Dalle Enneadi secondo Plotino: la dialettica
“Ma che uomo dev’essere chi compie un tale ascesa?
Forse, come vuole Platone, si tratta di chi ha visto tutto, o grande parte del vero essere, e che, nella sua prima incarnazione, è entrato nel seme di un uomo destinato a essere un filosofo, un musico, o un amante?”
Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.
Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.
Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.
Nella prima “puntata” di questo excursus nel mondo di Plotino vi abbiamo illustrato quattro paragrafi tratti dal primo trattato della prima Enneade “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo” nei quali Plotino introduce con uno schema chiaro l’esposizione per la quale si esamineranno le questioni delle passioni e delle sensazioni connesse all’Anima ed al corpo.
Nella seconda puntata denominata “Le virtù” (secondo trattato della prima Enneade) si andrà a leggere una riflessione sulla possibilità del vivente di assomigliare a Dio grazie alle virtù e grazie alla fuga dal mondo materiale.
Nel terzo trattato della prima Enneade “La dialettica” vi illustriamo l’incipit del ragionamento, come siamo soliti fare in questo nostro percorso. Plotino individua tre tipologie di uomini che possono ambire all’ascesa: il filosofo, il musico e l’amante.
Prendendo dunque spunto dal Fedro e ripercorrendo Repubblica, Plotino si accinge a delineare le caratteristiche della dialettica quali procedere al di là dell’opinione, conoscere le cose definendo l’essenza, stabilire i rapporti che le cose hanno con le altre riuscendo a collocarle nel luogo che le compete nel mondo intelligibile.
Enneade I 3, 1
Quale arte, o metodo, o pratica sono in grado di elevarci là dove non si può fare a meno di andare?
Intanto, il luogo dove non si può fare a meno di andare va inteso come il Bene e il Principio primo: su questo ci siamo ormai intesi per via di molteplici dimostrazioni e d’altra pare già gli strumenti della nostra dimostrazione costituivano un mezzo di elevazione.
Ma che uomo dev’essere chi compie un tale ascesa?
Forse, come vuole Platone, si tratta di chi ha visto tutto, o grande parte del vero essere, e che, nella sua prima incarnazione, è entrato nel seme di un uomo destinato a essere un filosofo, un musico, o un amante?[1]
Non c’è dubbio che l’uomo per natura filosofo, musico, o amante, può intraprendere l’ascesa. Ma in che maniera lo farà? Esiste forse un solo e identico modo per tutti e tre i tipi di uomo, oppure ognuno ha il suo proprio?
In verità, la via è duplice per tutti, sia per chi ancora è impegnato nella salita, sia per chi ormai è arrivato in alto: la prima via muove dal basso, mentre la seconda riguarda coloro che già si trovano nel mondo intelligibile, e, per così dire, vi hanno posato il piede. Ma anche costoro non possono non proseguire finché non abbiano raggiunto l’estremo confine di quel luogo, dove, una volta conquistata la vetta dell’intelligibile, si giunge alla conclusione del viaggio.[2]
Però quest’ultimo tema può aspettare, prima ci si deve cimentare con quello dell’ascesa. Innanzitutto, cerchiamo di tenere distinti questi tre tipi di uomini, iniziando dalla definizione della natura del musico.[3] Non si può negare che egli sia facile alla commozione e alla eccitazione di fronte alla bellezza, che però non sempre riesce a suscitare, mentre è pronto a trarla, per così dire, da impressioni occasionali. In questo è come i paurosi di fronte ai rumori, solo che egli è sensibile ai suoni e alla bellezza che si trova in essi, e quindi evita sempre le stonature e la mancanza di unità nei canti e nei ritmi, mentre ricerca l’armonia e la bella forma.
Se si vuole che vada oltre i suoni, i ritmi e le figure sensibili bisogna istruirlo in tal modo, cioè facendogli capire che quelle cose che si realizzano in rapporti e proporzioni armoniche vanno separate dalla componente materiale per poter assurgere alla bellezza che sta sopra di loro.
A questo punto bisogna convincerlo che proprio queste sono le realtà che tanto lo eccitavano: e cioè l’armonia intelligibile con la bellezza che ha in sé, nonché il bello in senso universale e non solo questa particolare bellezza. Infine, bisogna inculcargli i fondamenti della filosofia, grazie ai quali deve essere educato a riporre la sua fiducia in ciò che neppure sapeva di possedere. Quali siano poi questi fondamenti sarà oggetto di una trattazione successiva.[4]
Enneade I 3, 2
Dunque, l’amante serba un qualche ricordo della bellezza[5] ‒ e come lui anche il musico che può mutuarsi in amante, e una volta mutatosi, può anche scegliere di restare così o di andare oltre ‒; però, per il fatto che questa è separata, non riesce a comprenderla, e dunque, impressionato dalle bellezze visibili, si eccita alla loro presenza.
Da qui la necessità di insegnargli a non farsi affascinare dal primo corpo che incontra, ma a lasciarsi condurre per via di ragionamento a occuparsi di tutti i corpi, dimostrando che in ciascuno di essi c’è sempre un medesimo principio di bellezza il quale è altro dai corpi, va riconosciuto come derivato da altro e, come dimostrano le belle attività e le buone leggi, si trova soprattutto in esseri diversi, cioè nelle arti, nelle scienze e nelle virtù. In tal modo s’abituerà a cercar l’amore in realtà incorporee.
A questo punto, si dovrà fare unità e insegnargli come tale unità si produce. Infine, dalle virtù risalirà all’Intelligenza e all’Essere, e da quassù dovrà avviarsi alla conclusiva ascesa.
Enneadi I 3, 3
Il filosofo, invece, è per sua natura già pronto a questa ascesa, essendo per così dire, dotato di ali[6] e non avendo bisogno di distaccarsi dal mondo come invece l’hanno gli altri; egli, invero, tende a elevarsi, ma è nel dubbio e per questo aspetta solo che uno gli mostri la via.[7]
Bisognerà dunque indicargliela, così da renderlo libero, tanto più che proprio questo egli desidera, e anzi, per sua natura è ormai libero. Certamente, si dovrà fornirgli un’adeguata istruzione matematica per convincerlo dell’incorporeo e per renderglielo familiare, e, del resto, data la sua predisposizione allo studio, non faticherà ad apprenderlo.
Si tratterà a tal punto di promuovere la sua indole virtuosa nella perfezione delle virtù, aggiungendo alle discipline matematiche, i principi della dialettica, per far di lui un perfetto dialettico.
Note
[1] Platone, Fedro. Plotino modifica il testo.
[2] “Conclusione del viaggio” lo troviamo in Platone, Repubblica, VII 532 E 3.
[3] Il termine musico è utilizzato in senso ristretto e non come “amico delle Muse”.
[4] Rendersi conto che le proporzioni musicali derivano da realtà intelligibili di cui si possiedono le impronte senza averne coscienza.
[5] Concetto di reminiscenza espresso nel Fedro e Simposio.
[6] Platone, Fedro, in cui si dice che solo l’anima del filosofo mette le ali.
[7] Platone, Lettera VII.
Info
Rubrica Dalle Enneadi secondo Plotino
Bibliografia
“Enneadi” di Plotino, Arnoldo Mondadori Edizioni, 2012. Traduzione di Roberto Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di Giovanni Reale.
11 pensieri su “Dalle Enneadi secondo Plotino: la dialettica”