“Marco Aurelio. L’imperatore che scoprì la saggezza” di Pierre Grimal: la filosofia ed il miglioramento della condizione delle donne
“Fa che il dio che dimora in te sia la guida di un vero uomo, maturo e rispettabile, di un cittadino, di un Romano, di un magistrato, fermo al suo posto, pronto a lasciare la vita come chi non aspetta che il segnale della ritirata, senza giuramento né testimoni, sereno nell’intimo e tale da non aver bisogno né d’aiuto esterno né della tranquillità che possono procurare gli altri.” ‒ Marco Aurelio, Pensieri III 5,2

Chi era Marco Aurelio? L’imperatore conosciuto come l’imperatore filosofo.
Dove finiva Marco e dove iniziava l’uomo di Stato?
Lui stesso ha vergato, di suo pugno, la maggior parte di quello che sappiamo di lui, nei Pensieri o Colloqui con se stesso. Conosciamo parte della sua corrispondenza e nella Historia Augusta abbiamo un ritratto del regno dell’imperatore.
Pierre Grimal ci tratteggia, attraverso un’analisi attenta e precisa, un affresco che lascia comunque la libertà al lettore di trarre la sua conclusione sull’Uomo e sull’imperatore. “Marco Aurelio. L’imperatore che scoprì la saggezza” è edito da Garzanti per la prima volta nel 1993 e riedito, per noi, nel 2018.
L’autore, Pierre Grimal, non avrebbe bisogno di alcuna presentazione ma mi intrattengo ugualmente nel tratteggiarne l’importante carriera.
Nasce a Parigi nel 1912 e nella stessa città ci lascia nel 1996. Fu storico e latinista, si appassionò alla cultura e alla civiltà romana tanto da pubblicare diverse opere e da battersi per la conservazione e la promozione della cultura classica non solo tra i suoi colleghi ma anche tra il grande pubblico.
Fu ammesso “all’École normale supérieure de rue de l’Ulm” nel 1933 e fu terzo classificato nel concorso per “l’agrégation” in lettere classiche nel 1935. Tra il 1935 e il 1937 fu membro dell’École Francaise de Rome e in seguito si diede all’insrgnamento del latino nel Liceo della città di Rennes. In seguito insegnò, all’università di Caen, di Bordoeaux e alla Sorbona per trent’anni, Lingua e civiltà latina.
Nella sua lunga carriera di studioso pubblicò molti studi di civiltà romana, tra cui numerosi libri della collana “Que sais-je ?” (Presse universitaire de France) e si impegnò nella traduzione di autori latini tra cui: Cicerone, Seneca, Tacito, Plauto e Terenzio.
Dopo il suo pensionamento, pubblicò alcune biografie, tra cui questa su Marco Aurelio, e scrisse alcune fiction romanzate, di carattere storico, destinate al grande pubblico e alla fruizione della cultura da parte di coloro non “addetti ai lavori”.
Negli ultimi anni della sua vita, argomento attuale ancor oggi, si batté per la salvaguardia dell’insegnamento umanistico nelle scuole secondarie.
Dunque un uomo eccezionale che ci narra di un altro uomo di spessore.
Marco Aurelio, alla nascita Marco Annio Catilio Severo, nacque nell’aprile del 121 d.C. a Roma. Suo padre, Marco Annio Vero, muore quando suo figlio è molto piccolo.
La Madre Domizia Lucilla sarà sempre una figura molto importante nella vita dell’imperatore. Anche quando Marco andò ad abitare a casa del bisnonno paterno, Domizia Lucilla rimase una delle figure di riferimento dell’uomo seduto sul trono.
Ne “I pensieri” Marco Aurelio ringrazia suo padre per avergli insegnato modestia e virilità, anche se non è certo che se ne ricordasse, ma è la madre che ringrazia implicitamente ed esplicitamente per essergli stata vicina anche quando venne adottato all’interno della famiglia imperiale per volere di Adriano.
Marco, visse i suoi anni dell’infanzia sul Celio, luogo in cui sorgevano molte ville patrizie, nella casa di suo nonno paterno. Quest’ultimo si prodigò a procurargli gli insegnanti che gli avrebbero permesso di iniziare Marco alla vita pubblica e politica.
Tra i suoi numerosi insegnanti, Marco conoscerà Frontone che rimarrà, oltre che suo maestro, anche suo amico.
Fin da giovane, il futuro Marco Aurelio, trovava più affini, al suo modo di essere e di pensare, gli autori più antichi come Catone il Censore. Di indole riflessiva, il ragazzo si avvicinò alla scuola del Portico e, seguendo i precetti dello stoicismo, forma la sua psiche e modella la personalità di colui che dominerà l’Urbe.
Marco apprende, fin da ragazzino, che all’interno della sua anima esistono due fazioni. La prima è la sua parte greca: lingua a cui l’aveva iniziato sua madre e la famiglia materna, che per lui rappresenterà sempre la componente del Cuore; la seconda è la parte latina, quella dello statista, quella che avrà bisogno di comprendere la necessita dell’uso della razionalità per provvedere all’amministrazione dello Stato.
