“Diario Intimo” di Henri-Frédéric Amiel: la duplice coscienza ed il matrimonio ‒ aprile 1850
“È il contrasto fra il mondo interiore e quello esteriore; fra la concentrazione e la proiezione; fra l’uomo religioso e l’uomo mondano, fra l’uomo essenziale e l’uomo mobile; noi vediamo così alternativamente sub specie aeterni et temporis, per parlar con Spinoza.” ‒ Henri-Frédéric Amiel
Nel mese di aprile ma nel 1850 il filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel scriveva le sue quotidiane riflessioni nel Diario Intimo.
Amiel nasce a Ginevra il 27 settembre del 1821 ivi muore l’11 maggio del 1881. Non è celebre, non ha avuto la fortuna di altri filosofi e poeti dell’800, la sua non è stata una vita “di corte”, di società ma una vera e propria esistenza donata al Pensiero.
Malgrado il suo viver da eremita, con il suo Diario Intimo, ha mostrato tutte le piaghe della società a lui contemporanea, piaghe che si sono moltiplicate nella nostra attuale, infatti in 16.840 pagine il Journal Intime disegna perfettamente ciò che è accaduto in Europa in 150 anni.
Successivamente alla morte di Amiel furono pubblicate alcune pagine scelte in “Fragments d’un Journal intime” decretate come fenomeno letterario molto interessante, e successivamente nel 1923 il filologo e docente svizzero Bernard Bouvier decise di pubblicare una selezione più ampia.
Henri-Frédéric Amiel è tagliente, non accomoda alcun partito, alcuna fazione, il suo scrivere è portare alla luce, è trasmettere il canto, è ragionamento continuo che non ha pretesa di pubblicazione editoriale né di ammirazione da parte degli altri intellettuali contemporanei. E forse è per questi semplici motivi che il Journal Intime è vero e si presenta come il dialogo di un uomo con l’anima.
Una rarità nel mondo post illuminista che volgeva l’interesse verso la velocità e la produzione, verso la mercificazione dell’essere umano, sulle basi di quello che noi abbiamo chiamato capitalismo.
Abbiamo deciso di selezionare alcuni brani di questo grande filosofo augurandoci di potar ai lettori di oggi qualche riflessione interessante dando la possibilità di curiosare all’interno di un libro diventato pressoché introvabile.
Siamo partiti dal gennaio del 1866 con una bellissima pagina di diario nella quale il nostro filosofo esortava se stesso ed il possibile lettore alla contemplazione. La selezione di febbraio ci ha portati nel 1869 con il discorso della facoltà di conoscere, a marzo 1868 abbiamo attraversato le facoltà di metamorfosi.
Ed eccoci al 7 aprile del 1850 ed Amiel ragionava sulla duplicità della coscienza (notturna e diurna), sulla differenziazione del mondo esterno ed interno e sulla profondità della scelta del matrimonio.
7 aprile 1850 – Diario Intimo
“[…] Io sento che la coscienza diurna è diversa dalla coscienza notturna, come dice Kerner, con la scuola dei magnetizzatori; in quella notturna sono più raccolto, meno distratto, più serio; nell’altra i pregiudizi, le seduzioni, le illusioni del mondo esteriore riprendono il sopravvento.
È il contrasto fra il mondo interiore e quello esteriore; fra la concentrazione e la proiezione; fra l’uomo religioso e l’uomo mondano, fra l’uomo essenziale e l’uomo mobile; noi vediamo così alternativamente sub specie aeterni et temporis, per parlar con Spinoza.
La coscienza notturna ci pone in presenza di Dio e di noi stessi, vale a dire dell’unità, la coscienza diurna ci rimette in rapporto con gli altri, col mondo esteriore, cioè con la diversità…
La vita completa ha questi due aspetti, l’anima ruota nella sfera divina come il pianeta nella sfera celeste, e la sua iniziazione ascendente consiste appunto nella successione dell’infinito e del finito, della totalità e del fatto singolo, della contemplazione e dell’azione, della notte e del giorno.
Non bisogna rimpiangere né riprovare l’una o l’altra tendenza, bisogna armonizzarle, poiché entrambe sono nelle vie di Dio, entrambe sono buone, in quanto si aiutano a vicenda.
Questo mi spiega perché le idee che mi perseguitavano al mio risveglio, ora, poche ore dopo, mi appaiono sotto tutt’altro aspetto. Sono già immerso nella disperazione diurna. Erano idee intorno al matrimonio. Allora mi sembrava che tutto quanto è indissolubile dev’essere contratto nella pienezza della coscienza, sub specie aeterni.
Perciò tutto quello che passa, ogni considerazione di bellezza, d’orgoglio, di vanità, di ricchezza, di vantaggi esteriori, dev’essere riconosciuto, penetrato e respinto come motivo dirigente: presto o tardi seguirebbe il rimorso. Ingannare o ingannarsi, cedere ad una tentazione, porta a risultati crudeli.
La felicità è necessariamente reciproca e non si trova che donandosi.
Un matrimonio che ti faccia dimenticare la tua vocazione e i tuoi doveri, che t’impedisca di guardare in te stesso, che insomma non ti migliori, è cattivo.
Il matrimonio che ti appaia come una catena, come una schiavitù, come una soffocazione, non vale nulla. La schiavitù sparisce soltanto se c’è l’amore, e l’amore è vero soltanto se è centrale e può considerarsi eterno; ora, eterno, è unicamente ciò che può crescere, svilupparsi e diventare sempre più grande.
Il matrimonio che non fosse un’aspirazione infinita, come sopra due ali, il matrimonio temporale, non ti offrirebbe alcuna felicità; esso non vale l’indipendenza e ti lascerebbe un incurabile malessere, un rimpianto, un rimprovero, una sofferenza senza fine.
Il vero matrimonio dev’essere realmente un pellegrinaggio, un purgatorio, nel senso elevato del dogma cattolico. Dev’essere un cammino verso la vera vita umana; il punto di vista religioso è solo degno di esso. Finché dunque non ti sentirai il matrimonio come un bisogno per adempiere la tua vocazione di uomo, o quando una unione ti offrirà una prospettiva diversa, astieniti.
Una sola cosa è necessaria, esser ciò che si deve, compiere la propria missione e la propria opera…” ‒ Henri-Frédéric Amiel
Bibliografia
“Frammenti di un giornale intimo” di Henri-Frédéric Amiel (Unione Tipografico – Editrice Torinese, 1967, a cura di C. Baseggio)
Info
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