Moda, osservazione e società: una riflessione trasversale sul nostro essere animali economici
“La moda passa, lo stile resta.” ‒ Coco Chanel
“Se una donna è malvestita si nota l’abito. Se è vestita impeccabilmente bene, si nota la donna.” ‒ Coco Chanel
“Alcune persone pensano che il lusso sia l’opposto della povertà. Non lo è. È l’opposto della volgarità.” ‒ Coco Chanel
In questa fase di passaggio dall’inverno alla primavera vorrei spendere una riflessione sulla moda da osservatrice quale sono, come tutte le donne credo, delle vetrine dei negozi. Se camminare, infatti, è una delle attività che preferisco, passeggiare nei centri delle nostre città può costituire un’attività al tempo stesso dilettevole e didattica.
Subito dopo Capodanno esplode la frenesia dei saldi di fine stagione, un prolungamento delle feste e basta davvero poco tempo perché i negozi si svuotino completamente, anche se devo ammettere che gli acquisti più interessanti sono quelli finali al 70% di sconto, se si è fortunati a ritrovare proprio il capo ambìto.
Spesso, invece, si attende la conclusione della stagione per comprare un articolo desiderato e, quando si va dalla commessa a chiederlo, lei splendidamente svela che proprio quel prodotto non va in svendita… cioè se ci piace davvero dobbiamo prenderlo a prezzo intero…
Questo aspetto lo si apprende soprattutto se si è donne e se si ama girare per tutti quei meravigliosi punti vendita di intimo (non li nomino per non essere accusata di fare pubblicità e di essere una influencer pagata dai marchi) che ormai non offrono più solo intimo, ma anche maglie, leggins, skinny, camicie e simili. Poiché siffatte catene presentano spesso una linea basic e/o anche una selezione di oggetti che, secondo i produttori si portano sempre, simili capi non vanno in saldo. Ciò, oltre a farmi tremendamente arrabbiare, mi fa anche riflettere sul fatto che innanzitutto non ci sono più le mezze stagioni e andiamo vestiti praticamente tutto l’anno uguale: le maxi maglie con i leggins o gli skinny (quelli in denim sono un must have), e gli stivali vanno sempre bene, tenendo conto anche che ormai, per tutte le fissate, esistono sia stivali invernali che estivi.
Quanto fin qui scritto trova conferma nel fatto che, proprio durante il periodo degli sconti, gli esercizi commerciali vengano allestiti con dei capi praticamente identici a quelli della passata stagione: ma allora qual è la differenza tra una camicia indossabile a novembre e una indossabile ad aprile? Con ciò, quindi, bypassata la stagionalità, ecco legittimato che alcuni articoli non vadano in liquidazione.
La perdita della stagionalità e anche i nuovi dettami della moda hanno talora imposto un abbigliamento pressoché simile tutto l’anno; in altri casi hanno invece favorito l’emergere di un assoluto caos in fatto di look per cui è possibile trovare, nel medesimo periodo, persone vestite in modo assolutamente diverso, o eccessivamente pesante o eccessivamente leggero in relazione alle temperature correnti.
Una mise che io stigmatizzo in modo piuttosto deciso è quella per cui, anche in piena stagione invernale, si mettono pantaloni non eccessivamente lunghi e si lasciano scoperte le caviglie indossando calzini (anche di cotone) molto corti. A parte il fatto che tale tipo di foggia sta uniformando sempre più uomini e donne, va precisato anche che si tratta di un’abitudine poco salutare quando è freddo, ma anche poco elegante…
Altro modo di vestire che non sopporto è quello, molto diffuso, di andare in giro con jeans strappati. Premetto che c’è strappo e strappo e, al limite, strappi sobri e contenuti si possono anche accettare in quanto risultano sfiziosi e aiutano a sdrammatizzare; però, soprattutto a scuola, non riesco proprio a mandare giù ragazzi e ragazze che, sia d’estate sia d’inverno, si presentano con jeans del tutto inadeguati al contesto in cui si trovano; spesso, poi, ai primi caldi, le studentesse entrano in classe con scollature indecenti e gli studenti con i calzoncini corti.
Tra istituto e istituto cambiano le regole (non sempre scritte) del dress code, ma in genere c’è molta sciatteria e soprattutto poco rispetto per il luogo in cui si sta perché, se l’abito non fa il monaco, il buonsenso sta però bene dappertutto ed è importante capire come ci si debba vestire in ogni contesto. Se io andassi a scuola con scollatura generosa e minigonna cortissima (non vado mai così, per abitudine, nemmeno altrove) non riuscirei a lavorare perché mi sentirei osservata dagli studenti; altra cosa è indossare un bell’abito o una bella camicia o anche, semplicemente, dei pantaloni non strappati con sotto calze adeguatamente lunghe se fa freddo o anche niente se fa caldo.
