Life After Death: l’incontro con Alvise Badoer, ambasciatore di Venezia presso la Sublime Porta #5

“Giungemmo a una città di bellezza inenarrabile. Le mura erano costruite di dodici filari e ciascuno era di una diversa pietra preziosa; le porte erano d’oro e d’argento. Entro le mura trovammo dorato il terreno, dorate le case, dorate le ville. La città era piena d’una luce ignota e d’un soave profumo, ma nell’attraversarla non incontrammo una sola persona o animale o volatile.” – Dal manoscritto di Cosma I, vescovo di Costantinopoli nel X secolo

Venezia – ingresso arsenale 1500

Ripartito nella notte dalla laguna di Venezia senza aver lasciato traccia grazie a Vettore Fausto e Cristoforo da Canal del mio passaggio in Lazzaretto, con Dragut ho fatto vela verso la Porta d’Oriente: Costantinopoli, che, dopo la presa della città da parte degli ottomani nel 1453, ora si chiama Istanbul.

Appena uscito dall’Adriatico, l’incontro con una galea pontificia, mi permette di scoprire che la flotta di Dragut ha preso ancora maggior potere nel Mediterraneo.

Barbarossa si è ritirato, lasciando il testimone a Dragut, che ha appena ricevuto dai suoi fedelissimi l’appellativo di “Spada Vendicatrice dell’Islam”. Si è impadronito dell’isola di Gerbe, tra la Tunisia e la Sirte, e dopo aver sferrato un assalto all’isola di Gozo con 18 navi, si è impadronito di una nave carica di seta e merci preziose proveniente da Zante, poi di un galeone dell’Ordine di Malta, proveniente dalla Spagna, con a bordo 70000 corone destinate al pagamento dei lavori per rafforzare Tripoli, al momento controllata dai Cavalieri dell’Ordine.

Il viaggio prosegue attorno al Peloponneso, e verso Settentrione nell’Egeo. Poco prima di accedere nello Stretto dei Dardanelli, imbarco il mio pilota e contatto ottomano, che mi guiderà sino al Corno d’Oro, nel cuore di Istanbul.

Agli inizi del regno di Solimano Istanbul contava 400.000 abitanti, ma ora, nel 1543, questi sono quasi raddoppiati, e in città vivono oltre 700.000 abitanti. In Europa occidentale nessuna città raggiunge la stessa popolazione, Londra ne conta 120.000 e Parigi circa 40.000. La città è stata ingrandita da un afflusso ininterrotto di popolazioni che vi si insediano sia volontariamente sia perché portate dal sultano che sceglie nei territori di nuova conquista i migliori operai, artigiani e studiosi per abbellire la propria capitale.

Sotto i sultani ottomani, Costantinopoli, ora Istanbul, ha ritrovato un nuovo periodo di splendore, diventando sede del califfato nel 1517, ma mantenendo la sede del Patriarcato greco-ortodosso nonostante la conversione della Basilica di Santa Sofia in moschea. Il carattere cosmopolita che l’ha caratterizzata nei secoli precedenti è rimasto invariato.

Sfilando davanti alla città col Dragut, mi appaiono davanti Santa Sofia, il Palazzo Topkapi e i lavori per la costruzione della Moschea Suleymaniye, la più grande moschea di Istanbul.  Il mio pilota mi indica anche complessi comprendenti ospedali, mense per i poveri e scuole coraniche. Questi complessi sono amministrati da fondazioni religiose che, come accade in Europa, ricavano il denaro necessario al loro funzionamento da rendite fondiarie e immobiliari.

Avvicinandoci poi alle banchine del porto, noto che la città è dotata di enormi strutture per il commercio: enormi magazzini, il Gran Bazaar e il Bazar Egiziano, e comprendo il significato dell’appellativo di “porta d’Oriente”, crocevia dei traffici fra Europa e Asia.

Costantinopoli – 1500 circa

Ormeggiato il Dragut, registrato l’ormeggio presso lo scrivano, ed espletati tutti i dazi, mi inoltro nei vicoli di Galata, dove chiedo informazioni sull’indirizzo che mi ha indicato Vettore Fausto: “εκκλησια αγιος φωκα (Ekklisia Agios Phoca)” parrocchia di San Foca. Mi ritrovo davanti a una piccola porta, con sopra un timpano in pietra, all’interno del quale osservo la raffigurazione del santo di origine greca: sebbene l’iconografia ufficiale lo ritragga con in mano la palma del martirio e numerosi serpenti avvinghiati attorno alle braccia, in questo caso San Foca è invece raffigurato (come nella basilica di San Marco a Venezia) accostato ad un timone, il simbolo emblematico della nave ma anche metafora della saldezza della rotta nella fede.

