FEFF 2019: Sezione Competition – “Lost, Found” di Lue Yue

Udine, 21esimo Far East Film Festival. Lost, Found”, riuscito remake cinese del film sudcoreano “Missing Woman” (Lee Eon-hie, 2016), decreta il ritorno della nota figura di Lue Yue.

Lost, Found di Lue Yue

Questi è accolto non più come acclamato direttore della fotografia, fra gli altri, di Feng Xiaogang (“Aftershock”, Audience Award al FEFF 13), contestualmente coinvolto in veste di produttore, e Zhang Yimou (“La triade di Shanghai”, nomination all’Oscar), bensì in qualità di regista, funzione ricoperta per la quinta volta dopo una battuta d’arresto di oltre 10 anni.

La collocazione nel palinsesto è ovviamente strategica, a celebrare in orario accessibile ai più l’assegnazione del Gelso d’oro speciale alla primattrice Yao Chen, icona fashion che grazie a quest’ultima memorabile interpretazione ha dato corpo a un personaggio divenuto, secondo le parole della direzione artistica dell’evento, “simbolo di tutte e per tutte le donne”.

La sua Li Jie è un’affermata avvocatessa, irreprensibile garante del rispetto della legge che ritiene di saper tenere ben separate professione e vita privata, specie nel momento in cui, dopo aver divorziato, lotta per affermare davanti a un tribunale il suo diritto a impedire l’affido della piccola Duoduo all’ex marito.

Rientrata una sera in seguito a una cena affatto sobria con amici e colleghi, realizza che la sua bambina non è più a casa: dalle videocamere di sorveglianza appura come la tata Sun Fang (Ma Yili) l’abbia portata via con sé ancora quella mattina, senza fare più ritorno né dandone alcuna comunicazione alla madre.

Predisposto l’episodio scatenante, il film d’ora in avanti da un lato narra le ricerche disperate condotte in compartecipazione con la polizia e soprattutto, come di consueto avviene nel genere, in solitaria, dall’altro ricostruisce l’autentica versione dei fatti rendendo progressivamente onnisciente lo spettatore.

Cifra distintiva del giallo è chiaramente l’analisi introspettiva del ruolo materno in condizioni estremamente spinose, quando a costo di salvare il bene più prezioso si è disposte a oltrepassare ogni limite, mettendo in gioco tutte se stesse, il patrimonio, la salute, le relazioni, il proprio profilo pubblico (lo si intuisce già dalla prima sequenza, dove si scorge una figura distintamente abbigliata rovistare nell’immondizia inerte di un sottopassaggio).

Yao Chen – Far East Film Festival 2019 – Photo by Raffaele Lazzaroni

La non scontata presenza di un corrispettivo della protagonista negativo solo fino a un certo segno è il vero valore aggiunto che può vantare un dramma siffatto, dall’impianto perlopiù solido (forse in fondo non è inammissibile, e però, certo, tutt’altro che originale, un’unica intuizione propizia che risolva l’enigma, a fronte di un’indagine condotta fin lì seguendo la pista realisticamente tracciata a partire dagli indizi e le testimonianze raccolte).

L’avvenente Jie, sin dai primi passi di questa corsa contro il tempo convinta della colpevolezza indiscutibile di Fang, scopre infatti che dietro quell’aspetto inebetito tante volte disprezzato si cela un vissuto segnato da gravi conflitti e sventure, i primi generati da una catena di debiti insanabili e dal rapporto violento intrattenuto col coniuge, le seconde abbattutesi con furia silenziosa e letale sulla figlia ignota della tata, coetanea di Duoduo.

Alla radice di un’avventura tragica una buona volta impossibile da leggere univocamente stanno quindi un fatale errore di valutazione e il rifiuto di ascoltare una sciagurata implorante che al pari dell’interlocutrice avrebbe voluto pretendere una condizione di maternità più sicura e salutare per sé e il futuro della famiglia, mantenendo al tempo stesso una propria dignità, violata invece a più livelli, da ogni prospettiva.

 

Voto al film

 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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Rubrica Far East Film Festival

 

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