Darcy Ribeiro: le citazioni tratte dal romanzo “Utopia selvaggia”
“Utopia selvaggia ‒ Saudade dell’innocenza perduta. Una fiaba” di Darcy Ribeiro sarà pubblicato nel mese di maggio 2019 dalla casa editrice mantovana Negretto Editore con la traduzione di Katia Zornetta e con prefazione di Giancorrado Barozzi.

Di seguito vogliamo darvi un assaggio del romanzo del famoso sociologo, antropologo, scrittore, educatore ed uomo politico brasiliano Darcy Ribeiro (Montes Claros – Minas Gerais 26-10-1922/ Brasilia 17-2-1997).
“Pitum pensava che tutte queste loro dimostrazioni di bellicismo fossero la sublimazione della mancanza di uomini. Ma non lo è, non lo credo. Tanto estro combattivo, protratto nel tempo, nasce dall’odio che hanno imparato dagli uomini. Credono che la convivenza tra i sessi sia impossibile. «Con i maschi, solo in guerra» penseranno. «Se alle donne di queste parti, venisse in mente di proclamare l’indipendenza, saremmo perduti. Diventerebbero autarchiche pure loro».”
“Il nostro enigma è molto, ma molto, più complicato. Comincia con la tenebrosa invasione della civiltà. Infiniti popoli unici, nati vergini dalle mani del Creatore, con i loro mille volti e lingue proprie, si sono mescolati nel calderone con milioni di pitum, per fondare la Nuova Roma moltitudinaria. Una Galibia Neolatina così grande come spaventata da se stessa. Inspiegabile. Quei tanti popoli innocenti che si trovavano qui incuriosirono notevolmente lo scopritore e i suoi teologi: Sono uomini o sono animali razionali? Hanno un’anima capace di provare colpa? Possono ricevere la comunione?”
“Chi siamo noi, se non siamo europei, e nemmeno siamo indios, se non una specie intermedia, tra aborigeni e spagnoli? Siamo coloro che furono disfatti in quel che eravamo, senza mai arrivare ad essere quel che saremmo stati o avremmo voluto essere. Non sapendo chi eravamo quando permanevamo innocenti in loro, inconsapevoli di noi, ancor meno sapremo chi saremo. […] Stanchi e nauseati dallo sforzo di fingere di essere chi non siamo, imparammo finalmente ad aprire gli occhi e a creare specchi per guardarci.”
“[…] la sopravvivenza delle Amazzoni pone problemi cruciali al Brasile. Sul piano umano, c’è e appare evidente la questione dell’antropofagia, denigrata perversione dietetica che nessun popolo civilizzato può acconsentire che si perpetui sul suo territorio, né in nessuno altro. Eccetto se ne dimostri il carattere puramente rituale e persino evangelico, come avviene con l’antropofagia brasiliana. Ed è questo quel che salva il nostro onore.”
“[…] offriva a Pitum due pappagalli, facendogli capire a gesti che gli sarebbero serviti per apprendere a parlare.”
“«Ma se io non ho fatto nessun voto di castità, perché non posso?». Loro insistettero: «vuoi diventare indio? Vuoi essere un immorale? Chi sei tu per andare per la foresta cacciando e pescando come un indio? Hai già pensato a cos’è abbattere la Foresta Amazzonica per farci una piantagione? Tu sei capace di questo! Diventerai immorale. Così perderai l’onore e anche la donna.”
“Comincia a sospettare di essere proprio pazzo: se nemmeno so di esistere, com’è che posso sapere di aver visto quel che vidi? Se nemmeno so dove sono, com’è che posso sapere, esattamente, dov’ero?”
“«Queste saranno visioni vere o sono mere allucinazioni? Questi indios sorridenti, che le monache vogliono indurre al Cristianesimo, saranno davvero indios? Domani, grazie alle monache, saranno indios serafici, pregheranno contriti per la salvezza eterna … Stando attenti ai peccati di gola e alla lussuria. Tutto questo può essere verità reale, palpabile? Sono io che sono pazzo, o lo sono le monache? O è tutto il mondo che è impazzito?».”

