Selfie & Told: il duo Ego racconta l’album “Saette”
“Ringrazio questa vita anche se stupida, incerta, malata, arrancata ma nonostante tutto unica come un gelato in piena estate che ci fa sorridere e ci ricorda la bellezza delle piccole cose” ‒ “Niente Di Meglio Da Dire”

Ego, ovvero Diego e Filippo, si esprime senza i cliché del rapper, raccontando la quotidianità e la realtà che lo circonda con i suoi pregi e i suoi difetti, senza inventarsi nulla bensì valorizzando la semplicità di ogni singola parola, con una buona dose di nostalgia per il passato, un goccio di ansia per il presente e un pizzico di speranza per il futuro.
I due si conoscono (meglio) nel 2015, anno in cui Diego fa uscire “Sentimentalismi”. Filippo rimane colpito dalle sonorità dei brani, dai beat old school, dalle melodie soul e dai testi che parlano a tutti, senza episodi da immaginario forzatamente rap. Nasce così una bella intesa che li porta prima a suonare insieme in svariati contesti e poi a produrre insieme nuovi pezzi dove l’anima più rap, ma anche più melodica, di Diego si sposa con quella più blues di Filippo che, nel frattempo, assume anche la figura di beatmaker oltre a quella del chitarrista.
Ed ora beccatevi la loro auto-intervista per la rubrica musicale Selfie & Told!
E.: Cos’è e come nasce il progetto Ego?
Ego: Ego nasce a cavallo tra il 2014 e il 2015 come progetto solista e con il demo “Sentimentalismi”. Dopo 10 anni di percorso artistico con i Soul Killa Beatz, avevo voglia di ritornare ad esprimermi con il linguaggio del rap, senza le paranoie adolescenziali sull’apparire più o meno real agli occhi dei veterani, quindi senza la preoccupazione di colorare il rap con il cantato o melodie pop ma senza dimenticare l’appartenenza alla black music, italiana o straniera. Nemmeno due giorni dopo l’uscita online di “Sentimentalismi” fui contattato da Filippo (già componente e fondatore della band Hombre Lobo) che mi chiedeva se avessi bisogno di un chitarrista per qualche data; da quel giorno non ci siamo più lasciati, anzi, Filippo è diventato il 50% di questo faticoso ma splendido percorso.
E.: Da cosa nasce la necessità di affacciarsi al mondo con un album come “Saette“?

Ego: Fondamentalmente dalla voglia di mettersi in gioco raccontandoci per quello che siamo realmente, senza mezzi termini, senza fiction. Possiamo dire che Ego è stata la prima “saetta” a piombare dal cielo per stravolgere le nostre vite, il nostro modo di pensare la musica, e l’ha fatto decisamente in meglio, anche se non sono mancati attimi di panico o momenti difficili. Ogni traccia del disco ci rappresenta, non solo a livello di testi ma anche a livello di sound, dato che abbiamo cercato di dare spazio a tutte le nostre influenze, mixando funk’n’soul a melodie proprie del cantautorato italiano. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza Marco Romanelli, Lorenzo Nocentini e Arturo Magnanensi, la nostra crew di amici e musicisti incredibili.
E.: Nella musica è più importante cosa comunicare o come comunicare?
Ego: Per quanto ci riguarda entrambe le cose; il cosa comunicare è molto soggettivo, cresce con te a seconda del tuo vissuto, delle tue esperienze di vita, del quotidiano che ti circonda. Dopodiché viene il come lo vuoi comunicare, in studio o sul palco. Conosco artisti che riescono a far arrivare il loro messaggio cantando ad occhi chiusi e con le mani in tasca, altri che invece sono animali da palcoscenico e infiammano il pubblico anche solo presentandosi. Io ad esempio sul palco mi trovo molto a mio agio e cerco di fare arrivare il messaggio che voglio trasmettere interpretando le canzoni tramite gesti ed espressioni facciali, in modo da entrare fin da subito in sintonia con il pubblico.
E.: Che musica ascoltate?
Ego: Banalmente possiamo dire di tutto, poi magari in alcuni periodi ci fissiamo di più su un determinato genere o artista, poco importa se sia del momento oppure no. Io rispetto a Filippo sono quello più nostalgico se si parla di rap o musica alternativa (n.b. ora indie) italiana ed estera. Però ecco, diciamo che la black music va nettamente per la maggiore.
E.: Live o studio? Basi o musicisti?
Ego: Live per entrambi ma sicuramente il mio socio si trova molto bene anche in studio, avendone addirittura aperto uno insieme ad altri ragazzi, ovvero il Rooftop. Per quanto riguarda basi o musicisti entrambi concordiamo sul fatto che i concerti con la band sono nettamente superiori sotto ogni punto di vista, però ci sappiamo divertire anche in duo, nonostante sia tutto un altro tipo di live, sia per noi che per il pubblico.
E.: Quali sono i limiti e gli aspetti positivi di fare musica in una piccola città?

