“La ballata di Iza” di Magda Szabó: come una pianta estirpata dalla propria terra

Quante volte sono passate in tv le immagini di persone anziane che il terremoto del centro Italia ha sradicato dal proprio ambiente! Sempre, nei loro occhi si scorge un velo di lacrime, vi si legge un fondo di dolore per aver perso la casa, i ricordi che essa custodiva e, sì, la vita stessa.

La ballata di Iza - Photo by Tiziana Topa
La ballata di Iza – Photo by Tiziana Topa

Anche Etelka ha vissuto un terremoto; la morte del marito Vince, ex magistrato, ha messo a soqquadro la sua esistenza.

La ballata di Iza (Einaudi editore, 2015, pp. 293, trad. Bruno Ventavoli) dell’ungherese Magda Szabó, si apre con un lutto.

Senza preamboli, senza bisogno di parole, Etelka intuisce, prima ancora di apprenderlo, che il caro marito non c’è più. L’anziana non può rimanere da sola nel piccolo paese dove ha trascorso tutta la vita, così la figlia Iza, stimata dottoressa, decide che si stabilirà a casa sua, a Budapest.

Con piglio deciso, Iza organizza il trasferimento della madre senza lasciare nulla al caso. Razionale ed efficiente come sul lavoro, la ragazza pianifica la nuova vita di Etelka nei minimi dettagli ma senza tenere conto delle esigenze dell’anziana che le è sì grata ma non può fare a meno di sentirsi soffocare nell’atmosfera alienante della metropoli.

La donna riprende a respirare quando torna al paese per assistere alla posa della lapide sepolcrale sulla tomba del marito. Ma proprio durante questo soggiorno accade qualcosa che cambierà per sempre la vita di Iza, la quale si troverà a fare i conti con se stessa.

Terremotata nell’anima e nelle abitudini, Etelka viene sradicata dal proprio habitat e, complice la meticolosa organizzazione delle sue giornate orchestrata dalla figlia, si ritrova sclerotizzata in una non-vita; come una pianta estirpata dalla propria terra, priva della linfa che l’ha nutrita, inizia ad appassire. Così comincia il declino di Etelka.

Possibile che fosse morta anche lei e semplicemente non se ne fosse accorta? Possibile che una persona morisse prima di rendersene conto?

La penna di Magda Szabó lavora in profondità nel lettore; la sua scrittura asciutta e implacabile insinua un malessere strisciante senza bisogno di usare troppe parole ma con la potenza di uno stile scabro ed essenziale, sospeso tra l’urlo e il silenzio. E nel finale, drammatico ma composto, la penna si rivela uno stiletto che graffia e lascia un segno.

Madre e figlia, intimamente legate per nove mesi, dovrebbero capirsi al volo, ma il cordone ombelicale è ormai reciso e tra Iza, donna pratica e concreta, ed Etelka si erge un muro.

Magda Szabó
Magda Szabó

Un muro di frasi non dette, di sottintesi per niente scontati, di esigenze non espresse ma anzi represse. Le due donne sono microcosmi che gravitano l’uno intorno all’altro senza riuscire a sfiorarsi e, tantomeno, a comunicare.

Quando muti questi occhi all’altrui corecanta Giacomo Leopardi a proposito della vecchiaia; anche gli occhi blu di Etelka sono muti per Iza che, trincerata dietro le proprie certezze e assorbita dai propri impegni, non riesce a leggere il disagio e la profonda frustrazione della madre.

Ormai era insensibile, gli eventi erano come una parte del corpo che viene amputata sotto anestesia

L’incapacità di comunicare che separa Iza ed Etelka assurge a modello della più generale incomunicabilità generazionale. Le due donne rappresentano mondi diversi, uno passato, fatto di affetti e buoni sentimenti, e l’altro moderno, metropolitano, frenetico, una dimensione in cui non c’è tempo per il dialogo.

Non ho mai conosciuto un essere più avaro di te, anche se sembri generosa, e non ho mai conosciuto nessuno più vile di te, anche se hai trasportato all’università armi nascoste nella borsa […]

È impietoso il giudizio che l’ex marito dà della dottoressa. Eppure anche il “soldato” Iza, dopo aver guadato il fiume del dolore, conoscerà una catarsi. E capirà finalmente se stessa e gli altri.

 

Written by Tiziana Topa

 

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