“Ora, detto tra noi, cara lettrice, la conclusione conciliatoria che si trae da tutto ciò, è che essendo ogni cosa possibile, simultaneamente, in maniera tanto diversa, in realtà non c’è niente di vero, né le parole hanno alcuna importanza. Proprio così, perché questa è una fiaba.”
“Vedi lettore: immersi in questa confusione, discutendo di utopie, il birbante e le due santedame perdono la testa. È così poco plausibile nel Brasile delle monache la rotazione semestrale delle occupazioni, quanto lo è il cambiamento quotidiano delle attività con cui gli utopisti inglesi vollero incoraggiare l’umana vocazione al dolce far niente. E tu cara lettrice, hai visto questa novità del tornare alla vita bucolica? Tanti secoli di lotta e di lavoro in millenni di civiltà urbana per poi, alla fine, abbandonare la vita civile. È mai possibile?”
“«Qualunque pazzo che va in giro, presentato a tutti quanti come pazzo incurabile, trattato e maltrattato per tutta la vita come matto, non è né più né meno pazzo di me. Quel che noi pazzi siamo, è questo: testimoni dell’impossibile. Il tempo è molti tempi simultanei. Impossibili. Così come pure lo spazio. Chi ha attraversato la coltre bianca lo sa. Ogni cosa impossibile è possibile in qualche luogo. Proprio così».”
“«Non si è mai sentito dire di una missione che alfabetizzi gli indios adulti. Si alfabetizzano i bambini che, innocenti come sono, apprendono e obbediscono. Crescendo, si distingueranno e si chiariranno le idee. Un domani, vestiti, con un lavoro per le mani, lavorando assieme ai caboclos per qualche padrone, capiranno che i loro usi e costumi sono delle stupidaggini. L’importante è guadagnare del denaro e comprarci da sopravvivere. Così abbandoneranno pian piano le superstizioni e le abominazioni».”
“«Alfabetizzando gli adulti, abbiamo trasformato la lettura in un gioco, il che fa di noi, protestanti, i veri cristiani. Lutero, traducendo e stampando la Santa Bibbia, restituì la parola di Dio a tutti gli uomini. Trasformò così la semplice lettura nella suprema forma di preghiera. Creò un canale diretto dalla creatura al Creatore. Noi qui facciamo il contrario di questo. La scrittura e la lettura, messe in queste rozze mani selvagge, hanno fatto dei nostri indios dei burloni. Colpa nostra, esclusivamente nostra, dobbiamo ammetterlo e riconoscerlo senza orgoglio».”
“I missionari si battono per anni, decenni e spendono le loro vite in questa pia vocazione, per niente. Ogni nuova generazione di indios – come di ebrei o di zingari – nasce india e permane india nel profondo del cuore, e vede in noi, gli altri, i cristiani. Sarà perché noi stessi li vediamo solamente come i selvaggi che sono stati?”
“Secondo quanto penso e professo, il selvaggio, per essere autentico, deve fare delle azioni selvagge, così come il cristiano deve vivere nella misericordia e nella carità. Quando si contaminano, la Civiltà diventa selvaggia e la Selvaggeria diventa cristiana, il che può solo portare alla disgrazia, cristiani inselvatichiti e selvaggi pii. I Galibi sono selvaggi, devi essere d’accordo con me in tutto e per tutto. Su questo non ho dubbio. Sono selvaggi non solo perché, come silvicoli, vivono nella selva che è appunto la casa dei selvaggi, ma anche per le loro qualità spirituali, o meglio, per la mancanza di queste.”
“L’Antropofagia, che è la prova del nove della selvaggeria, qui non viene praticata come cannibalismo, ma come culto. Mangiare carne umana, che loro mangiano per davvero, anche se soltanto sotto forma di pirão piccante fatta con i parenti morti, è una pratica di benevolenza, per fare continuare a vivere gli antenati nei loro corpi.”
