Selfie & Told: Circlelight racconta l’album “Ties and Struts”
“For a while, I’ll stay away/ It’s what you need me to say So I’ll stay away, I’ll stay away// No more calls just to say/ Oh I wanted to hear you/ In these hard days, in these hard days// We’ve made our decision now/ So let’s stick to it/ You’ll do your things and I’ll do mine Time will pass us by// At times I wake up at night And wonder if it’s right/ To let It all fall apart/ Reset and restart” – “Stay Away”

Sono Emanuele Durante e “Circlelight” è il mio progetto alternative folk. Ho cominciato a presentarmi come Circlelight a Londra nel 2015 e a far conoscere le mie canzoni partendo dai classici open mic e piccoli festival, prima come solista e poi con una band.
Nel 2017 sono tornato in Italia nella mia città, Cava de’ Tirreni (Salerno), e ho cominciato a lavorare al mio primo album di inediti in inglese, sotto la guida di Antonio Prugno Siniscalchi, produttore artistico (Terzo Piano, I O tilde), e con l’aiuto di Stefano Torino, amico di vecchia data, alle chitarre, Daniele Apicella alle percussioni ed Emanuele Marsico ai fiati.
Il 22 Marzo 2019 è uscito in autoproduzione il mio primo album, ‘Ties and Struts’, preceduto dall’uscita dei singoli ‘Stay Away’ e ‘Sense of Unrest’.
E ora senza altri indugi mi vado ad auto-intervistare per la rubrica musicale Selfie & Told.
C.: Ciao Emanuele. Classica domanda super scontata, ma che nessuno ancora ti ha fatto. Come è nata la tua passione per la musica?
Circlelight: Sono sempre stato un ascoltatore ossessivo di musica. A 7 anni iniziai a studiare violino, e vorrei tanto dire di aver continuato per molti anni, ma smisi dopo due perché le lezioni mi annoiavano a morte. A 16 anni tornai a studiare musica, e in particolare canto moderno. Allora i miei gusti musicali erano alquanto discutibili, diciamo che ero più concentrato sulla tecnica vocale che su altro. Poi mio zio, grande appassionato di musica, cominciò a regalarmi album di artisti come Joni Mitchell o Nick Drake, giusto per citarne due. Da lì cominciai ad affinare un po’ i miei ascolti e ad appassionarmi davvero a tutti gli altri aspetti che esulavano dalla tecnica vocale.
C.: Quand’è che quindi hai cominciato a scrivere le prime canzoni e come ti approcci alla scrittura?

Circlelight: Le prime canzoni sono arrivate dopo un po’. Non ho capito da subito di voler scrivere. Durante i primi anni di università avevo messo su assieme ai miei amici una band di cover brit-rock per suonare nei locali, divertirmi e guadagnare qualcosa. Serviva una seconda chitarra e decisi di prendermi io l’onere, così cominciai a studiare chitarra e dopo un annetto iniziarono ad uscire le prime canzoni. Avrò avuto 22-23 anni. Per quanto riguarda la scrittura, non ho un approccio fisso. Spesso parto da una melodia e cerco di costruirci attorno, altre volte parto dal testo, da un riff o da un giro di accordi. In generale non mi piace fossilizzarmi su un metodo in particolare. Per quel che riguarda le tematiche, l’unica regola che mi do è di essere sincero e cantare di ciò che mi viene più naturale.
C.: ‘Ties and Struts’ è il tuo primo album ed è uscito da pochi mesi. Cosa ci dici a riguardo?
Circlelight: Direi che è un album breve ma intenso, e preferisce essere ascoltato per intero. Quando selezionammo le canzoni, non scegliemmo solo quelle che ritenevamo più valide ma anche quelle che ci permettevano di raccontare un percorso. In questo penso che l’apporto creativo di Antonio sia stato fondamentale. L’album ha un sound ben definito e un senso di circolarità che coinvolge anche le singole tracce. Voglio davvero bene a questo lavoro, ho dette le cose che volevo dire come le volevo dire.
C.: Non vuole essere una critica, ma come mai scrivi in Inglese? Hai mai provato a scrivere in Italiano?
Circlelight: Si ci ho provato, ma il risultato non mi convinceva. Mi è davvero difficile scrivere in Italiano. Non basta conoscere bene una lingua per saper scrivere, sono due cose molto diverse. Sia chiaro, non snobbo la mia lingua, è semplicemente una questione di suono, come scegliere un sassofono piuttosto che una cornamusa. Sarebbe molto difficile cercare di avvicinare l’Italiano all’Inglese senza penalizzare il significato del testo. Poi c’è anche da dire che in genere sono una persona riservata, quindi se proprio devo parlare dei fatti miei, meglio in un’altra lingua.
C.: Da dove viene lo pseudonimo “Circlelight”?

Circlelight: Cercavo una combinazione di parole che evocasse il mood della musica che volevo scrivere, una specie di sinestesia. Magari detta così può suonare pretenziosa, ma era anche un modo per trovare un nome che non fosse ancora stato utilizzato. Tolkien utilizzava lo stesso metodo per inventare i nomi dei protagonisti delle sue opere. Comunque, in genere devo dire che non mi piace inventare nomi, non riesco mai ad esserne convinto al cento per cento.
C.: Ultima domanda. Spesso hai definito Circlelight come un progetto aperto? Cosa intendi di preciso?
Circlelight: È un modo per depersonalizzare il progetto e mettere al centro la musica. Ho sempre preferito il contesto della band, ma avevo queste canzoni in cantiere da un po’ e ho sentito il bisogno di avere l’ultima parola sul risultato finale. Al tempo stesso però ho davvero voluto tenere il più possibile in conto le idee degli altri. Alla fine è questa la cosa che mi piace di più della musica, vivere il processo creativo assieme agli altri e poi condividerne sul palco il risultato.
“[…] In the City of Grace/ You won’t spot any blues on my face/ Of troubles no trace/ Get rid of the morning race/ And when it’s dark at night/ You will always see stars shining/ Bright above us/ No hassle, no fuss/[…] “ − “City of Grace”
Written by Circlelight
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