Per tutto il viaggio mi son domandato il perché di questo strano indirizzo. San Foca, infatti è il patrono dei giardinieri, dell’antica arte dei mastri d’ascia e calafati e di coloro che son stati morsi dalle serpi.

Busso. Da uno spiraglio della porta, due occhi silenziosi mi scrutano, e sicuro di essere in ambito più veneziano che ottomano, decido di rompere il ghiaccio.

C.F.: Salve buon uomo. Sono il capitano Claudio Fadda. Porto una missiva da Venezia per messer Fausto.

La porta si apre su una piccola corte.

Sacrestano: Entrate Capitano. Siate benvenuto nella nostra parrocchia. Messer Fausto sarà subito da voi.

Pitturato su assi di legno, chiaramente di recupero navale, campeggia un editto del Senato veneziano del 13 luglio 1487: “Sempre la maistranza di questa terra, zoè marangoni e calafadi, è stata in ogni tempo più apreciata et acceptata sulle galie et navilii nostri, perché in ogni bisogno de qualche sinistro dicta sorta de homeni sono più al proposito et necessarii che alguna qualità de homeni”.

È ormai evidente che questa parrocchia opera come ente di mutuo soccorso per le famiglie degli arsenalotti che ancora vivono a Costantinopoli. Compare finalmente un uomo, ma niente mi fa supporre che sia un fratello di sangue di Vettor Fausto. Riconosco in lui l’ambasciatore veneziano a Costantinopoli, Alvise Badoer, che in questi giorni è impegnato in una importante trattativa di pace tra la Repubblica di Venezia e l’Impero Turco.

Alvise Badoer: Benvenuto a Istanbul, Capitano. Il mio nome è Alvise Badoer. Prego, accomodatevi nei miei alloggi.

Fingo di non essere sconcertato dalla sostituzione di persona, e porgo comunque la missiva.

C.F.: Messere, sono lieto di conoscervi, reco per Voi una missiva da Vettor Fausto, ma suppongo che la “fratellanza” non sia di sangue.

Alvise Badoer: Vi sono grato, Capitano. Come avete bene inteso, mi trovo a Costantinopoli sotto falsa identità, e Fausto è per me più un “confratello”. A questo punto potete immaginare cosa contenga il plico.

C.F.: Vi confesso, messere, che pur non dubitando della fedeltà di Vettor Fausto alla Repubblica, la segretezza con cui sono entrato e uscito dalla Laguna, e questa missiva che vi reco, mi hanno non poco allarmato.

Alvise Badoer: È stata sicuramente una precauzione voluta da Cristoforo da Canal, per sviare le spie francesi; ma non dovete temere, comandante, nessuno trama contro la Serenissima, tutt’altro. Lasciate che vi illustri la delicatissima situazione che stiamo attraversando. Messer Fausto vi avrà spiegato come le lunghe trattative col Sultano, siano state rese vane dai due segretari della Cancelleria, Costantino e Nicolò Cavazza, complici di Agostino Abondio e Giovanni Francesco Valier, assoldati dall’ambasciatore francese a Venezia Guglielmo Pellicier. 

C.F.: Messer Fausto mi ha accennato del fatto, ma vi prego, narratemi di questa spinosa vicenda!

Costantinopoli – Istanbul

Alvise Badoer: Ebbene Capitano, Costantino e Nicolò Cavazza, segretari del Consiglio dei Dieci e del Senato, e altri complici, avevano venduto all’ambasciatore del re di Francia a Venezia le copie delle commissioni del Senato e del Consiglio dei Dieci, che, per il tramite dell’ambasciatore francese a Costantinopoli, erano state trasmesse successivamente al sultano. La commissione del Senato mi aveva autorizzato ad offrire ai Turchi, in cambio delle città di Nauplia e Malvasia, da questi reclamate, una pensione annua da 4000 fino a 8000 zecchini, e inoltre, se fosse stato necessario, una indennità di 300.000 ducati, da pagare nel più lungo tempo possibile. Potevo giungere alla cessione delle isole di Tine e Nasso ma solo per ottenere la restituzione delle isole di Paro, Nanfio, Stampalia e Amorgo, infeudate a patrizi veneziani e occupate dai Turchi durante la guerra, nonché l’isola di Scarpanto, che si era ribellata per intelligenza col governatore di Rodi. La mia strategia prevedeva inoltre di offrire ai pascià, per ingraziarceli, donativi fino a 50.000 ducati e al Barbarossa da 25 a 30.000 ducati.

C.F.: Una catastrofe, messere. Immagino che i Turchi, sicuri di poter ottenere il massimo delle loro richieste, ed essendo a conoscenza delle istruzioni segrete dell’ambasciatore veneziano, si siano rivelati intransigenti.

