“Diario Intimo” di Henri-Frédéric Amiel: la facoltà di conoscere ‒ febbraio 1869
“Il positivismo che non vuole proporre nulla non è filosofia, ma l’aspettativa di una filosofia. Rappresenta soltanto un’astensione, una privazione, una negazione, una pazienza.” ‒ Henri-Frédéric Amiel
Nel mese di febbraio ma nel 1869 il filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel (Ginevra, 27 settembre 1821 – Ginevra, 11 maggio 1881) scriveva le sue quotidiane riflessioni nel Diario Intimo.
Amiel non è celebre, non ha avuto la fortuna di altri filosofi e poeti dell’800, la sua non è stata una vita “di corte”, di società ma una vera e propria esistenza donata al Pensiero.
Eppure, malgrado l’atteggiamento da eremita, con il suo Diario Intimo ha mostrato tutte le piaghe della società a lui contemporanea e che si sono moltiplicate nella nostra attuale.
In 16.840 pagine il Journal Intime disegna perfettamente ciò che è accaduto in Europa in 150 anni. Alla sua morte furono pubblicate alcune pagine scelte in “Fragments d’un Journal intime” decretate come fenomeno letterario molto interessante, e successivamente nel 1923 il filologo e docente svizzero Bernard Bouvier pubblica una selezione più ampia.
Henri-Frédéric Amiel è tagliente, non accomoda alcun partito, alcuna fazione, il suo scrivere è portare alla luce, è trasmettere il canto, è ragionamento continuo che non ha pretesa di pubblicazione editoriale né di ammirazione da parte degli altri intellettuali contemporanei.
E forse è per questi semplici motivi che il Journal Intime è vero e si presenta come il dialogo di un uomo con l’anima.
Una rarità nel mondo post illuminista che volgeva l’interesse verso la velocità e la produzione, verso la mercificazione dell’essere umano, sulle basi di quello che noi abbiamo chiamato capitalismo.
Abbiamo deciso di selezionare alcuni brani di questo grande filosofo augurandoci di potar ai lettori di oggi qualche riflessione interessante dando la possibilità di curiosare all’interno di un libro diventato pressoché introvabile.
Siamo partiti dal gennaio del 1866 con una interessante pagina di diario nella quale il nostro filosofo esortava se stesso ed il possibile lettore alla contemplazione.
Ed eccoci al 3 febbraio del 1869, Amiel ragionava sul positivismo, sull’ateismo, sulla facoltà di conoscere, sulla scienza inesatta che ha la pretesa di sapere constatando solo i fenomeni a posteriori come se l’uomo, nella caverna platonica, potesse attraverso le ombre ipotizzare la realtà.
3 febbraio 1869 – sulla facoltà di conoscere
“… Per accettare la storia ci vuole una fede. Per lo scetticismo lo spettacolo dei destini umani è di un’amarezza senza rimedio e di una malinconia senza fondo, sempre nell’ipotesi che lo scettico abbia un cuore, sia cioè non un puro curioso, ma un uomo.
Il positivismo, prescrivendo la nozione di fine, uccide l’attività, poiché l’attività senza fine, senza speranza, senza direzione non è che una follia.
Che cosa succede nella pratica? Che una società cambia solo l’oggetto della sua fede e, per esempio, quando non crede più nell’altra vita, vuole divertirsi in questa, e quando ha detronizzato il Dio-spirito gli sostituisce il culto del Vitello d’oro. L’ateismo non è che un guanciale ad uso di poche persone. Una società atea, a tutte le età e in entrambi i sessi, si concepisce difficilmente, finché l’istinto della felicità e forse il bisogno della giustizia assoluta sussisteranno nell’anima umana.
La fede superiore e generale di una società è la sua religione. Per l’epoca attuale questa religione non è più quella delle Chiese dominanti. La religione del Progresso, forse quella della Natura, o piuttosto della Scienza e delle leggi astratte sta sostituendo nelle classi colte la religione del Dio personale, che si rivela ed interviene con l’azione soprannaturale.
Il miracolo è chiamato a dissolversi. Il culto degli eroi, cioè delle anime straordinarie divenute i fari dell’umanità, preparerà al culto dello Spirito, che lavora l’universo e fa sbocciare i soli, i fiori egli altri pensieri.
Il teismo universale assomiglierà molto al panenteismo di Krause e al regno dello Spirito Santo dei mistici cristiani.
Crisippo, Aristotele e Platone non hanno annunciato altro. Il mondo è fatto per il bene; l’idea morale è la luce della natura intera e l’inseguimento del bene perfetto è il motore dell’universo.
La concezione epicurea e la concezione stoica, il mondo del caso, della materia e della forza da una parte, il mondo dell’ordine, del pensiero, dello spirito dall’altra: sono le due filosofie antagoniste.
Il positivismo che non vuole proporre nulla non è filosofia, ma l’aspettativa di una filosofia. Rappresenta soltanto un’astensione, una privazione, una negazione, una pazienza.
“Contentiamoci di guardare i fenomeni e di scoprire le leggi; le cause, i fini, i principi ci sono inaccessibili. Constatiamo senza comprendere. Trattiamo sul serio le apparenze e, ombre noi stessi, giochiamo con le ombre. Tutto è superficie.”
Questa saggezza è digiuno forzato, che s’avvicina alla scienza solo per un’analisi imperfetta della facoltà di conoscere. Platone ha dimostrato già che se noi non conosciamo che le apparenze, non conosciamo nulla, e che la scienza delle apparenze non è una scienza che a condizione di non essere più un’apparenza.” ‒ Henri-Frédéric Amiel
Bibliografia
“Frammenti di un giornale intimo” di Henri-Frédéric Amiel (Unione Tipografico – Editrice Torinese, 1967, a cura di C. Baseggio)
Info
Leggi altre pagine dal Diario intimo
14 pensieri su ““Diario Intimo” di Henri-Frédéric Amiel: la facoltà di conoscere ‒ febbraio 1869”