“Ezio” di Giorgio Ravegnani: da ostaggio dei Visigoti e Unni al comando dell’esercito di un impero allo sfascio
“Bisogna innanzitutto rendersi conto – scrive un anonimo esperto di cose militari – che il furore di popoli che latrano tutt’intorno stringe in una morsa l’impero romano e che la barbarie infida, protetta dall’ambiente naturale, minaccia da ogni parte i nostri confini.”
L’impero di Roma che aveva esteso il suo dominio su quasi tutto il mondo allora conosciuto, alla fine del IV secolo iniziò a sembrare un “gigante dai piedi di argilla”.
Forse ‒ non si può imputare ogni colpa a Diocleziano ‒ l’inizio della fine di quella enorme macchina che era lo stato imperiale fu proprio la riforma da lui attuata: la tetrarchia.
Due Augusti affiancati da due Cesari, detto così fa un po’ sorridere perché Cesare non affiancò mai Augusto se non nello spirito e, lo sappiamo tutti, quest’ultimo non si fece remore ad usare il nome del suo predecessore in ogni modo che gli recasse vantaggio. Il sorriso, in merito al funzionamento della tetrarchia, si allarga perché come, appunto, accadde per Augusto e Cesare, il sistema iniziò a vacillare presto.
Non si può misurare l’ambizione delle persone attraverso la burocrazia. Il potere è il potere e il sistema che era nato per alleggerire il peso dell’impero, anche dal punto di vista strettamente militare, iniziò a non essere conforme alle mire del cuore e delle mani degli uomini.
Erano cinque i punti su cui si basava il sistema voluto da Diocleziano:
Il potere assoluto del sovrano;
La centralizzazione dell’apparato amministrativo;
La riforma del sistema che regolava la tassazione delle province e dei cittadini;
La riforma del fiore all’occhiello dello stato romano: l’esercito;
Per ultimo, ma non meno importante, la riforma del sistema di successione al trono.
Io vedo cinque motivi per innescare un enorme vespaio e in questo caso il dividi et impera non ha funzionato come invece faceva nei progetti dell’imperatore, infatti crollò nella generazione subito a lui seguente.
Costantino, figlio illegittimo di Costanzo Cloro, viene acclamato imperatore alla morte del padre e qui tutto il sistema ideato da Diocleziano inizia a crollare come carte di un castello troppo alto e troppo vicino al sole.
Altro grandissimo cambiamento voluto, questa volta, dal nuovo imperatore e noto al mondo come colui che ha odiato Roma, avvenne nel 313: la legalizzazione di quello che era diventato un fenomeno dilagante, il Cristianesimo. Il culto stesso mirava a cambiare le basi su cui poggiava lo stato, Costantino si adoperò per aiutarlo e sfruttarlo a suo piacimento.
Quella di Costantino e della sua conversione in un culto, a cui fondamentalmente non credeva, è una storia lunga e tende spesso a trasformarsi in un nido di vespe ma è un passaggio fondamentale per arrivare a trarre le fila di quella intricata matassa che, durante il suo regno e dei suoi successori, arrivò ad essere lo Stato.
Sto dimenticando qualcosa…
Scusatemi, mi stavo dilungando a spiegare le cause e le vicende che hanno portato alla fine dell’impero romano, almeno per quello che riguardo quello d’Occidente, ma non è questo il motivo per cui sono qui.
La mia intenzione era quella di preparare il terreno all’avvento di una delle ultime grandi figure di uno stato morente, un soldato e un generale che hanno tentato di fare tutto quello che poteva per arrestare la dipartita di un animale già ferito a morte, non dagli invasori, ma dai suoi stessi protettori. Assurdo? Beh non tanto se pensate che la caratura di coloro che sedevano sul trono era pari a zero.
Dopo Costantino, morto Massenzio, l’unico imperatore nominale che, forse, avesse ancora un minimo di verve furono Giuliano l’apostata e Teodosio I.
Ci provarono, ci provarono tanto ma il trono è una sedia pericolosa su cui sedere, soprattutto in quel periodo.
Roma diventò lo spauracchio di se stessa e Ravenna divenne un covo di vipere, credetemi Costantinopoli, poi Bisanzio, impallidiva al confronto.
