“Diario Intimo” di Henri-Frédéric Amiel: la facoltà di metamorfosi ‒ marzo 1868
“Nell’azione io mi sento spostato; il mio vero ambiente è la contemplazione. Ogni ambizione, ricerca e perseguimento è per me un lavoro ingrato, una diminuzione, una concessione fatta all’uso, per bonarietà.” ‒ Henri-Frédéric Amiel
Nel mese di marzo ma nel 1868 il filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel (Ginevra, 27 settembre 1821 – Ginevra, 11 maggio 1881) scriveva le sue quotidiane riflessioni nel Diario Intimo.
Amiel non è celebre, non ha avuto la fortuna di altri filosofi e poeti dell’800, la sua non è stata una vita “di corte”, di società ma una vera e propria esistenza donata al Pensiero.
Eppure, malgrado l’atteggiamento da eremita, con il suo Diario Intimo ha mostrato tutte le piaghe della società a lui contemporanea e che si sono moltiplicate nella nostra attuale.
In 16.840 pagine il Journal Intime disegna perfettamente ciò che è accaduto in Europa in 150 anni. Alla sua morte furono pubblicate alcune pagine scelte in “Fragments d’un Journal intime” decretate come fenomeno letterario molto interessante, e successivamente nel 1923 il filologo e docente svizzero Bernard Bouvier pubblica una selezione più ampia.
Henri-Frédéric Amiel è tagliente, non accomoda alcun partito, alcuna fazione, il suo scrivere è portare alla luce, è trasmettere il canto, è ragionamento continuo che non ha pretesa di pubblicazione editoriale né di ammirazione da parte degli altri intellettuali contemporanei.
E forse è per questi semplici motivi che il Journal Intime è vero e si presenta come il dialogo di un uomo con l’anima.
Una rarità nel mondo post illuminista che volgeva l’interesse verso la velocità e la produzione, verso la mercificazione dell’essere umano, sulle basi di quello che noi abbiamo chiamato capitalismo.
Abbiamo deciso di selezionare alcuni brani di questo grande filosofo augurandoci di potar ai lettori di oggi qualche riflessione interessante dando la possibilità di curiosare all’interno di un libro diventato pressoché introvabile.
Siamo partiti dal gennaio del 1866 con una bellissima pagina di diario nella quale il nostro filosofo esortava se stesso ed il possibile lettore alla contemplazione. La selezione di febbraio ci ha portati nel 1869 con il discorso della facoltà di conoscere.
Siamo dunque all’8 marzo del 1868 ed Amiel ragionava sulla sua capacità di metamorfosi, la facoltà dell’uscire e del rientrare nel sé, nella forma arbitraria.
8 marzo 1868
“… Quando penso alle intuizioni di ogni sorta e spesso opposte che ebbi dalla mia adolescenza in poi, mi sembra d’aver vissuto dozzine e quasi centinaia di vite.
Ogni individualità caratteristica si modella idealmente in me, o piuttosto mi foggia momentaneamente a sua immagine, e non ho che da guardarmi vivere in quel momento, per comprendere questa nuova maniera d’essere della natura umana.
In tal modo sono stato madre, fanciullo, giovinetta, matematico, musicista, erudito, monaco, ecc. In questi stati di simpatia universale sono stato anche animale e pianta, un dato animale, una data pianta presente.
Questa facoltà di metamorfosi ascendente e discendente, di deplicazione e reimplicazione, ha stupito talvolta i miei amici, anche i più sottili (Edm. Scherer). Essa dipende senza dubbio dalla mia estrema facilità d’obbiettivazione impersonale, che produce a sua volta la mia difficoltà ad individuarmi per conto mio, a non essere che un uomo particolare, col suo numero e con la sua etichetta.
Rientrare nella mia pelle m’è sempre riuscito cosa curiosa, arbitraria e convenzionale.
Mi sono apparso come scatole di fenomeni, come luogo di visione e di percezione, come persona impersonale, come soggetto senza individualità determinata, come determinabilità e formalità pure, e per conseguenza non mi sono rassegnato che con uno sforzo a rappresentare la parte affatto arbitraria di un individuo iscritto nello stato civile di una data città, di un dato paese.
Nell’azione io mi sento spostato; il mio vero ambiente è la contemplazione. Ogni ambizione, ricerca e perseguimento è per me un lavoro ingrato, una diminuzione, una concessione fatta all’uso, per bonarietà.
Io respiro a mio agio solo quando esco da questa funzione a prestito e rientro nell’attitudine alle metamorfosi.
La virtualità pura, l’equilibrio perfetto, sono il mio prediletto rifugio. Qui mi sento libero, disinteressato, sovrano. È forse un richiamo, è una tentazione?
È l’oscillazione fra i due geni, greco e romano, orientale e occidentale, antico e cristiano. È la lotta fra due ideali, quello della libertà e quello della santità.
La libertà ci deifica, la santità ci prosterna.
L’azione ci limita, la contemplazione ci dilata.
La volontà ci rende locali, il pensiero universali.
La mia anima oscilla fra due, quattro, sei concezioni generali e antinomiche, perché obbedisce a tutti i grandi istinti della natura umana e aspira all’assoluto, realizzabile soltanto per la successione dei contrari.
Mi è occorso del tempo per comprendermi, e talvolta m’accade di ricominciare da capo lo studio di questo problema risolto, tanto è difficile mantenere in noi un punto immobile.
Amo tutto e detesto soltanto una cosa, l’imprigionamento irrimediabile del mio essere in una forma arbitraria, anche scelta da me.
La libertà interiore sarebbe dunque la più tenace delle mie passioni e forse la mia sola passione.
Questa passione è permessa?
L’ho creduto con intermittenza, e non ne sono perfettamente sicuro.” ‒ Henri-Frédéric Amiel
Info
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Bibliografia
“Frammenti di un giornale intimo” di Henri-Frédéric Amiel (Unione Tipografico – Editrice Torinese, 1967, a cura di C. Baseggio)
11 pensieri su ““Diario Intimo” di Henri-Frédéric Amiel: la facoltà di metamorfosi ‒ marzo 1868”