“Mare nostrum” di Diego Romeo: storie migranti e medici volontari
“Osservai quegli uomini che, rassegnati, salivano ordinatamente sulla nave. Erano tutti africani e tutti poverissimi. Non possedevano nulla, se non una bustina con dentro dei documenti rovinati, un cellulare vecchissimo e un caricabatteria. La maggior parte di loro indossava magliette lise e strappate in più punti e dei calzoni lunghi e logori, mentre i più poveracci avevano solo un pantaloncino. All’inizio furono ammassati tutti sul ponte per una visita preliminare”.

A parlare è Giovanna Lorusso, protagonista del libro “Mare nostrum” di Diego Romeo, pubblicato per le Edizioni Ensemble.
Giovanna è un medico volontario imbarcata sulla nave militare “Vesuvio” in servizio sul Mediterraneo nell’ambito dell’operazione denominata Mare nostrum, con il compito di prestare soccorso ai migranti alla deriva e portarli in salvo sul territorio italiano.
È un libro che scalcia, colpisce come un pugno sullo stomaco, come uno schiaffo in faccia. Brucia e ci inchioda alle nostre responsabilità di occidentali benestanti, che troppo spesso non riusciamo a guardare al di là del nostro naso, che preferiamo voltare il viso dall’altra parte e ignorare.
Ma la storia che ci racconta Romeo in un volume che sebbene nella forma del romanzo trae spunto da fatti realmente accaduti, non ci permette di guardare altrove. E lo fa innanzitutto con la protagonista.
Una donna medico, già da tempo impegnata nel sociale e nel volontariato che a un certo punto della sua vita sente il bisogno di mettersi al servizio dei moltissimi disperati che affrontano la traversata del Mediterraneo per venire a cercare sulle nostre coste un futuro migliore.
Gli scenari che fin dal primo intervento in mare si paleseranno davanti agli occhi della dottoressa saranno quanto di meno umano si possa immaginare.
Carrette del mare stracolme all’inverosimile, decine e decine di persone costrette a viaggiare ammassati gli uni sugli altri, senza cibo, senza acqua, sdraiati su un lago di liquami, vomito, urina.
L’inferno sulla terra, nel quale la dottoressa sarà anche costretta a far nascere un bambino, nelle più precarie condizioni igienico-sanitarie.
“Sul pavimento c’era come un’unica pozzanghera di fluidi corporei di vario genere e, anche se ero protetta dalla mascherina e dal mentolo, l’odore si sentiva comunque molto forte. Il marinaio mi indicò un angolo della grande stanza (la stiva di una barca, ndr) dove intravidi una giovane donna, a terra tra i liquami, che si lamentava e si contorceva parecchio. … Accanto a lei c’erano ancora due cadaveri, che aspettavano di essere portati via dalla polizia scientifica. Era una situazione infernale, a raccontarla nessuno ci avrebbe mai creduto. Purtroppo, però, la realtà spesso è più atroce della fantasia e tutto quello che stavo vivendo in quel momento era più che vero”.
I giorni che la dottoressa volontaria trascorrerà sulla nave militare saranno per lei un percorso di formazione interiore, di riflessioni, di incontri e confronti.
Come l’emozionante conversazione che la Lorusso intrattiene con uno dei profughi, Aamir, siriano in fuga dalla guerra, di professione medico anche lui che si metterà a disposizione per offrire il suo aiuto al gruppo di medici già troppo provati e in affanno a fronteggiare l’enorme lavoro dei soccorsi.

Aamir le chiederà cosa porterebbe con sé se dovesse lasciare in fretta e furia la sua casa, il suo paese. “Guardai il medico aleppino un po’ smarrita. Quella domanda mi colse veramente impreparata. Non avevo mai pensato a questa eventualità, abituata alla mia vita pacifica” ed infatti la nostra vita comoda e pacifica non ci farebbe pensare ad un oggetto che invece diventa fondamentale quando si fugge: le scarpe.
Un oggetto che, come dice Aamir, può fare la differenza fra la vita e la morte.
“Noi siamo arrivati da Aleppo alla Libia prevalentemente a piedi” questioni apparentemente banali ma di una importanza enorme per chi vive situazioni straordinarie nelle quali nulla diventa banale e tutto invece è fondamentale.
La donna avrà modo altresì di conoscere più a fondo il mondo militare, da sempre e forse in maniera pregiudizievole etichettato come freddo e insensibile. Eppure l’abnegazione dei militari che si mettono al servizio dei profughi sarà per il medico una piacevole ed emozionante sorpresa.
“Vedere come uno dei battaglioni d’élite della Marina Militare italiana, addestrato per operazioni militari più difficili e pericolose, servisse diligentemente da mangiare pasti caldi ai profughi presenti sulla nave, sotto la guida attenta del loro maresciallo, fu veramente uno spettacolo degno di nota, che mi strappò anche qualche sorriso”.
Siamo di fronte a un libro che porta a riflettere in primis sulle profonde ingiustizie che vessano alcuni paesi tanto da spingere i propri abitanti ad abbandonarli e cercare altrove un futuro.
Ma ci porta anche a interrogarci su quali strade percorrere per far sì che l’accoglienza e l’inclusione siano i veri baluardi di una politica di integrazione, nella quale poter affermare che “ogni uomo è mio fratello”.
Written by Beatrice Tauro
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