All’età di 17 anni, alla morte di Adriano, all’adozione del futuro Antonino Pio, Marco viene adottato ufficialmente ed entra nella famiglia imperiale, insieme a Lucio Vero, per volere dello stesso Adriano morente.
Il giovane Marco Aurelio, già avvezzo alla vita della macchina politica dell’Impero, viene costretto a rescindere la promessa di matrimonio che aveva stipulato, per volere di Adriano, con Ceionia Fabia. Si fidanzerà con la figlia di Antonino: Faustina minore.

La carriera di Marco subisce una veloce e forte impennata e inizia a partecipare attivamente, seppure in posizione defilata, al governo dell’imperatore che Marco loda e apprezza. Si applica con abnegazione e dovere senza mai mostrare nessun tipo di interesse verso la testa del governo e non è, come si crede, affatto accertata l’ipotesi secondo cui Marco, in questo periodo, abbia cercato il suicidio in seguito alle pressioni dovute al lavoro statale o per una malattia.
Il futuro imperatore disdegna le amicizie sorte per interesse e rimane legato, come Antonino gli aveva insegnato, ai suoi collaboratori più stretti. Compresa la persona di Erode Attico e anche quando questi verrà accusato dai suoi cittadini di prevaricazione delle tradizioni e denunciato per aver tentato di prendere il potere ad Atene; lo difende persino quando viene accusato di aver ucciso la moglie Regilla. A torto o a ragione, l’imperatore si mostrerà leale ad Erode e attento al possibile sovvertimento delle leggi dell’impero che una simile accusa avrebbe causato.
Marco è un uomo generoso, incline a cambiare idea nel qual caso gli si portassero opinioni discordanti al suo parere. È, inoltre molto religioso, anche se non sottomesso all’isteria suscitata dal vario clero, e si prodiga, ogni qual volta lo ritiene necessario, per far sì che Roma non perda le sue tradizioni e rimanga ad esse fedele, anche riportando antichi cerimoniali originari dell’epoca repubblicana.
Seguendo questo tipo di condotta morale, memore delle vite dei precedenti imperatori, cercherà di non essere mai come i Cesari precedenti.
Si impegnò per essere un servitore dello Stato e non un suo possessore. Roma ricordava fin troppo bene le follie di alcuni dei precedenti imperatori: Tiberio, Caligola, Nerone, per citarne alcuni.
Alla morte di Antonino, nel 161 d.C., Marco viene eletto imperatore. Gode di ottima salute anche se, per auto imposizione e per abnegazione totale al suo compito dorme molto poco. Lo stesso Frontone, più volte nella loro fitta corrispondenza, lo esorterà a dormire e a mangiare di più.
L’imperatore rimane fedele alla convinzione che, seppur non avendo desiderato il potere, la sua esistenza è stata forgiata per essere alla guida dell’impero:
“… consapevole com’è che la propria condotta è sempre stata conforme all’ordine universale, cioè ai disegni della provvidenza, non può credere all’eventualità di essere rovesciato da un ribelle.”
Marco Aurelio, però, non è solo nel governo: è a lui associato, infatti, Lucio Vero.
I due regnanti erano legati da affetto, i legami famigliari e anche l’amicizia del comune maestro Frontone. I due regnati erano altresì molto diversi per personalità e pensiero: al riflessivo e ponderato Marco si associa, facendogli da controcanto, l’allegro e gioviale Lucio.
Lucio aveva un talento naturale per la socialità ed era in grado di apprezzare le gioie della popolarità e dell’onore mentre Marco fu sempre molto frugale nel suo modo di vivere.
Il loro regno fu attraversato da guerre: quelle marcomanne, con l’annessa rivolta di Avidio Cassio, e quelle partiche. Marco Aurelio, seguendo la sua indole generosa ma non incline ad essere ingannato, si dimostrò, nei confronti delle popolazioni sottomesso, prodigo nel concedere ogni genere di favore e vantaggio, purché essi ne fossero degni.
Tutto questo era finalizzato alla romanizzazione, nella maniera più pacifica possibile, delle provincie più lontane.
Come il suo predecessore, desiderava che il suo regno fosse permeato dalla Concordia, concetto che ribadirà nelle emissioni monetarie al tempo in cui a Roma si vociferava che ci fossero delle discordie tra i due Cesari in merito alla guerra partica.
Marco e Lucio si adoperarono anche per migliorare il sistema legale ed amministrativo.
“Per violenza tu intendi solo il caso in cui vi siano stati dei feriti? Vi è violenza ogni volta che qualcuno non reclama per via giudiziaria quanto ritiene gli sia dovuto…”
L’imperatore intende non avvalorare i tentativi di abuso di autorità e le manovre intimidatorie.
Nel campo dell’indulgentia, oltre alle leggi per modificare lo statuto e la vita degli schiavi, riconoscendole come persone e non come oggetti, Marco Aurelio si prodiga anche per il miglioramento della condizione delle donne conferendo loro una posizione giuridica più forte.