“C’è solo da chiedersi se sia caritatevole da parte delle monache togliere i Galibi dall’Innocenza per dare loro la parola di Dio. Pensando di regalargli la Salvezza, non stanno forse riscuotendo un prezzo terribile? Non stanno aprendo ai poveri indios le porte dell’Inferno? Finché furono Pagani, ignari del Verbo Rivelato, essendo inconsapevoli, loro erano innocenti e quindi incapaci di colpa e di peccato.”

“Amici, amiche, scusatemi, ma devo intromettermi un’altra volta nella vostra lettura. Come sempre, sappiate che lo faccio per il vostro bene. Questa volta per mettervi a disposizione delle informazioni complementari, magari decisive per lo sviluppo di questa fiaba. Riconosco, però, che questo capitolo è un po’ noioso e non me ne avrò se lo vorrete saltare.”
“Per concretizzare l’ideale utopico, il potere supremo è simboleggiato dalla persona sacra dell’Imperatore Integerrimo, garante della felicità dei cittadini, e incarnato nel potere di Prospero, responsabile della prosperità imprenditoriale.”
“Il Televisore Ecumenico dà accesso immediato a qualunque programma, film, libro, corso o informazione che l’utopiano desideri o che gli sia consigliato. Il Canale Feedback rende possibile la comunicazione audiovisiva diretta con Prospero, sia per ricevere che per trasmettere informazioni, opinioni, voti, opzioni, lezioni, istruzioni e ordini. Serve anche per solitari giochi erotici.”
“Il Seguito dei Calciatori, che dirige il calcio, sport nazionale giocato in diretta nei giorni festivi ed elettronicamente contro Prospero attraverso il CF individuale.”
“Quello che il saggio teutonico sperò tanto dallo Spirito Assoluto e quello che il suo infedele discepolo affidò, invano, alla Lotta di Classe, si raggiungerà in Utopia grazie al matrimonio tra l’Ingegneria Genetica e la Cibernetica Frenetica.”
“Chi può credere a quel che viene da mani sovietiche, con la loro fissazione anticapitalista? E ancora, come non dubitare di quel che ci arriva da mani castriste, notoriamente di sinistra? Non tenteranno questi comunisti di voler sovvertire la mia coscienza e invadere la tua di coscienza, mia graziosa lettrice? Chi ci garantisce contro tali inganni? Attenzione!”
“… per gli indios Galibi, il sogno è l’anima della gente che se ne esce dal corpo, svolazzando a far monellerie. In questo modo quel che succede nel sogno, succede davvero, sebbene avvenga nel mondo dei sogni, tanto che gli indios chiedono un risarcimento se qualcuno li ha maltrattati in sogno. E dànno, spontaneamente, la dovuta ricompensa a un compagno se, nei sogni, lo hanno ingannato.”

“Ma, caro lettore, non pensare che perori il ritorno alla Barbarie. Lungi da me un tale sproposito. Quel che ho è un’incurabile nostalgia di un mondo che avrebbe ben potuto essere, ma che non fu, e che nemmeno so come sarebbe e che, se anche lo sapessi, non lo direi. Faccio della poesia su questi giochi utopici foderato di cautela. Sospetto molto che riformare la società – disfacendola per rifarla migliore -, anche se indispensabile, sarebbe un lavoro estremamente rischioso e complicato. […] Stalin ci tentò e andò tutto a monte, ma garantì il socialismo sotto assedio. Mao raddoppiò le nostre speranze quando praticò il giardinaggio e vietò il mandarinato. Fidel, imprudente, insiste. Persistendo nella follia, finirà col dimostrare che la Galibia Martiana deve fiorire. 113 Faccio il tifo perché funzioni: deve funzionare! Deve funzionare!”
“È un chiarore bianco, azzurro da tanto è bianco, accecante. Poi, si spegne in un’oscurità che diventa nero di un nerume di pece. Dopo, si riaccende di un rosso urucum e, poi, di un rosso sangue, imporporando, insanguinando tutto quanto.”
Le librerie, per eventuali richieste dei lettori, sono tenute a rivolgersi ai distributori regionali che sono indicati nel sito Negretto Editore.