Ovviamente affinché i giovanissimi vengano a scuola o comunque vadano in giro in modo decente, i genitori glielo dovrebbero insegnare, ma ahimè, spesso proprio i genitori vanno conciati peggio dei figli.
Tornando al tema della stagionalità, va sottolineato che non solo nel passaggio da autunno/inverno a primavera/estate, ma anche in quello da primavera/estate a autunno/inverno è possibile trovare nelle vetrine alcuni articoli pressoché identici, nel modello e nel tessuto.
Vorrei concludere il mio intervento tornando al tema dei saldi. Qualche giorno fa ascoltavo mi sembra in Tv o alla radio un servizio sulla delusione dei commercianti per i saldi invernali ancora in corso, che sarebbero andati male, secondo i venditori stessi, a causa del Black Friday.
Non so se ciò sia vero o no, ma è certo che, in un’epoca in cui ormai durante tutto l’anno non mancano varie occasioni di sconti al fine anche di rilanciare un’economia ultimamente stagnante, l’appuntamento con i saldi ha perso la sua sacralità e la sua esclusività; una riprova è costituita dal motivo che, tra Natale e Capodanno, prima ancora che inizino i saldi veri e propri, ci siano delle vendite promozionali.
Inoltre Halloween e il Giorno del Ringraziamento diventano altre due occasioni o scuse, mutuate da feste estranee alla nostra tradizione, per farci spendere. Non sono contraria per ideologia alle iniziative tese a muovere l’economia, ma mi piacerebbe venissero messe in atto strategie in grado di promuovere maggiormente lo shopping, anche domenicale, nei centri delle nostre città invece che nei grandi magazzini. Sarebbe questo un modo per far riprendere vita ai nostri centri cittadini, soprattutto nei piccoli borghi spesso svuotati solo perché non si può entrare con la macchina dentro le mura. Scuse! Non c’è niente di più piacevole che passeggiare nello spazio urbano e ammirarne le vetrine: per semplice passatempo, per innocente curiosità o per desiderio di comprendere come possa essere bizzarra la moda e, conseguentemente, l’uomo.
Lo scorso anno di questi tempi (era già Carnevale) ho fatto un viaggio di due o tre giorni a Modena: oltre ad essere una città dal grande senso civico (l’ho visto, ad esempio, dall’affollamento della biblioteca comunale), è una comunità che ha saputo fare del suo centro storico, pieno di negozi e locali bellissimi, gestiti sia da italiani sia da stranieri, una risorsa per la gente.
Del resto la polis, fin dai Greci, passando per il Medioevo e per l’Età moderna, è sempre stata concepita come un luogo di incontro tra uomini e donne, tra sacro e profano, fra locale e straniero. Solo così, forse, i continui stimoli all’acquisto (passato Natale, ecco Carnevale, spesso concomitante ora con il San Valentino o ora con l’8 marzo; subito dopo Pasqua, poi l’estate e i saldi estivi, per tornare di nuovo, passando per Halloween e il Ringraziamento, a Natale… ), coincideranno con l’interesse di partecipare della vita dei nostri centri urbani, spesso massacrati dalla concorrenza spietata dei centri commerciali che, allontanando le persone dalle città, le rendono alienate dalla loro essenza se, come ci insegna Aristotele già dal IV sec. a.C., l’uomo coincide con il cittadino.
L’uomo, però, come ci insegnano sempre i Greci, è un animale “economico” (oeconomicus), ovvero in grado di “amministrare” la casa/patria: l’aggettivo “economico”, così come il sostantivo “economia” sono parole formate nella prima parte dalla radice del termine oikia, ‘casa, patria’, e nella seconda parte dalla radice del verbo nomizo, ‘amministro’. Chi sa amministrare/gestire la propria casa e anche quella che ciascuno condivide con gli altri (lo Stato) è cittadino e uomo in senso proprio!
E il nostro essere animali sociali è attestato dalla ragione che non compriamo per mera necessità, ma anche per il piacere di farlo e di condividerlo con amici, parenti, venditori stessi: perciò preferiamo andare a fare la spesa da commercianti simpatici, che ci coccolano, ci stanno dietro e perdono qualche minuto a parlare con noi. Non si fa nulla per nulla, la vita è un continuo do ut des, ok ma è parte integrante del nostro essere animali economici!
Ad maiora!
Written by Filomena Gagliardi