“17 Encores” di Daniele Bogon: al passo coi tempi
Un album evocativo ed un progetto ambizioso per Daniele Bogon, musicista padovano già insieme a The White Mega Giant e attivo in precedenza con il nome di Alley.

“17 Encores” è un disco di ambient raffinata e realizzata con precisione a dire poco chirurgica, minuziosa nella cura tanto nei dettagli quanto nella ricerca sonora, senza fermarsi di fronte quei preset standardizzati forniti con i principali software in circolazione. Sarebbe troppo scontato e questo, è un ulteriore punto di forza.
Il genere richiede un grande controllo ed una particolare capacità di creare dinamiche che crescano e siano varie, pur mantenendo la continuità tipica dell’ambient e della musica da film, o soundtrack music che dir si voglia.
Bogon dimostra di essere al passo coi tempi e di conoscere molto bene le proposte contemporanee di nomi come Ben Frost o ancora certi momenti degni dei Sigur Ros…
Sono musiche che racchiudono suggestioni di paesaggi polari in cui il suono sembra riprodurre fedelmente il rumore di ghiacciai che lentamente si disgregano e viaggiano alla deriva; quei tappeti sonori che riprendono i rumori ed i movimenti del vento provocando volontariamente disturbo sui microfoni.
Queste sono solo alcune delle sensazioni evocate dalle 15 tracce di questo disco, realizzate in completa solitudine con l’eccezione di un remix ad opera di Push Against New Fakes (un progetto italiano di musica elettronica), unica collaborazione esterna per questo lavoro.
Chi ha familiarità con il genere riconoscerà che questo è il suono di controller più che di tastiere, di bit che si degradano, quasi ad evocare il senso di vuoto lasciato dalla perdita dei dati, e di memoria.

Una malinconia digitale, inframmezzata solo in alcuni momenti da inserti pianistici minimali, secondo la lezione del migliore Craig Armstrong, in episodi come “Batman Is Bruce Wayne” o “Piano Song #177”, che sembrano realizzate con uno sguardo ad Hollywood e alle ultime tendenze nell’ambito delle colonne sonore.
C’è spazio anche per suoni e rumori provenienti da “field recordings” (termine usato fin dagli anni ‘30 del secolo scorso, per qualsiasi registrazione sonora prodotta al di fuori di uno studio di registrazione) nei brani della serie “Airport”.
Si tratta di inserti ben riusciti e, questa scelta sonora, contribuisce a rendere varia la proposta di Daniele Bogon che nell’intento del suo essere sperimentale non risulta ostico e non cade nella banalità del già sentito.
Written by Luca Dainese
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