Meditazioni Metafisiche #9: sul giusto utilizzo della Crudeltà e altre cattive considerazioni in quattro note
È solo cattiva la crudeltà, o è anche a volte cosa buona e giusta magari anche modus operandi auspicabile? In quali casi uno spirito libero viene messo a tacere con l’accusa di non essere buono? Per rispondere vi mostro il mio pensiero in quattro punti.

Uno: di Crudeltà, i sinonimi
La durezza (s.f. inv.) appartiene all’animo del solipsista intento a ricreare se stesso, ma anche all’educatore quando si trova di fronte un fanciullo recalcitrante e, avendo da porre in risalto una regola inderogabile, ne fa questione di vita o di morte: “Non ti permettere mai più di attraversare la strada così all’improvviso o (più minacce varie ed eventuali)!”
La spietatezza (s.f. inv.) sta al killer di professione così come riguarda la Moira Atropo, inevitabile vegliarda dotata di cesoie, nonnina non tanto gentile ma onesta, colei che taglia di netto il filo rosso sangue della vita umana. Le dee crudeli e mostruose sono necessarie alla dinamica dell’esistenza, e lo sono tanto quanto le amorevoli signore archetipiche. Anzi, a ben guardare, la octopussiana Kalì, la focosa Venere nel suo aspetto mortifero, le furiose Erinni, la Ecate ctonia inviterai al tuo desco insieme al Lato Luminoso delle stesse dee lunari e terrestri. La Lilith oscura avrai come commensale, seduta accanto a Maria Vergine e Madre, a ridere del mondo − la risata della prima sarà più sardonica del previsto.
La disumanità (s.f. inv.) si trova nel vivere collettivo, nel bel mezzo della guerra tra gli uomini, ma anche nel non sentirsi parte della specie umana poiché puoi vederla nel porsi oltre, in bio-diversità non specifica, nel ritorno della bestia alle bestie.
L’insensibilità (s.f. inv.) non è auspicabile qualora si volesse risultare empatici ed empirici, ma è cosa buona e giusta quando la si adopera con un soggetto narcisista che cerca di portarci a forza dalla sua parte per poi abbandonarci sopra uno scoglio così come Teseo fece con la povera Arianna. Inoltre, è da dire e ribadire la sacrosanta verità: ogni madre è consapevole di quanto a volte per farsi ascoltare occorra essere crudelmente insensibili al pianto.
La cattiveria (s.f. inv.) e la malvagità (s.f. inv.) fuggirai tranne quando ti occorra occorra prendere una ferma e immediata decisione − saltare dalla finestra di un palazzo in fiamme lasciando che tutti i vicini continuino a gridare aiuto nelle proprie abitazioni, sperando al contempo nell’arrivo dei vigili del fuoco che hai provveduto tu stesso a chiamare ma anche, più semplicemente, mollare un amante non più amato o vendicare con l’indifferenza un torto che hai subito.
Stesso consiglio − ‘fuggirai’ − puoi seguire nel caso in cui ferocia (s.f. inv.) e brutalità (s.f. inv.), non appartengano alla forza di Sekhmet, ma se noti il suo zampino carezzevole − ché lei è sanguinaria con quelli più cattivi di te − riprendi pure a ruggire. Se poi, atrocità (s.f. inv.), empietà (s.f. inv.), efferatezza (s.f. inv.), azione malvagia (s.f. inv.), gesto spietato (s.f. inv.), ti vengono attribuiti, puoi sempre ribattere: “dipende dai punti di vista”.
Per esempio la morte, si sa, è feroce. In alternativa, resti ad altri l’idea di vivere come Highlander o divinità immortali: illimitati, eternamente presenti all’Io, gonfi e tronfi nel tempo e nello spazio, imbottiti di silicone e botulino, accartocciati sulla giovinezza che non c’è più.
Due: della Venere in pelliccia