Info
Pagina Facebook Negretto Editore
Leggi la prefazione di Giancorrado Barozzi
Leggi Darcy Ribeiro e la Saudade
Utopia Selvaggia di Darcy Ribeiro
Una volta mi dilettavo a leggere le critiche realizzate da scrittori che amabilmente si scervellavano nella disamina delle opere prodotte dai colleghi. Mi è capitato di seguire talvolta le elucubrazioni di una celebre letterata, che non cito se non dicendo che il suo lessico mi è molto famigliare (col gl), la quale si mostrava invariabilmente entusiasta dell’opera analizzata, per cui iniziava in genere così la sua dissertazione: “Raramente mi è capitato di affrontare una lettura tanto piacevole, quanto…” e cominciava poi a sciorinare le sue lodi sperticate.
Quel suo metodo non mi sembrava affatto professionale.
Col tempo, diciamo qualche mesetto fa, ho capito che vi è una profonda ragione nel coltivare gli affetti, che sono una trans-naturale forma di umanesimo, la più intima credo, per cui non è tanto importante ingurgitare cibi sostanziosi e appetitosi, quanto farlo in compagna di una persona amata. Se capita poi d’introdurre dentro di sé alimenti poco nutrienti e con strambi retrogusti, è preferibile non parlarne, piuttosto si taccia!, che già s’è sofferto a sufficienza. Al contrario, se il vitto è gustoso e delicato e il commensale incantevole, beh, forse vale la pensa di eternare per qualche eone quegli attimi tanto apollinei, quanto dionisiaci.
In genere, a questo punto, uso aggiungere il mio verso preferito, che sempre un po’ trasformo, a seconda dell’evenienza: “A think of humour is a delight for ever!”
Per cui, qui e per sempre, affermo che poche volte mi è capitato di trangugiare e assorbire un libro così simpatico, intelligente e proficuo quanto “Utopia Selvaggia” di Darcy Ribeiro. Continuando l’assonanza fra letteratura e gastronomia, devo ammettere che talvolta m’è capitato di mangiare bene, ma in maniera pesante, e la cosa m’ha sì soddisfatto, ma affaticato, nonché semi-accasciato per un paio di giorni.
Nel caso in questione sto assaporando il romanzo dell’antropologo brasiliano come se fosse un lambrusco di primissima scelta, un “Campanone”, per citarne uno, che, come quelli più scarsi, cessa il suo effetto inebriante con una semplice minzione, ma la sua eterea fragranza rimarrà in me per sempre.
Ragion per cui sono certo che per anni menzionerò il contenuto del libro, senza mai evitare di aggiungere un “Leggilo!, vale assai più delle sue 263 pagine. E’ un romanzo scanzonato che ti farà sorridere, ma è anche un saggio filosofico ed etnografico che non la finirà mai di istruirti, offrendoti tra l’altro l’ipotesi di un’Utopia immensamente possibile: la Tua. E stante il fatto che in questo momento io sto parlando a me stesso (voi, mirabili e miserabili astanti, verrete forse dopo), si tratta della Mia.
Mi auguro di riuscire di qui a poco, ad esprimere meglio e più compiutamente quest’ultima osservazione che, mentre ancora ci rimugino, mi sfugge ancora un po’.