Ma ripeto non sono qui a parlarvi dell’impero nella sua fase tardo antica ma dell’ultimo, anzi penultimo perché non voglio eclissare quello che rappresenterà Belisario, generale della Roma d’Occidente.
Stilicone lo precedette, tentò in tutti i modi di tenere unito l’impero e per un certo periodo gli venne concesso di farlo e poi, come spesso accade, fu eliminato e con lui il figlio e la madre poco dopo.
L’impero era invaso dai barbari? Certo.
Come decisero di risolvere la questione? Facile! Ad indebolire l’esercito ci aveva già pensato la riforma tetrarchica quindi non era affatto improbabile che le frontiere cadessero. Quindi per risolvere il gravoso problema delle popolazioni barbare, si decise di inglobarle nei confini dell’impero, gli vennero concessi territori e gli fu chiesto di combattere per la terra che li aveva accolti.
Teoricamente non era un’idea malsana ma… fidatevi, i barbari nei confini era il minore dei problemi, visto che i governanti, i protettori di Roma, giocavano a farsi i dispetti per antipatie basate sul vecchio e più antico male dell’universo: l’invidia.
Suvvia, neanche Nerone si dedicò totalmente a quello!
Dicevo?
Ah sì, sono imperdonabile, stavo per dirvi il nome del protagonista del saggio che ho letto.
Il suo nome era Ezio.
Però prima vi parlerò del suo autore. Il saggio è edito per la Salerno Editrice nel 2018 ed è opera di Giorgio Ravegnani.
Giorgio Ravegnani, professore ordinario di Storia medievale, insegna Storia medievale, Storia dell’Italia bizantina e Storia militare del Medioevo all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Ho letto, per studio ma anche con immenso piacere, altri suoi saggi, soprattutto riguardanti l’epoca bizantina e ora mi trovo tra le mani il suo lavoro su Ezio.
Ravegnani descrive benissimo la situazione di fortissima incertezza all’interno dei confini e la tracotanza di coloro che premevano all’esterno e, in alcuni casi, anche dall’interno, considerando che l’impero orientale ha fatto quello che ha potuto per rendere la vita più disagevole ai loro colleghi in occidente, a loro discolpa si può dire che avevano i loro problemi e non erano tenuti a fare da balia all’imperatore occidentale.
In un certo senso, visto che di Ezio si conoscono: le sue origini, anche se poco; la sua carriera anche se con numerose lacune; le sue vittorie e, anche se fortemente ostacolato dal suo imperatore e dalla Augusta madre di lui, quello che fece per la mediazione e per tenere in piedi le poche province dell’impero che sarebbero bastate per non cedere al tracollo; questo di Ravegnani è un libro interattivo.
Vi spiego il motivo.
Come Ezio, durante la sua carriera a corte, mi sono sentita spaesata e rimandata continuamente al punto di partenza. Ho continuato a cercare il suo nome ma venivo sempre ed ineluttabilmente sommersa dalla marea della burocrazia e delle continue battaglie.
Come Ezio, ho tentato di arginare con le mani la faglia all’interno del muro di una dica che sta per crollare.
Come Ezio, ho avvertito l’ostacolo di poter conoscere davvero il raggiungimento del mio scopo, che era leggere una monografia sul suo conto, perché chi doveva sostenermi nel percorso non faceva altro che pungolarmi con altri problemi da affrontare.
In realtà conosco Ezio.
Per 20 anni, concentrando il potere militare nelle sue mani e sfruttando i suoi rapporti personali con i capi degli Unni e dei Visigoti, ha tentato di salvare l’Impero Roma d’Occidente.
Ho percepito la sua energia nel fare ogni cosa in suo potere per tenere in piedi il gigante senza gambe e senza cervello.
Io conosco Ezio, la sua testardaggine, nonostante tutto, nel perseguire i suoi scopi.
Io conosco Ezio, morto per aver servito colui che aveva salvato da morte certa e ucciso dal suo stesso imperatore in uno scatto d’ira dovuto all’invidia.
Io conosco Ezio, l’ultimo generale d’occidente. L’uomo che sconfisse il Flagello di Dio, prima che l’impero crollasse.
Written by Altea Gardini