Crudele è “Venere in pelliccia”, la figura femminile che viene associata al tema del masochismo, personaggio ispirato alla scrittrice Fanny Pistor, ovvero colei che firmò con lo scrittore von Sacher-Masoch un contratto di potere femminile con relativa sottomissione del compagno di giochi erotici.
Wanda von Dunayev scivola sinuosa tra le pagine del libro, anima inafferrabile e non così riducibile a elemento sadico della psiche femminile, né completamente associabile (e assoggettabile) all’idea di una dominatrice o divoratrice di uomini. Esplorando il giardino della stazione termale (nei Carpazi… una location molto vampiresca, ndr.) nel quale si scorge la bella statua di Venere, ascoltando le parole che la protagonista del libro rivolge allo sconosciuto e poi amante Severin von Kusiemski − riflesso di Leopold von SM stesso − sveliamo una narrazione più complessa del previsto.
Il romanzo è un piccolo gioiello. L. von Sacher Masoch avrà avuto chiara la portata della sua creazione? Non si tratta di sesso o di perversione: con Wanda si delinea una figura di donna rivoluzionaria, ben più libera dai vincoli di quanto si possa credere. Certamente, il dominio le interessa, la solletica e la seduce per un certo periodo di tempo. Lei cerca la parità. Lui la convince, insiste le fa nascere la sensazione che il potere potrebbe darle gioia e realizzare desideri inespressi; esercita su Wanda un vero e proprio lavaggio del cervello, perché mira a trasformarla in una prostituta casalinga, barbara conquistatrice a proprio uso e consumo, bambola di carne e pelliccia, perché una pelliccia, secondo il parere dell’uomo, avrebbe dato alla fierezza della femmina dominatrice ancora più vitalità.
Conquistarsi una tiranna. Che paradosso! La schiavitù del compagno diventa cappio al quale la donna si lega volontariamente, in parte, e per sfinimento: “Ma questo a me non fa piacere”, confessa, per poi capitolare. Insiste così tanto, Severin, e così bene, che Wanda comincia a vestire i panni della gigantessa, vedendo nell’amante − manipolatore per eccellenza − il nano servitore. Rivolgendosi a Severin, la giovane annuncia: “Vorrei augurarle di cadere tra le grinfie di una donna di questa razza selvaggia, e le passerebbe ogni poesia, dentro una pelle di lupo, sotto i denti dei mastini o sulla ruota.”
Inflazionata, nell’infusione di sogni regali, diventa la terribile padrona che l’altro desidera. Un ennesimo ruolo ritagliato su misura dallo stilista maschio per ciò che tutti conosciamo come ‘femminile’, con la pelliccia di poveri animali morti in onor della bellezza dal punto di vista del maschilista?
Addio libertà, fierezza, respiro… ma la paradossale schiavitù della padrona non dura lungo. Le catene mentali si spezzano e la donna riprende le redini del proprio istinto. Wanda è di nuovo libera da condizionamenti. A farne le spese, come d’altronde aveva desiderato sin dall’inizio, è lo stesso Severin, ovvero Leopold von Sacher-Masoch. Non si può dire con certezza chi abbia condotto il gio-g-o.
La rivolta finale di Wanda è indubbiamente la parte più interessante di tutto il romanzo. Alla fine del luna park erotico, Wanda si separa da Severin. Se ne va. Lo molla, ecco. La si vede sul finale, i capelli rossi al vento e gli occhi ardenti, tra le braccia di un prestante ufficiale. Addio, Severin. Ciao sottomissioni e dominazioni obbligate. La giovane vedova, autonoma economicamente, sceglie la propria strada nel mondo pre-femminista. Lo scrittore maschio ha creato un personaggio che gli è sfuggito di mano. Oppure ha deciso davvero di aprire la gabbia? In ogni caso… Wanda è volata via, pelliccia a parte.
Tre: dell’amor crudele

Lei definisce crudeltà ciò che costituisce l’elemento primario e distintivo della sensualità e dell’amore autentico, la vera natura della donna: “donarsi a chiunque essa ami ed amare tutto ciò che le piace.”
– Ma ditemi: esiste forse crudeltà più grande, per l’amante, dell’infedeltà della donna amata?
– Sì, […] noi donne restiamo fedeli finché dura l’amore, ma voi uomini esigete la fedeltà anche quando l’amore non esiste più e che la donna si conceda senza piacere. E allora in realtà chi si dimostra più crudele: la donna o l’uomo? (Leopold von Sacher-Masoch)
Tanti anni fa, dopo che gli raccontai un episodio della mia vita, affettiva, ovvero di quando lasciando un uomo lo feci inevitabilmente soffrire con azioni feroci e a tratti insensibili, il mio primo analista, emettendo una nuvoletta di fumo dopo aver aspirato e lungo e pensosamente il tabacco dalla sua pipa disse:
“È il morso del serpente, non c’è da scusarsi. A volte è necessaria la spietatezza. In alternativa, restare con lui nella melma della vostra relazione agonizzante avrebbe annientato te. Se uno lascia e l’altro non è d’accordo c’è sempre ferocia.”
Il morso del serpente è coscienza. E la sua lingua, ci dice Carl Gustav Jung, è la saggia parola di Eva.
Quattro: filosofia della Crudeltà

Nella “Filosofia della crudeltà” di Lucrezia Ercoli, Crudeltà è indagata, esplorata nuda e cruda. Nel libro, si parla di Eliogabalo, della distruzione, di Nietzsche e della morale quando Dio è morto.
Io invece penso al Libro Rosso di Carl Gustav Jung: fare i conti con la Bestia dentro di noi.
Io penso allo Stato di Natura degli Hobbes-iani, al lupo che è bestia tra gli uomini, all’area antica che non si chiama neocorteccia ed è limbico sistema, gioiello d’amigdala, istinto. Crudeltà viziosa o salvifica energia?
Penso all’arcano numero XI, io. La Forza: una fanciulla a cavallo della fiera, dominante eppur dominata dalla relazione. La ragazza è la fiera, eppure mantiene accesa la propria coscienza. Io sento la Crudeltà quando è necessaria. Non ha bisogno di gridare, la ferocia.
Arriva.
Written by Valeria Bianchi Mian
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Rubrica Meditazioni Metafisiche