Leonardo da Vinci, un genio indagatore che volle comprendere leggi e formule che regolano la natura e l’uomo
“Si era fabbricato con il grande ingegno et arte di Maestro Leonardo da Vinci fiorentino il paradiso con tutti li sette pianeti che giravano, e li pianeti erano rappresentati da uomini…”
L’occasione per celebrare Leonardo da Vinci, genio per definizione, è di quelle importanti: il Cinquecentesimo anniversario della sua morte.
Per quanto non sia facile raccontare di lui, grazie alle ampie speculazioni su cui l’artista si è soffermato, è comunque doveroso illustrare il suo operato dovuto anche a uno studio incessante.
Spesso, mito e leggenda si sono plasmati sulla figura di Leonardo da Vinci, offrendo dell’artista un’immagine romantica e intrisa di mistero. Ma di misterioso nella sua esistenza non c’è molto, se non che alla sua nascita è figlio illegittimo, sebbene accudito e apprezzato come figlio naturale.
È il lontano 15 aprile del 1452 quando Leonardo vede la luce in un piccolo borgo della Toscana.
Fin dalla primissima infanzia, incuriosito e affascinato, osserva la natura per carpirne ogni segreto, incoraggiato in questa sua indagine dallo zio paterno, Francesco, che sollecita le notevoli capacità intellettive del giovinetto, sollecitazioni a cui risponde con prontezza ed entusiasmo.
Ed è proprio il contesto ambientale che lo circonda, con le verdi colline toscane e la campagna punteggiata da ulivi secolari, che esercita su Leonardo un trasporto verso tutto ciò che è intrinseco alla natura stessa. L’artista, dunque, fruisce, di un’istruzione empirica e sensoriale, invece che di un’istruzione classica che lo allontana dalla conoscenza del latino; condizione di cui si rammaricherà, in quanto gli preclude di entrare in contatto con l’eredità degli antichi.
Quando Leonardo, ancora in compagnia del padre e dello zio, lascia il suo paese natale per raggiungere Firenze è il 1469: a Ser Piero, suo padre, viene affidato un incarico importante presso la Signoria.
Ser Piero ha già compreso il talento posseduto dal figlio e spinge il Verrocchio, nella cui bottega già operano artisti di livello: Botticelli, il Perugino e altri artisti coevi di Leonardo particolarmente dotati, a prenderlo con sé affinché impari il mestiere. La bottega del Verrocchio, uno fra i maestri più celebrati del periodo, è oggetto di continuo fermento: vi si realizzano opere di pittura e scultura per importanti committenti.
Attraverso una testimonianza del Vasari si ha modo di conoscere la levatura pittorica di Leonardo, che dà prova, proprio nella bottega del Verrocchio, della sua straordinaria e innata abilità e del suo multiforme ingegno, che ne fa già un riferimento indiscusso.
“Acconciossi… nella fanciullezza a l’arte con Andrea del Verrocchio, il quale faccendo una tavola dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò un angelo, che teneva alcune vesti; e benché fosse giovinetto, lo condusse di tal maniera, che molto meglio de le figure d’Andrea stava l’angelo di Lionardo…”
È probabile che il Vasari enfatizzi la figura di Leonardo ma, sta di fatto, che al Verrocchio un allievo tanto talentuoso, nonostante la sua giovane età, crei una certa soggezione. Non solo è un pittore promettente, ma è anche un personaggio affascinante, il quale esprime idee innovative, che i suoi compagni faticano a comprendere. In lui si notano segni di una universalità che si esprime con intuizioni scientifiche sconosciute, del tutto prossime a coloro che si contraddistinguono per genialità. Sebbene Leonardo sia una figura notevole, infatti, cantava e suonava anche il liuto, il suo animo cela solitudine ed è schivo a esternazioni esageratamente frivole.
Il giovane sente spesso la necessità di chiudersi in se stesso e riflettere. Soprattutto sui fenomeni fisici che partecipano al mondo scientifico, i quali tanto lo attraggono. Affascinato da tutto ciò che il suo sguardo percepisce, è un contemplativo, medita a lungo, arrivando a conclusioni a dir poco incredibili, che però metterà in pratica solo in momenti successivi.
Leonardo è descritto come un uomo affascinante e carismatico, oltre che un buon oratore il quale incanta anche Ludovico il Moro; inoltre, è dotato di un temperamento gentile e generoso al contempo.
Sempre secondo il Vasari, Leonardo, oltre ad avere una buona disposizione d’animo è un ottimo intrattenitore. In una serie di scritti sono riportate alcune convinzioni personali dell’artista, dove denuncia atteggiamenti che appartengono ai più; la superbia immotivata, per esempio, oltre a una ricerca di esagerato appagamento della propria autostima; denuncia, inoltre, sempre nei suoi scritti, i benefici che si possono ottenere grazie alla consapevolezza dell’essere umili, e mantenendo un impegno costante e zelante nello studio.