Alvise Badoer: Così è, Capitano. Come può leggere anche lei nelle istruzioni che ho ricevuto dal Senato per Vostra mano, ho ottenuto la possibilità di offrire al Sultano un’indennità di 100.000 zecchini, offerta che posso aumentare progressivamente fino a 350.000 zecchini.

C.F.: Una somma considerevole! Soprattutto ora che il Barbarossa si è ritirato, e Dragut, che ne ha preso il posto preme per la sua scalata al potere. Si preannunciano tempi duri per la navigazione nel Mare Nostrum, e temo, anche nei possedimenti Veneziani dell’Adriatico.

Alvise Badoer: Siete bene informato, Capitano.

C.F.: Nel Regno di Sicilia non si parla d’altro, messere. Ho incrociato nei pressi di Zante una galea pontificia, che mi ha informato dei fatti. C’è molta apprensione, e si attende la prossima mossa di Venezia.

Alvise Badoer: Capitano, non vi nascondo che Venezia verte in questo momento in grave carestia. Il Senato con questo comunicato mi da mandato di ottenere la libertà di esportare frumento dai porti dell’impero turco, dai quali dipende l’approvvigionamento di Venezia. Da qui deriva ogni sforzo della Repubblica di ottenere la pace con il Sultano.  Questa nuova commissione, deliberata in gran segreto dal Consiglio dei Dieci e dalla Giunta, mi autorizza in caso estremo a cedere una delle due città di Nauplia e Malvasia; e, qualora la conclusione della pace “fusse del tutto disperata”, ambedue le città. Questa, purtroppo, è la reale situazione della Repubblica di Venezia.

C.F.: Dunque questo è ciò che proporrete al Sultano e ai Pascià?

Alvise Badoer: Ahimè sì, Capitano. Vi ho narrato tutto.

C.F.: Siete a conoscenza di chi sarà presente durante le trattative?

Alvise Badoer: Un nostro informatore presso la Corte ci ha informati: saranno presenti oltre al Sultano, il suo consigliere fidatissimo, il Gran Visir Pargali Ibrahim Pascià, l’ambasciatore di Francia, Mustafà Pascià, Piali Pascià, Dragut Bey, e… Voi, Capitano.

C.F.: Perdonatemi messere, ma temo di non comprendere quale possa essere il mio ruolo in tali trattative.

Alvise Badoer: Suvvia, Capitano. Volete forse darmi a bere che avreste corso il rischio di venire sino a Costantinopoli solo per portarmi questi incartamenti? State correndo per il Mediterraneo da tempo, non creda che l’ambasciatore di Francia non mi abbia riportato della Vostra visita a Messer Giannettino e al Doria. Da Genova siete poi corso fino a Venezia, e si vocifera che abbiate interpellato addirittura Dragut Rais. Le informazioni che più vi premono non sono quelle che vi ho dato, ma saranno quelle che scaturiranno da questo incontro. Sono quelle che dovrete riportare.

C.F.: Ebbene messere, a questo punto debbo domandarvi che garanzie mi offrite.

Alvise Badoer: Vi presenterò a corte come mio assistente personale e segretario. Di modo che possiate prender nota di tutto. Ho pronto per voi un lasciapassare diplomatico che vi garantirà l’immunità e vi consentirà di lasciare il porto senza alcun pericolo. Salperete con una missiva che recherete a Cristoforo da Canal, che vi attende a Corfù. Da lì sarete libero di far rotta per Melita.

C.F.: Mi devo complimentare con voi, messere. Avete organizzato ogni cosa nel dettaglio.

Palazzo Topkapi

Alvise Badoer: Mi auguro che possa giovare al vostro lavoro di storico, Capitano. Ma ora dobbiamo avviarci verso il Palazzo Topkapi, dove ci attende il Sultano.

 

Ci incamminiamo verso il palazzo Topkapi. Presto avrò le informazioni di cui vado cercando, e potrò presentare il mio rapporto.

 

“Alvise Badoer, uomo di rara e maravigliosa eloquenza, incaricato dal Senato di trattar la pace col Turco, segretamente dal Consiglio di Dieci, il quale tuttavia riteneva la cura segreta della guerra, senza comunicarla al Senato, ebbe commissione di cedere assolutamente, quando altrimenti non si potesse, quelle due piazze già difficili allora a conservarsi, come poste da ogni lato di mezzo ai Turchi” Cardinale Agostino Valerio – Dell’utilità che si può ritrarre dalle cose operate dai veneziani, Padova, 1787

 

Written by Claudio Fadda

 

Info

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