza, ma anche la carnalità e l’attaccamento alla vita. 

Procede però con prudenza, in una mano un bastone sul quale appoggiarsi, nell’altra una lanterna a illuminare il sentiero, per ri-trovare la giusta Via. Ecco, penso che il silenzio addosso sia quel momento particolare di introspezione, necessario, a volte, per ricominciare a vivere, proprio come Chiara.

 

E.F.: Le donne del tuo romanzo sono, in diverse accezioni, madri. Cosa sono le madri? Dove inizia la madre e finisce la donna, oppure non c’è soluzione di continuità?

Il silenzio addosso
Il silenzio addosso

Stefania Convalle: Non ho avuto la fortuna di essere madre, anche se l’ho sempre desiderato e per qualche settimana lo sono anche stata, ma non è finita bene. Forse questo mio desiderio così forte, e in qualche modo frustrato, alla fine si è trasformato in consapevolezza che si può essere madri, anche di figli non propri, ma in senso universale.

E così le donne dei miei romanzi sono spesso madri senza necessariamente esserlo nel senso canonico del termine, ma lo sono − a volte più di altre che mettono al mondo dei figli − verso l’essere umano stesso.

 

E.F.: E gli uomini? Li definiresti padri in senso ampio? Cosa generano nella tua storia, pur ricoprendo un ruolo marginale (ma nei margini si nascondono le parole non dette)?

Stefania Convalle: Gli uomini, secondo me, diventano padri solo verso i propri figli. Credo sia proprio un fatto fisiologico: la donna nasce per accogliere nel proprio corpo una nuova vita e nel proprio Dna, anche se non si concretizza la maternità, ha per definizione un senso di accoglienza. L’uomo, invece, penso che abbia un senso di protezione e sostentamento dei figli che effettivamente entrano a far parte della sfera familiare. Come dire… Il padre impara a essere madre.

Nei miei romanzi gli uomini spesso hanno un ruolo di protezione, nel senso atavico del termine.

 

E.F.: Nel Il silenzio addosso si rivela una costruzione narrativa molto coinvolgente: non è una sola la voce narrante e l’uso della prima persona perfora la carta, per arrivare all’anima del lettore. Cosa c’è nel laboratorio della scrittrice? Chi sono queste figure? Parti di te o parti del mondo?

Stefania Convalle: Amo scrivere in prima persona perché credo sia un modo per arrivare al cuore del lettore in modo diretto e forte, ma anche perché io stessa divento i personaggi che scrivo e descrivo, e mentre lo faccio penso come loro, agisco come loro, ho le stesse loro gioie e paure: un processo d’immedesimazione che adotto ad ogni romanzo, affidando ai personaggi, allo stesso tempo, pensieri miei, piccoli pezzi della mia vita, la mia visione del mondo.

Nel laboratorio della scrittrice c’è la ricerca continua di una evoluzione nella propria scrittura, che passa attraverso una liberazione della stessa, abbattendo le barriere della paura del giudizio di chi leggerà.

 

E.F.: Le parole possono cambiare il mondo? E i silenzi che possono fare?

Stefania Convalle
Stefania Convalle

Stefania Convalle: Non lo so se le parole possono cambiare il mondo, di certo possono fare riflettere come ci insegna la letteratura e la filosofia, ma anche la saggistica, che hanno attraversato i secoli. Una frase in un libro può illuminarci la vita, e se ognuno di noi modifica o cambia il proprio mondo, ecco che quell’ognuno può diventare il tutto. I silenzi possono cambiare, credo, noi stessi, possono arricchirci più di mille parole, ma non credo che possano cambiare il mondo.

Forse, non questo mondo che è piuttosto rumoroso e parecchio aggressivo, anche con le parole. Diciamo che perché il silenzio possa cambiare il mondo, dovrebbe esserci almeno un minuto di silenzio dell’intera umanità: è possibile?

 

Written by Emma Fenu

 

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