La prima opera di Leonardo è del 1473 dal titolo Paesaggio con fiume (Paesaggio del Valdarno), opera che dà la dimensione della sua abilità pittorica e in cui anticipa l’interesse per una raffigurazione reale della natura. Il paesaggio viene rappresentato in maniera dettagliata, così come si manifesta allo sguardo del pittore. A lavoro ultimato, la rappresentazione appare come un’autentica riproduzione dal vero, senza alcuna idealizzazione.
In un periodo collocabile fra il 1474 e il 1477 Leonardo realizza il Ritratto di Ginevra Benci. Che si presenta con un’opera di grande sintesi, ed ha funzione di rottura fra la pittura coeva e un futuro ancora tutto da anticipare.
Gli ideali dei pittori di quel periodo si riferiscono a un tipo di bellezza astratta; i caratteri somatici del ritratto, invece, sono sottolineati grazie a un sottile gioco di luce − colore, atto a rivelare il volto ‘vero’ di una donna. È questa una tecnica sorprendente del chiaroscurale dove, il contrasto fra il volto luminoso e ben modellato della giovane, e uno sfondo solo intuito più che delineato, manifestano l’opera di un grande innovatore. Trascorso un periodo lontano dalla bottega del Verrocchio, Leonardo torna a collaborare con lui.
La sua arte pittorica è considerata di grande pregio: il suo sguardo sa cogliere ogni evento che gli accade intorno: è il 1479 quando, con pochi tratti di penna, ritrae l’impiccagione dell’assassino di Giuliano de’ Medici, avvenuta durante la congiura de’ Pazzi. Lo stupore dei presenti è ben visibile sui loro volti, a causa dalla lucidità con cui Leonardo esegue il disegno del cadavere, spinto dalla motivazione di studiare una nuova forma di realtà.
L’Adorazione dei Magi, del 1481, è l’ultima sua grande opera fiorentina, rimasta incompiuta; anche in quest’opera Leonardo è mosso da un’affannosa ricerca stilistica. Pur manifestandosi in tutta la sua forza innovativa, con tonalità chiaroscurali e un’armonia quasi impalpabile, purtroppo, l’Adorazione dei Magi rimane allo stato di abbozzo.
Nel periodo successivo Leonardo parte per Milano: l’Accademia platonica di Lorenzo il Magnifico limita le sue sperimentazioni, mentre a Milano avrà modo di manifestare la sua totale creatività, anche se è una creatività dispersiva. Occorre ricordare, infatti, che Leonardo studiava più per se stesso, occupandosi di studi compositi allo stesso tempo, che per esercitare le committenze.
A Milano si ferma 18 anni e si dedicherà a innumerevoli opere non solo pittoriche. La città lombarda, al pari di quella toscana, cerca di proporsi come modello per altre corti italiane, diventando fulcro di fermento artistico, letterario e scientifico; e qui, Leonardo trova il proprio spazio.
La possibilità di esprimersi in piena libertà gli viene data grazie al duca Gian Galeazzo Sforza e a suo zio Ludovico il Moro. La sua inventiva ha un’esplosione incontenibile che copre molte discipline: dalla musica all’improvvisazione poetica, dalla filosofia all’architettura, dalla scultura alla scienza.
“Fu condotto a Milano con gran reputazione… e Lionardo portò quello strumento (una lira), che gli aveva di sua mano fabbricato d’argento gran parte, acciocché l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce. Laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare…”
Leonardo s’impone all’attenzione del mondo pittorico locale con l’opera La dama con l’ermellino, presunto ritratto di Cecilia Gallerani, amica di Ludovico il Moro. Le innovazioni di Leonardo affascinano una nuova generazione di pittori ma l’influenza di Leonardo supera i confini della Lombardia: anche Firenze e Roma parlano di lui. Nel 1495 è chiamato a realizzare un affresco nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, che lo impegnerà per ben due anni: L’ultima cena.
La sua mente di sperimentatore lo porta a utilizzare un nuovo tipo di pittura a fresco, ma il Cenacolo comincia subito a dare segni di cedimento e di degrado, pur imponendosi con una eccezionale forza innovativa. Quest’opera di Leonardo è uno fra gli episodi più alti di cui è dotato il mondo artistico.
I moti umani dei figuranti sono espressione di una grande profondità. Il Cristo, di una bellezza dolente, ha annunciato che uno degli apostoli è in procinto di tradirlo e, pieni di sdegno e di sorpresa, gli altri, stupefatti, assistono alla scena. A sottolineare questo drammatico momento Leonardo concepisce una disposizione rivoluzionaria: accorpa in gruppi di tre coloro che partecipano alla cena, e tutti sono orientati attorno alla figura di Gesù Cristo. A opera completata, l’entusiasmo del Moro è incontenibile, come quello dell’insigne matematico Luca Pacioli, amico intimo di Leonardo.