Ego: Vorrei partire dagli aspetti positivi, ovvero lo stare a stretto contatto con tutti, il conoscersi di persona più facilmente tra noi musicisti, produttori, promoter e organizzatori. Sicuramente questo è l’aspetto più significativo, il sentirsi parte dello stesso gioco e magari confrontarsi a vicenda in maniera più diretta. Oltretutto io adoro scrivere e descrivere della piccola realtà che mi circonda, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Un limite potrebbe essere quello, per alcuni, di lnon saper vedere oltre le cosiddette “mura di casa” e di non trovare i giusti stimoli, i contatti o semplicemente le opportunità che altre città più grandi, penso a Milano come a Roma, possano offrire; senza contare il fatto che l’attuale amministrazione comunale non è particolarmente vicina a chi si impegna a far vivere la città grazie alla musica o agli eventi culturali, anzi, il più delle volte sembra proprio non comprendere le reali potenzialità di chi ogni giorno si ingegna per regalare qualcosa di positivo ad Arezzo. Meno male che noi abbiamo la testa dura.
E.: Molti artisti della vecchia scuola indie italiana, nel giro di una decina d’anni, sono passati dal suonare nei piccoli club ai palchi (talvolta stadi) più importanti dello Stivale, guadagnandosi il seguito di una bella fetta di pubblico. Quando e perché secondo voi l’indie è diventato un genere mainstream?
Ego: Non saprei dare una risposta corretta a questa domanda ma ci provo. Io e Filippo abbiamo sempre ascoltato di tutto, senza dare troppo peso al fattore indie o mainstream, anche perché crediamo principalmente nel valore della bella musica e stop, non dando peso alle etichette, ai generi musicali, alle piccole o grandi cerchie, chi conosce la nostra musica penso possa confermare. Premesso questo pensiamo che nel corso degli anni, facciamo dalla fine degli anni ‘80 inizio degli anni ‘90, la cosiddetta “scena alternativa” (almeno così si chiamava un tempo) abbia sempre cercato di fare capolino o di affermarsi, all’interno dei palinsesti radiofonici/televisivi, per dimostrare che era possibile ascoltare qualcosa di diverso rispetto ai big della musica pop/rock/rap italiana, ma vivendo il tutto più come una sfida che come volontà di portare il messaggio a più persone possibili. A nostro avviso la svolta attuale, quella che ha seguito un corso meno combattivo e più naturale, c’è stata nel cambio generazionale tra chi ascoltava gli Afterhours (esempio) e chi grazie ai primi social (vedi MySpace) iniziava ad avvicinarsi a tutti quegli artisti che si registravano le canzoni in cameretta e che grazie alla sempre più crescente tecnologia riuscivano anche a promuoversi da soli, senza per forza dover puntare a booking o uffici stampa: mi ricordo gli Amari, gli Ex-Otago, i My Awesome Mixtape e tutti i primi inconsapevoli “fondatori” della definizione “indie italiano”, passando dagli Offlaga Disco Pax fino a Dente, Le Luci Della Centrale Elettrica e Brunori. I Cani, se memoria non mi inganna, hanno alzato l’asticella, un po’ come Fabri Fibra fece agli inizi degli anni 2000 con il rap italiano, mentre Calcutta ha praticamente buttato giù un portone grazie a canzoni pop con testi non convenzionali per il pop italiano; quindi si, diciamo Calcutta, e il titolo del suo primo disco ufficiale non può che darci ragione.
“Fammi spazio che passo io, è una vita che aspetto ed ora voglio volare più forte anch’io e planare senza paura” ‒ “Fammi spazio”
Written by Ego
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