Per esempio, in ambito di eredità veniva concesso alle donne di tramandare la propria eredità ai figli ed anche alle figlie anche se, gli uni o le altre, erano ancora soggetti alla tutela di tutori o consanguinei.
I diritti della madre vengono così ad essere imprescrittibili.

Il volere dell’imperatore non era quello di sovvertire le istituzioni ma quello di adattarle ad una società che mutava venendo, così, incontro alla stabilità dello Stato ed essere nella condizione di donare le migliori condizioni di vita possibili a ciascuno dei suoi membri.
In questo ambito, Marco Aurelio si mostrò del tutto fedele alla politica che fu iniziata da Nerva e portata avanti dai suoi predecessori.
Lucio Vero morì di peste nel 169 d.C. lasciando Marco solo al governo.
L’imperatore si trovò costretto ad iniziare le pratiche per l’avvicinamento di Commodo, suo figlio, all’amministrazione dell’Impero e ad affiancarlo nel governo.
In questa ottica Marco Aurelio scelse i suoi collaboratori: se gli fosse accaduto qualcosa che lo avesse condotto ad una morte improvvisa, Commodo avrebbe potuto, più facilmente, portare avanti la sua politica e i suoi progetti.
Peccato che la storia ci insegni che nessuno, di coloro che erano lì per aiutarlo ed indirizzarlo, fu in grado di fare nulla contro la volontà di Commodo.
Come accennato, grazie a quanto sappiamo dalla corrispondenza con Frontone, Marco Aurelio fu un uomo di buon cuore e affettuoso con i suoi collaboratori e con i suoi famigliari.
Questo non sta certo a significare che si lasciò tentare o guidare dai sentimentalismi. Anzi, non disdegnava, per il bene superiore e in favore del mantenimento del Volere Universale, di piegare il volere, degli altri e il proprio, in favore di un fine concreto e necessario.
Ebbe molti figli che egli amò, soprattutto le bambine, e il rapporto con Faustina, anche se non si può certo comprendere se fosse caratterizzato da un forte amore, è stato senza dubbio permeato da rispetto e concordia.
“Ripensa, per esempio, all’epoca di Vespasiano: vi troverai tutte le cose che capitano anche oggi: gente che si sposa, alleva figli, si ammala, muore, combatte, celebra feste, commercia, lavora al terra, adula, fa l’arrogante, sospetta, tende insidie, si augura la morte altrui, si lamenta del presente, ama, accumula ricchezze, aspira al consolato o a un regno. Eppure non è più nulla in nessun luogo tutta la loro vita” ‒ Pensieri. IV 32
L’imperatore, come ci possiamo immaginare, fu piagato dai dispiaceri e dal dolore causati dalla perdita dei suoi cari: Lucio, i suoi figli, sua madre, dalle fatiche del governo ma, nonostante tutto, in cuor suo, serbava la certezza che tutto questo si sarebbe perso nell’oblio e che, quindi, non ara necessario affliggersi.
Lo sappiamo bene, noi lettori, di questo affresco dipinto con minuziosità da Pierre Grimal, che le esistenze dei grandi uomini e delle grandi donne del passato rischiano di perdersi tra le spire del tempo. Se siamo fortunati, le fonti ci restituiranno la vita e la storia di costoro ma nessuno ci darà mai la conoscenza della loro anima.
L’imperatore Marco Aurelio muore a Sirmio nel 180 d.C. forse a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute o per zelo di coloro che volevano affrettare l’ascesa di Commodo.
Marco Aurelio, nonostante le avversità suscitate dalla necessita di governare Roma usando la massima attenzione e cercando di mantenerne l’equilibrio e l’identità, ebbe una vita tesa al migliorare il suo Essere interiore. Si prodigò a migliorare il suo spirito, ad essere l’uomo che ci si aspettava che fosse e quello che egli stesso desiderava essere.
Come ognuno di noi: in eterna convivenza tra tutte le parti che ci compongono e vogliono essere viste, amate e temute.
Il professor Grimal ci ha lasciato in eredità l’amore per la ricerca dell’umanità e del significato di queste grandi vite del passato. Prodighiamoci perché il suo desiderio di diffusione della cultura e il suo amore per la scintilla di vita che vive nella storia non muoia mai.
“Uomo, sei stato cittadino in questa grande città: che ti importa se per cinque anni o per cento? Quel che è secondo le leggi ha per ognuno pari valore. Che c’è di grave allora se dalla città ti espelle non un tiranno o un giudice ingiusto, ma la natura che ti ci aveva introdotto? (…) A stabilire che il dramma è completo infatti è chi allora fu responsabile della composizione, ora del dissolvimento; tu invece non sei responsabile né dell’una né dell’altro. Quindi parti sereno: chi ti congeda è sereno.” ‒ Historia Augusta. Marco Aurelio, 12.36
Written by Altea Gardini