Dalle Enneadi secondo Plotino: la materia
“[…] la materia di ciò che diviene assume incessantemente una forma dopo l’altra, mentre la materia delle realtà eterne è sempre la medesima e quindi, in un certo senso, quella del nostro mondo è il contrario. Qui, invero, essa è di volta in volta tutte le cose e, in ciascun caso, una sola cosa, per cui nulla rimane identico una realtà spinge via l’altra: per questo il non identico è la condizione perpetua.” − Plotino
Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.
Porfirio racconta nella biografia: “A ventott’anni si sentì spinto verso la filosofia e fu presentato ai più noti maestri che a quel tempo operavano ad Alessandria, ma ritornava sempre dalle loro lezioni pieno di tristezza e di delusione, fino a quando confidò quello che provava ad uno dei suoi amici; questi comprese il desiderio della sua anima e lo portò da Ammonio[1], che non aveva mai conosciuto. Dopo che entrò e lo ascoltò, confidò all’amico: È lui che cercavo. E da quel giorno frequentò Ammonio con costanza e si esercitò così tanto nella filosofia che volle sperimentare direttamente quella che viene praticata dai Persiani e quella che domina tra gli Indiani. E quando l’imperatore Gordiano[2] si accinse a una spedizione contro i Persiani, si arruolò e si unì all’esercito, nonostante avesse già trentanove anni Infatti, si era trattenuto da Ammonio per undici anni interi.”
Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.
Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.
Per nove settimane, ed esattamente dal 9 marzo al 4 maggio abbiamo presentato la prima Enneade con alcuni paragrafi tratti dall’edizione Mondadori del 2012. Abbiamo così attraversato gli argomenti “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo”, “Le virtù“, “La dialettica”, “La felicità”, “Se l’essere felice aumenta col tempo”, “Il Bello”, “Il primo bene e tutti gli altri“, “Quali siano e da dove vengono i mali” ed “Il suicidio”.
Il primo trattato della seconda Enneade è denominato “Il Cielo” ed è il quarantesimo trattato scritto da Plotino. Il problema discusso è quello dell’eternità del cosmo con la ripresa del Timeo di Platone e di alcune critiche mosse da Aristotele rispetto alla teoria platonica, di Senocrate[3] e di altri. “Il moto celeste” è il secondo trattato ordinato da Porfirio, mentre fu il quattordicesimo in successione scritto da Plotino. Molto breve, infatti, è composto da tre paragrafi indaga sulla questione del moto circolare del cielo causato dall’Anima.
Il terzo trattato è intitolato: “Se gli astri hanno un influsso”. Cinquantaduesimo trattato scritto da Plotino pone l’accento sulla complessa questione dell’influsso esercitato dagli astri sugli uomini, contrapponendosi alle ipotesi degli astrologi ma seguendo il concetto stoico secondo cui tutto è pieno di segni che possiedono significati premonitori per la ragione stessa per la quale gli eventi hanno una strutturale concatenazione l’uno con l’altro e nulla dipende dal caso.
Oggi si presenta il quarto trattato denominato “La materia”, il dodicesimo scritto da Plotino. Troviamo la trattazione della materia intelligibile e della materia sensibile. Fu Platone che formulò il concetto di materia intelligibile connesso alla struttura bipolare del reale a tutti i livelli.
Fondamentalmente se le cose sensibili sono fatte necessariamente di materia e di forma come immagini (o copie) di modelli delle realtà intelligibili allora sia i modelli che le immagini devono avere analoga struttura. Se quella intelligibile è l’archetipo (o il modello) quella sensibile ne è l’immagine (o copia).
La materia va intesa come ἄπειρον (ossia come in-finito, il-limitato) che viene via via de-finito, de-limitato dai λόγοι (ossia dalle configurazioni e dalle ragioni formali). Possiamo ritenere la materia privazione e cioè presenta l’assenza di configurazioni formali e qualità, risulta essere amorfa ed in quanto tale capace di accogliere ogni tipo di forme.
Di seguito sono riportati tre dei sedici paragrafi del trattato dunque, si invita all’acquisto del volume riportato in bibliografia per potersi dissetare pienamente.
Enneade II 4, I
La cosiddetta materia per alcuni si riduce a un sostrato[4] e ricettacolo[5] di forme. Si può dire che tale concezione sia condivisa da tutti coloro che si sono formati una nozione precisa di questa natura, i quali, dunque, fino a questo punto portano avanti la stessa idea. Ma sorge il problema della natura di questo sostrato e della misura in cui esso è ricettivo e di quali realtà, ed ecco che proprio qui le posizioni dei ricercatori cominciano a divergere.
