Edera Film Festival 2019: a Treviso tornano sul grande schermo decine di giovani promesse

Quartiere di Santa Maria del Rovere, Treviso: da mercoledì 31 luglio a sabato 3 agosto il Cinema Edera, uno dei multisala d’essai più apprezzati del Triveneto e non solo, ospiterà la seconda edizione dell’Edera Film Festival, vetrina dedicata a giovani registi emergenti provenienti dal territorio e dall’estero, per molti dei quali il pubblico italiano si rivelerà un’esperienza del tutto inedita.

Edera Film Festival 2019
Edera Film Festival 2019

Il volto internazionale della kermesse gioverà per la prima volta della partecipazione di Belgio, Brasile, Filippine, Finlandia, Georgia, Iraq, Kazakistan e Turchia, così come debutterà nella selezione ufficiale (e non) la tecnica dell’animazione, magistralmente rappresentata dai corti “La bague au doigt” (Gerlando Infuso, 2018) e “Inanimate” (Lucia Bulgheroni, id.).

A questi si affiancherà fuori concorso “Goodbye Marilyn” (Maria Di Razza, id.) e, quale evento speciale, un lungometraggio che più d’uno avrà già avuto modo di apprezzare, “Dilili a Parigi”, presentato nientemeno che dal regista stesso, l’indiscusso maestro Michel Ocelot, presidente di una delle giurie e protagonista assoluto di una delle due masterclass programmate nelle mattine festivaliere (“Una vita di animazione”, a seguire “Raccontare un paesaggio”, condotta dal giornalista e filmmaker Domenico Gambardella).

Costituiscono altre due novità di tutto rilievo la serata di pre-apertura di martedì 30 luglio che coinvolgerà il quartiere di Fiera (l’evento naturalmente mira passo dopo passo a crescere anche in termini di durata e di diffusione sul territorio) e il Premio della Direzione Artistica, assegnato dallo storico del cinema Giuseppe Borrone, dalla regista Gloria Aura Bortolini e dall’esercente del Cinema Edera Sandro Fantoni in maniera trasversale alle categorie competitive: lungometraggi, documentari e cortometraggi, costituite rispettivamente da 6, 9 e 20 titoli.

Sono infatti “solo” 35 le opere selezionate fra le oltre 2300 iscritte, un risultato di cui andar certo fieri che segna un decisivo e incoraggiante incremento in rapporto alla già ragguardevole quota di circa 1300 candidature raggiunta l’anno passato. La varietà dell’assortimento, accessibile peraltro a modiche cifre in ossequio alla politica condotta sinora dalla sala, non è affatto venuta meno: quella che segue d’altro canto vuol essere proprio una rapida guida che renda giustizia alla numerosità dei generi che sarà possibile intersecare nelle quattro giornate di proiezioni.

Inanimate di Lucia Bulgheroni
Inanimate di Lucia Bulgheroni

Fra le prime prerogative dell’arte cinematografica sta quella di ritrarre a tutto tondo uomini e donne del presente o del passato: in base a questo principio si distinguono anzitutto tre documentari, “A guitarra e o plebeu” (Breno Soares, 2018), sul musicista brasiliano Irio De Paula, “My Tyson” (Claudio Casale, id.), sul pugile italiano Alaoma Tyson, e “Prisoner of Society” (Rati Tsiteladze, id.), su una transessuale dalla vita tutt’altro che facile in un paese retrogrado come la Georgia.

Il cinema permette di viaggiare con la mente e lo spirito restando comodamente seduti in una poltrona: ad essere esplorati sono mondi lontani fra loro diversissimi, dai deserti del Marocco in “Le ciel, la terre et l’homme” (Caroline Reucker, id.), popolati da famiglie nomadi esposte al confronto con la società urbanizzata, alle regioni più inquinate dei monti Urali in “Copper Mountains” (Carolin Koss, id.), fotografati in tutta la loro desolazione, dai paesaggi aspri e monumentali degli arcipelaghi d’Islanda in “Synti, Synti (L’île écorchée)” (Marion Jhöaner, id.), testimoni nel corso dei decenni di vicende tragiche ed eroiche, fino alle cuccette di terza classe in “Vostok n° 20” (Elisabeth Silveiro, id.), sobbalzanti sulla linea ferroviaria che collega Mosca a Pechino.

Dalla realtà si passa alla distopia con “Ceux qui peuvent mourir” (Charlotte Cayeux, 2017), ambientato in un collegio che cela tra le sue grigie mura un segreto agghiacciante, “Delivery Service” (Vladimir Koptsev ed Elena Koptseva, 2019), dove per posta si arriva a spedire direttamente le emozioni, e “The Forest” (Lia Tsalta, 2017), che immagina un tempo in cui la natura incontaminata sarà solo uno sbiadito ricordo.

Si potrà rileggere l’esistenza di tutti i giorni in chiave fantastica, come accade in “The Essence of Everything” (Daniele Barbiero, 2018), al cui centro si sfidano Vita e Morte nelle loro incarnazioni umane, e volgere lo sguardo alla Luna grazie a “Moths to Flame” (Luka Jankovic e Marco Pellegrino, id.), puntuale e doveroso omaggio alla missione Apollo 11.

Le ciel, la terre et l'homme di Caroline Reucker
Le ciel, la terre et l’homme di Caroline Reucker

Ma gli spettatori possono raggiungere mete distanti anche attraverso i racconti di chi ha abbandonato la propria patria: è il caso delle sei protagoniste di “Badanti” (Paolo Pandin, id.) e del muto testimone di una traversata notturna del Mediterraneo inquadrato in “La buona novella” (Sebastiano Luca Insinga, id.).