“Utopia Selvaggia”, per antitesi, mi ricorda “Tempo di uccidere” di Flaiano, unico suo romanzo, e unicum letterario, ambientato in Etiopia, che narra l’amorosa e tragica storia fra un italiano figlio di puttana e una sventurata giovane e forse lebbrosa. Ennio rivive in questo romanzo alcune sensazioni provate qualche anno prima durante un suo travagliato viaggio nel Corno d’Africa. Darcy ha pure fatto tesoro delle sue esperienze maturate nella sua carriera di studioso delle popolazioni amazzoniche. Entrambi rievocano gli attimi vissuti, falsificandoli, rendendoli letterari e ironici, grotteschi e fantasiosi. La differenza tra i due marpioni è grande, poiché Ennio trasmette al lettore un’insana disperazione, per quanto giustificata. Darcy invece comunica la sua emozione, ricorrendo ad un’irrispettosa, ma sempre in fondo benevola, ironia. Ambedue i protagonisti hanno il grado di tenente. Sia l’uno che l’altro sono fondamentalmente vili. L’italiano non sceglie ed è ciò che è per destino: gli capita di recitare la parte di se stesso non potendo rappresentare il fato altrui. Il mezzosangue brasiliano non sceglie mai quasi nulla, almeno fino a questo punto (pagina 128), ma è sé stesso perché, essendo in quel frangente solo, non esiste un “altro” a cui potersi paragonare. Enrico è un infame assassino, che pensa solo a se stesso. Pitum è quasi una specie (contraddittoria) d’aspirante vittima. Il cognome di Pitum è Carvalhal, ma, a pagina 121, egli assume, per dileggio altrui, il soprannome di Orelhao (Orecchione), perché è sempre attento a tutto quanto gli è attorno. Il primo è un bianco che guarda con sospetto un mondo di neri, cercando di sfuggire alla loro interferenza. Il secondo è un nero che è guardato con curiosità da gente più chiara, da cui cerca di scappare perché teme d’essere divorato. L’europeo girovaga in una landa sconvolta da un conflitto armato i cui effetti sono ovunque evidenti. L’afro-americano viene sballottato da un punto all’altro di una terra, la cui guerra è così misteriosa che, nell’immediato, non si nota affatto. La differenza maggiore è che il caro Silvestri è un io narrante estremamente libero che dice e nega tutto quello che gli viene in mente. Orelhao è un io narrante descritto e citato da un altro io narrante, che nessun altro è se non Darcy.
All’improvviso, un quesito terribile e non so bene quanto spontaneo! Il protagonista si chiama Pitum e “pit” in reggiano vuol dire tacchino, simile al piemontese “pitto”, cioè dipinto. In inglese, chissà perché, si dice “turkey”, in francese “turquie”, in portoghese “turquia”… in spagnolo “pavo”, mentre quello “real” è il pavone!, in rumeno “turcia” e “pavone” è ancora “păun”, ma la cosa non mi consola; in italiano, appunto, si dice “tacchino”, forse dal francese “tahe” cioè tinto… chissà… forse il mistero è quasi risolto… forse… ma… non ricordo più quale fosse l’arcano…! ah… ecco!… può essere che il tacchino è dipinto di color turchino?! In effetti però Pitum, con il suo florido, spesso nudo e depilato pene, pare proprio un gran bel e miserando “pito”!
Beh… buona notte!
Domani ci ripenserò.
‘Sto Pitum è l’equivalente adulto e maschile di Alice nel Paese delle Meraviglie Amazzoniche (a nord o a sud del Grande Fiume? Bella domanda!). Lo stupore è identico, ma quel che fa qui la differenza è il perenne timore e tremore del protagonista, sempre in ansia per la sua sopravvivenza. Alice era in una svagata e divertente vacanza, Pitum vivacchia in un pietoso ma ameno stato di detenzione, in perenne rischio di macellazione. E ne è consapevole!
Ancor di più il pensiero corre al Barone di Munchhausen, con la differenza è che quest’ultimo narra le sue gesta, diciamo così, a posteriori, col sedere freddo. Pitum, invece, soffre in diretta e lo dà a vedere senza ritegno. Quale sia la causa della sua instabilità non mi è dato sapere. Quel che conta è la disamina, da parte del narratore, del processo terapeutico intrapreso dal nostro eroe. Infatti Pitum è come se fosse ricoverato nella più grande delle cliniche umane, l’Amazzonia, dove si augura di guarire dal suo malessere, dalla sua sindrome di Munchhausen, che non è mera ipocondria, ma desiderio di attenzione e ansioso interesse per l’altrui reazione al proprio Io.