Ci sono alcuni[6] che riducono la realtà a puri corpi, sostenendo che in essi sta la sostanza, e che un’unica materia si trova a fondamento anche degli elementi, perché appunto la materia è la sostanza; in tale maniera tutti gli altri enti sono, in un certo senso, sue affezioni e anche gli elementi sono suoi modi d’essere. E costoro hanno l’impudenza di estendere una siffatta materia fino agli dèi; e giungono anche a dire che il fine e lo stesso loro dio non sarebbe altro che materia in un certo stato. Inoltre, assegnano alla materia un certo corpo, che affermano essere privo di qualità e riducibile a estensione.
Altri pensatori[7] ritengono che la materia sia incorporea, e, di questi, alcuni non la considerano neppure unica, ammettendone una che starebbe a fondamento dei corpi – e a questa facevano riferimento anche i filosofi citati prima – e un’altra, più originaria, che si colloca fra le realtà intelligibili, a sostegno delle forme di quel mondo e delle sostanze incorporee.[8]
Enneade II 4, 3
In primo luogo, bisogna chiarire che non in ogni caso a disprezzato l’indefinito – e pure l’essere che per definizione è senza forma −, se esso intende mettersi a disposizione dei principi superiori, o addirittura dei più alti. Per così dire, anche l’Anima è naturalmente predisposta a farsi informare dall’Intelligenza e dalla Ragione e a farsi promuovere ad un genere più nobile[9].
Bisogna poi notare che nella sfera dell’intelligibile il composto è di tipo speciale, diverso da quello corporeo. Infatti, anche le ragioni formali sono dei composti e con la loro azione rendono composta la natura impegnata nell’attuazione della forma. Tuttavia, il carattere composito della natura è destinato ad estendersi, se essa mira ad altro e deriva da altro[10].
Inoltre, la materia di ciò che diviene assume incessantemente una forma dopo l’altra, mentre la materia delle realtà eterne è sempre la medesima e quindi, in un certo senso, quella del nostro mondo è il contrario. Qui, invero, essa è di volta in volta tutte le cose e, in ciascun caso, una sola cosa, per cui nulla rimane identico una realtà spinge via l’altra: per questo il non identico è la condizione perpetua.
Lassù tutte le realtà sono assieme, e per la materia non c’è nulla in cui trasformarsi, perché possiede già tutte le cose. In tal senso, in quella dimensione, neppure la materia intelligibile sarebbe priva di forma. A dire il vero neppure nel nostro mondo lo sarebbe, ma si tratta di due modi diversi di avere la forma.[11]
Il problema dell’eternità della materia o della sua generazione verrà chiarito in seguito, dopo che ne avremo compreso il senso.
Enneade II 4, 5
Se si osserva che quella materia possiede le forme tutte assieme e sempre, e che l’una e le altre costituiscono un’unità, allora neppure quaggiù potrà esserci la materia di corpi, dato che non si troverà mai un corpo senza forma, e il corpo, pur nella sua natura composita, è sempre una realtà integra.
In verità, è l’Intelligenza che ne coglie la duplicità, lo divide fino ad arrivare agli elementi semplici, non più ulteriormente divisibili. Ma certo l’intelletto non si arresta in questa sua divisione, finché non arriva in fondo: e il fondo di ciascun corpo è appunto la materia. Inoltre, il fatto che la ragione si identifica con l’Intelligenza e quando l’Intelligenza vede la ragione formale di ciascun essere, considera la realtà sottostante come cosa oscura perché sostrato di luce. Così, per esempio, l’occhio, che ha affinità formale con la luce, fissandosi su di essa e sui colori – che pure sono una forma di luce – riconosce che l’essere alla base di colori è materia oscura, da essi ricoperta.
Tuttavia, l’oscurità degli enti intelligibili non è identica a quella dei sensibili e la differenza sta proprio nella materia, come del resto è differente la forma destinata a rivestire i due tipi di materia. Infatti, la materia divina, quando accoglie la sua determinazione, possiede già una sua ben definita vita intelligibile; invece l’altra materia, quand’anche vada a definirsi, non diviene qualcosa di vivo e di intelligente, ma è come l’ornamento di un cadavere.
Così, a questo livello, la forma è solo un simulacro e di conseguenza, pure il sostrato lo è allo stesso modo. Lassù, invece, la forma è vera e così lo è il sostrato.[12] Pertanto, quelli che chiamano sostanza la materia non sbagliano, sempre che facciano riferimento a quella materia[13], perché effettivamente nel mondo intelligibile il sostrato è sostanza, o meglio è sostanza illuminata, considerando insieme ad esso la forma che gli si aggiunge nel suo intero.