Corposo è il gruppo costituito dai drammi di finzione dai profili più vari: due splendidi corti prendono forma dal problematico riproporsi di reminiscenze di tempi più o meno remoti, “Cafèsigaret” (Agostino Devastato, id.), che fa sedere allo stesso tavolo due vecchi amici accomunati e tenuti a distanza dall’amore per la stessa ragazza, e “Uscire fuori” (Michele Leonardi, 2017), che torna a ospitare sotto lo stesso tetto marito e moglie separati dalla prigione.

Condizioni di precarietà stanno alla base di “Happy Birthday” (Layth Daham, 2019), ambientato in un polveroso monolocale di Baghdad, dell’originalissimo e sperimentale “O menino que morava no som” (Felipe Soares, id.), il cui protagonista è un ragazzino sordo abituato a scalare montagne di immondizia, e di “Terre di mezzo” (Maria Conte, 2018), dove un fazzoletto di terra in prossimità di una ferrovia sostenta una famiglia cinese residente nella provincia di Belluno.

Storie di violenza inaudita si potranno gustare con “Alla luce del sole” (Francesco Pascucci, id.), incentrato su un gruppo di prostitute costrette a subire un terribile “test di qualità”, e “Raptus” (Léonie Violain, id.), che narra la conversione di un ragazzo introverso agli imperativi di una gang di giustizieri.

C’è spazio persino per il thriller, individuabile nelle derive sanguinolente e claustrofobiche di “Bad Bad Winter” (Olga Korotko, id.), e per trame dagli sviluppi davvero inaspettati, come nei casi di altri due lungometraggi, “Cracking Nuts” (Tolgay Hiçyilmaz, id.) e “The French Teacher” (Stefania Vasconcellos, id.), l’uno imperniato sulla sgradevole figura di una donna dai capelli verdi spinta a scontrarsi con il tradizionalismo di un villaggio immerso nei boschi turchi, l’altro sull’ambigua relazione triangolare fra una madre con molte primavere alle spalle, un amante nel fiore degli anni e la figlia di lei alla quale questo risulta inviso.

Non resterà deluso chi altresì è alla ricerca di toni più leggeri: “Kuya Wes” (James Robin Mayo, id.) trascinerà nelle colorate contrade filippine, “100% pur porc” (Émilie Janin, id.) in una fabbrica di salsicce rivitalizzata dalla fantasia di un’operaia, “Gli arcidiavoli” (Lorenzo Pullega, 2019) in un circolo ricreativo sconvolto da una retata della polizia, “L’estremo saluto” (Mariachiara Manci, 2018) in un cimitero dove internet prende poco, “Fino alla fine” (Giovanni Dota, id.) al cospetto di un temuto boss della mafia singolarmente magnanimo, “Happy Together” (Marie De Hert ed Ellen Pollard, 2017) in una casa dove convivono tre anziati fratelli e un rifugiato iracheno e “The Swimsuit Season” (Antonino Valvo, 2019) in una piscina che per un ragazzino grassottello costituisce un’autentica sfida.

The Pigeon Thieves di Osman Naıl Doğan
The Pigeon Thieves di Osman Naıl Doğan

Proprio alla gioventù, particolarmente fortunata nella scorsa edizione (che ha visto trionfare, fra gli altri, “L’educazione di Rey” di Santiago Esteves e “Nightshade” di Shady El-Hamus), saranno riservati i due posti rimanenti nella sezione dei lunghi: “Un giorno all’improvviso” (Ciro D’Emilio, 2018) e “The Pigeon Thieves” (Osman Naıl Doğan, id.), che contrappongono due adolescenti dal carattere e dall’etica assai diversi, i quali però condividono la medesima aspirazione a conquistarsi un ruolo dignitoso e rispettabile nella società.

A completare la rosa proposta nell’arco di questo secondo Edera Film Festival, un documentario fuori concorso firmato dall’unico regista trevigiano, Alberto Girotto: “Per quello che sono” (2018) indaga con strumenti e pratiche non convenzionali il lato meno conosciuto di Gabriele D’Annunzio, quello emerso solo di recente grazie ad alcuni manoscritti inediti riscoperti.

È lecito in chiusura soffermarsi sul nutrito numero di delegazioni che ospiterà l’evento, promosso dall’Associazione Culturale Orizzonti con il patrocinio della Regione del Veneto, del Comune di Treviso, di Fondazione Benetton Studi Ricerche e Fondazione Cassamarca: a incontrare il pubblico e a confrontarsi con esso saranno presenti i registi Agostino Devastato, Giovanni Dota, Alberto Girotto, Michele Leonardi, Michel Ocelot, Paolo Pandin, Francesco Pascucci, Lorenzo Pullega, Breno Soares e Antonino Valvo, le registe Charlotte Cayeux, Marie De Hert, Maria Di Razza, Émilie Janin, Marion Jhöaner, Carolin Koss, Mariachiara Manci, Ellen Pollard, Caroline Reucker, Elisabeth Silveiro e Stefania Vasconcellos, l’attore Roberto Romagnoli (“Gli arcidiavoli”), le attrici Merve Conker (“Cracking Nuts”) e Barbara Petti (“Cafèsigaret”), i produttori Miguel Muller (“The French Teacher”) e Götz Reinicke (“Le ciel, la terre et l’homme”), la produttrice Amélie Quéret (“100% pur porc” e “Ceux qui peuvent mourir”), il montatore Otto Andersson (“Copper Mountains”) e il sound editor Geoffrey Perrier (“Synti, Synti (L’île écorchée)”).

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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