Innumerevoli, intriganti e a volte francamente spassose le battute e le situazioni narrate da Ribeiro (ad esempio alle pagine 22-23-24-29-30-35(strana questa faccenda della depilazione!)-39-41-42(la faccenda delle donne once-in life-fucked ricorda un’usanza bengalese, per cui, una volta nella vita, la pia donna doveva donare al santo il proprio meretricio)-47(ma sì: ogni uomo in fondo è il mediocre rappresentante di una specie intermedia!)-51(magico quel gineceo che rifugge l’inutile chiacchiera, ponendo la mano sulla bocca del maschio copulante!)-86-87-91-92-107-122-123 (qui si dice una cosa che forse citerò più tardi, finita la lettura)-124-125 (per noi “civili” non bastano le singole informazioni, quel che conta è la capacità d’organizzazione analitica)-129(la guerra resta improbabile, almeno fino a che non ti cade in testa una bomba al napalm)-139-140(gli indios sono come i bambini, possono solo crescere, oppure morire)-141(ogni scrittura e lettura, per come la rigiri, finirà per sembrarti null’altro che una burla infantile: “perché tu mi dici poeta, io non sono… io sono…etc etc…”)-159(sì, una buona letteratura è non solo trama, ma anche docenza)-160-161-183-185-202(sostituire i dialetti tribali e nazionali con un’unica lingua?!: questo è l’eterno problema, irrisolvibile al momento)-214(cito:”Per disgrazia avvenne l’inevitabile”; quindi, per fortuna può accadere persino l’utopico!)-222(consumo della carne vecchia da parte dei giovani, lo dicono anche a Pixuntum: “quannu su muortu tinni fai nu tianu”, te ne fai di me un tegame)-232(riformare il mondo è a costo zero, per il primo principio della termodinamica, ma quanta fatica costa ogni volta!). A tutto questo si può accedere soltanto di persona, e non in gruppo, e occorre leggere il libro; che fu il saggio consiglio che Kerouac mi diede quarant’anni fa, dopo che m’ebbe accennato alle ergonomiche teorie di Reich: lo presi in parola e lessi sette volumetti dell’ormai negletto Wilhelm).
Torno a quanto promesso a circa metà scritto.
Padre Aldo Bergamschi, di cui non ho ancora finito di rosicchiare i bei tomi, m’insegnò l’alternativa all’U-Topos, il Nessun Luogo: l’Eu-Topos, il Bel Luogo. Ma non è bello quel che è bello, bensì quel che piace. L’Utopico per Darcy, non lo dev’esser per forza per altri, e viceversa. Non esiste nemmeno la distopia o cacotopia assoluta. Quando Einstein disse che tutto è relativo, affermò una banalità fino ad allora sfuggita ai più: quel che cambia è il punto di vista, e poiché il mondo è pieno di osservatori, esso varia a seconda di ognuno di loro. Bohr decretò che il mondo esiste solo allorché viene attestato. Se ci si pensa un attimo, le due teorie, che paiono opposte, sono altamente integrabili fa loro.
Cosa disse Darcy, perché lo pronunciò sicuramente ad alta voce, prima di scriverlo a pagina 123?!: “…essendo ogni cosa possibile, simultaneamente, in maniera tanto diversa, in realtà non c’è niente di vero, né le parole hanno alcuna importanza. Proprio così, perché questa è una fiaba…”
Le parole non sono mai definitive, e le si può pure scolpire nella roccia, ma l’entropia prevede che qualsiasi crostone di roccia finirà per ridursi in polvere, compreso l’immenso Monte Logan!). Ed anche le lettere lo sono: “al mare io m’ispiro con fantasia”. Mi sposai ad Amalfi, unendo colà il nome mio a quello di mia moglie. E i nostri destini saranno per sempre intrecciati, fino a che qualche accidente non intervenga a sciogliere quel groppo.
Questa è la Mia Utopia: leggere per poi scrivere, ma anche scrivere e rileggere infinite volte. E se qualcuno mi si accoda, anche soltanto per un breve istante, il fenomeno s’arricchirà di un nuovo ed essenziale elemento. E il tutto riscalderà in eterno il nostro microscopico cosmo!
Ma tutto questo non è che una brevissima fiaba infinita… La mia!
La nostra!