FEFF 2019: Sezione Competition – “Birthday” di Lee Jong-un

Il titolo scelto per aprire il 21esimo Far East Film Festival di Udine, con cui Oubliette Magazine stringe la web media partnership per il quarto anno consecutivo, è profondamente diverso da ciò che si è visto perlomeno dal 2016 in qua.

Birthday di Lee Jong-un

Non un action mozzafiato del calibro di “The Tiger” di Park Hoon-jung e “Steel Rain” di Yang Woo-seok, e neppure un film avventuroso e ironico come “Survival Family” di Shinobu Yaguchi, comunque per e sulle famiglie tanto quanto l’opera esordiale della regista sudcoreana Lee Jong-un: ciò che anzitutto differenzia “Birthday”, attorno cui fino ad oggi non è ancora disponibile che una discreta messe di fonti trattandosi di una première festivaliera mondiale, è l’essere un soggetto di finzione che però si sviluppa a partire da una vicenda realmente accaduta, divenendo quindi inevitabilmente cinema della rimembranza.

Aprono il racconto una donna e un uomo segnati da un grave lutto, all’apparenza non meglio specificato; in realtà al pubblico del Paese d’origine bastano fulminee allusioni per mettere a fuoco il quadro che si intende delineare: il naufragio del traghetto Sewol avvenuto il 16 aprile 2014, nel quale hanno trovato la morte 304 persone, molte delle quali studenti liceali, è infatti parte viva e penosa della memoria collettiva nazionale.

Soon-nam (la grande Jeon Do-yeon, premiata a Cannes per l’interpretazione in “Secret Sunshine” di Lee Chang-dong e ora insignita del Gelso d’oro alla carriera) e Jung-il (Sul Kyung-gu) hanno da poco perso il primogenito nel tragico evento, ma nel loro caso a questa già estenuante sofferenza se ne aggiungono altre di diversa natura.

Sin da quando Su-ho era un ragazzino, Jung-il si è stabilito per motivi di lavoro lontano da casa, in Vietnam, e per questa ragione non ha nemmeno potuto vigilare sulla crescita della figlia più piccola, Ye-sul: ora che questi intende ricongiungersi con i cari rimasti in vita, Soon-nam gli sbatte in faccia l’istanza di divorzio. Il passato del protagonista maschile è segnato da un ulteriore, ignominioso incidente, dapprima taciuto alla platea e destinato ad emergere poi, a tempo debito.

Sono perciò due le forze oppositive su cui si erge il lungometraggio. Da un lato, una presenza femminile il cui dolore pare incolmabile, completamente bloccata com’è nell’elaborazione di un lutto che sente esclusivamente proprio e inconcepibile da qualunque estraneo, mater dolorosa indisposta a seguire alcuna fra le terapie di gruppo proposte dalle famiglie delle altre vittime (fatte di colloqui e pasti condivisi, volti a tenere vividi soprattutto i ricordi piacevoli che coinvolgono i figli scomparsi).

Jeon Do-yeon – Far East Film Festival 2019 – Photo by Raffaele Lazzaroni

Dall’altro, un pater familias che si sente letteralmente estraneo, guardato con sospetto da chiunque abbia tenuto per mano la sua prole in tutto quel tempo di “latitanza”, e che tenta in ogni modo di riavvicinare la tenera Ye-sul, la quale l’ha ormai rimosso dalla memoria, e, spesso goffamente ma con constante e piena autenticità d’animo, di riallacciare i rapporti con una compagna che medita di escluderlo per sempre dalla propria grigia, irredimibile esistenza.

I conflitti da cui la coppia è più lacerata che rinsaldata costellano sia lo spazio pubblico, sommamente esposto al giudizio altrui, sia quello privato dell’appartamento in cui risiedono Soon-nam e Ye-sul, dove lo spettatore si trova così spesso ad assistere ad aspri scontri verbali e disperate crisi di pianto da finire per familiarizzare naturalmente con l’afflizione di tutti i personaggi, la cui indubitabile vis drammatica si protrae sino alla catarsi conclusiva, individuata nella celebrazione postuma del compleanno di Su-ho (qui si cela il significato del titolo).

Vale notare, a mo’ di conclusione, che una regia femminile ha probabilmente giovato alla resa complessiva della narrazione: “Birthday” è un film molto lacrimoso, ma non lo si può ascrivere gratuitamente al circolo degli weepie, le pellicole patetiche di poche pretese. L’intento di esacerbare il patimento attraverso tanti insistiti ritratti del volto scavato di Jeon Do-yeon, davvero commovente, risponde alla necessità di indagare nella maniera più fondata, approfondita e sincera un’amarezza senza fine che, solo se affidata a una scrittura e una direzione capaci di profonda immedesimazione, potrebbe sperare di non rimanere senza una voce che le renda giustizia, nella finzione cinematografica come nella realtà di cronaca.

 

Voto al film:

 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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Rubrica Far East Film Festival

 

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