Il problema dell’eternità della materia intelligibile va trattato come si tratterebbe il problema delle Idee.[14] Quelle realtà, infatti, sono generate in quanto hanno un principio, ma sono anche ingenerate perché il loro principio non è nel tempo, bensì procede senza sosta da un’altra realtà, non come un essere in perpetuo divenire, quale è il nostro mondo, ma in quanto essere eterno, ovvero come si addice al mondo di lassù.
D’altra parte, il principio di alterità, che produce la materia, in quella sfera è eterno:[15] è infatti il principio della materia e il movimento primigenio, tanto è vero che anche il movimento è stato detto alterità, perché l’uno e l’altra hanno in comune il movimento della nascita[16]. Però, il movimento e l’alterità che vengono dal Primo sono una realtà indefinita, e hanno bisogno del Primo per essere definiti. La loro determinazione avviene nel momento in cui si convertono a Lui.
Da principio anche quella materia era qualcosa di indistinto e altresì qualcosa di estraneo, e quindi non era ancora Bene, perché mancava dell’illuminazione del Primo. Infatti, se la luce irraggia dal Primo, ciò che accoglie la Luce, prima di accoglierla, non poteva averla come un possesso perpetuo, ma come un qualcosa di estraneo, appunto perché essa viene da un altro essere.[17] Ma sull’argomento della materia che si trova nel mondo intelligibile abbiamo fornito fin troppi chiarimenti.
Note
[1] Ammonio Sacca, maestro di Plotino e di Origene, e capostipite del neoplatonismo. Le notizie sulla sua vita sono molto scarse. Eusebio di Cesarea lo presenta come un cristiano che ha abbandonato la fede per dedicarsi agli studi su Platone in contrapposizione al suo allievo Origine che, invece, dagli studi iniziali su Platone si convertì al cristianesimo.
[2] Imperatore Marco Antonio Gordiano III (Roma, 20 gennaio 225 – Circesium, 11 febbraio 244).
[3] Senocrate (Calcedonia, 396 a.C. – Atene, 314 a.C.) fu discepolo di Platone. Lasciò l’Accademia dopo la morte del suo maestro per dissapori con Speusippo, di cui prese il posto nel 339 a.C. Senocrate è contraddistinto dalla tendenza al pitagorismo, ed è celebre la sua definizione dell’anima: “un numero che si muove da sé”.
[4] Aristotele, Metafisica.
[5] Platone, Timeo.
[6] Gli Stoici.
[7] Aristotele ed i Peripatetici.
[8] Tesi di Platone.
[9] Risposta all’obiezione 1 esplicitata in Enneade II 4, 2. Nel mondo intelligibile, che è mondo perfetto, non ci può essere alcunché di informe, e quindi materia.
[10] Risposta all’obiezione 2 e 5 esplicitate in Enneade II 4, 2. Se si ammette che le realtà intelligibili sono semplici, si esclude che possono avere materia. Le realtà intelligibili, se fossero composte da materia, diventerebbero dei corpi.
[11] Risposta all’obiezione 3 esplicitata in Enneade II 4, 2. La materia sembrerebbe essere propria solo delle realtà che divengono.
[12] Approfondimento della risposta all’obiezione 5. Le realtà intelligibili, se fossero composte da materia, diventerebbero dei corpi.
[13] Si allude agli stoici.
[14] Risposta all’obiezione 3 esplicitata in Enneade II 4, 2. L’introduzione di una materia nell’ambito degli intelligibili implicherebbe un aumento dei principi.
[15] L’alterità originaria è il principio della Diade. In Platone era principio antitetico all’Uno, coeterno rispetto all’Uno, anche se assiologicamente inferiore, mentre in Plotino deriva dalla potenza dell’Uno, e quindi è dedotto dall’Uno. Pertanto si tratta di un bipolarismo dedotto, all’interno di una concezione monopolare.
[16] Jesús Igal Alfaro (Carcastillo 1920 – Bilbao 1986) si è specializzato in Plotino e ha tradotto sia le Enneadi sia la biografia di Porfirio. Ciò che qui espone Plotino è assai complesso e si è ritenuto che Igal abbia interpretato molto bene: “Il lettore si guardi dal confondere questo “primo movimento” (allontanamento dall’Uno-Bene) con il movimento come genere dell’Essere, che è l’attività dell’Intelligenza già pienamente costituita”. Si ricordi che un originario movimento caotico è connotato anche della materia sensibile (che è un’immagine di quella intelligibile) nel Timeo di Platone.
[17] La materia indeterminata che si rivolge al principio da cui deriva genera il Nous.
Info
Rubrica Dalle Enneadi secondo Plotino
Bibliografia
“Enneadi” di Plotino, Arnoldo Mondadori Edizioni, 2012. Traduzione di Roberto Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di Giovanni Reale.
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