Nel 1499 le fortune di Ludovico il Moro finiscono, perché la Lombardia è invasa dalle truppe francesi di Luigi XII; Leonardo si allontana dalla città di Milano, ospitato da Francesco Melzi, l’allievo prediletto, colui che copierà le sue opere e parlerà di lui dopo la sua morte. Dopo poco si ferma a Mantova, ospite dei Gonzaga; Isabella d’Este, con lo scopo di trattenerlo a corte chiede a Leonardo un ritratto, il risultato sarà soltanto uno splendido cartone preparatorio e nulla più.
Trascorsi quasi 20 anni, da che si è allontanato dalla sua città, Leonardo vi fa ritorno. A chiamarlo a sé è il gonfaloniere Pier Soderini. La città pare rinascere culturalmente ed è orgogliosa di approfittare dell’operato di Leonardo. Periodo questo che lo vede impegnato a intensificare i suoi studi di anatomia, sezionando i cadaveri e disegnando con precisione descrittiva i vari organi del corpo umano. Il ritorno nella sua città natale sembra risvegliare in lui nuovi stimoli. Realizza un cartone bellissimo di carattere sacro, ma ancora una volta il dipinto non viene eseguito, forse perché l’artista è distratto da altri studi. Il tema del cartone è quello già sperimentato in precedenza nella Vergine delle Rocce: una composizione piramidale composta da figure colte in atteggiamenti colloquiali.
Improvvisamente Leonardo si allontana da Firenze per un anno, per mettersi al servizio, in veste di architetto e ingegnere militare, di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro V, che aveva creato un proprio stato nella Romagna e nell’Italia Centrale. Per Leonardo è l’occasione di sperimentare, di fare ricerca, senza preoccuparsi se il Borgia fosse un despota.
Rientrato a Firenze, gli viene affidato un incarico importante: raffigurare la Battaglia di Anghiari, svoltasi nel 1440. Purtroppo, anche in questo caso, le sperimentazioni di Leonardo non vanno a buon fine: nuove tecniche adottate fanno sì che il colore non abbia presa sulla parete. Dell’affresco rimarrà solo un pallido ricordo. Anche se dai suoi studi preparatori e da una copia della stessa opera realizzata dal Rubens si evince tutta l’abilità del genio di Vinci.
In questo periodo, secondo ciò che riporta il Vasari, chiuso nel sereno silenzio del suo studio dà inizio alla sua opera per eccellenza, quella che lo contraddistingue da chiunque altro: La gioconda.
Raggiunta Milano collabora come architetto e ingegnere idraulico, e dipinge, portando a compimento la seconda versione della Vergine delle Rocce.
Arrivato a Roma nel 1513, invitato da Giuliano de’ Medici, Leonardo si inserisce in un clima di grande fermento attorno alle figure di Raffaello e Michelangelo; ma non ha alcun interesse a entrare in competizione con loro, visto che ormai è riconosciuto come uno scienziato di ‘universale ingegno’. Lavora a studi matematici e scientifici: indaga su cose avveniristiche che risultano per l’epoca incredibili. Studia come far volare l’uomo, concepisce macchine rivoluzionarie, sollecitato dagli spunti che gli offre la natura.
Continua la sua affannosa ricerca stilistica, durante la quale raggiunge una nuova forma di espressività, tramite la serie del Diluvio, in cui realizza 16 disegni realizzati a carboncino con tratti a inchiostro. Dove, in una visione apocalittica, l’uomo non è più al centro dell’universo, ma è la furia della natura a prendere il sopravvento.
“Nei tardi disegni di ‘diluvi’, vere e proprie creazioni fantastiche, non più assoggettate né alla prospettiva quattrocentesca né ad alcuna limitazione espressiva Leonardo perviene alla rappresentazione dell’invisibile…”
Il Bacco e il San Giovanni Battista sono fra gli ultimi dipinti realizzati da Leonardo. Rappresentano, sia per sintesi formale sia per cromatismo una sorta di summa della sua intera produzione. Le figure, entrambe, incarnano il suo ideale di bellezza: ammiccanti e vagamente inquiete e ambigue.
È il 1517 quando Leonardo, su invito di Francesco I si stabilisce in Francia, dove ha modo di compiere i suoi ultimi studi, assistito dal suo inseparabile Francesco Melzi.
È il 2 maggio quando si spegne per sempre il più grande genio del Rinascimento, e forse il maggiore genio di tutti i tempi. Colui che aprì nuovi orizzonti alla mente umana muore nel silenzio e nella riservatezza, così come è sempre vissuto.
“Veramente mirabile e celeste fu Lionardo… laonde volle la natura tanto favorirlo, che dovunque è rivolse il pensier, il cervello e l’animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue, che nel dare la perfezione di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza, e grazia nessun altro mai gli fu pari”. − Giorgio Vasari
Written by Carolina Colombi