Contest letterario gratuito di poesia e racconto breve Al tuo cuore con la poesia
“Che vanto nei hai fante/ A vincere tutte le battaglie/ Se non tocchi il cuore/ Della tua regina?/ […]” ‒ “Fante innamorato” da “Al tuo cuore con la poesia
Regolamento:

1. Il Contest letterario gratuito di poesia e racconto breve “Al tuo cuore con la poesia” è promosso dal web-magazine Oubliette Magazine e dall’autore Rosario Tomarchio. La partecipazione al contest letterario è riservata ai maggiori di 16 anni.
La partecipazione al Contest è gratuita.
Il tema prescelto è l’Amore in tutte le sue forme.
2. Articolato in 2 sezioni:
A. Poesia (limite 100 versi)
B. Racconto breve (limite 1000 parole)
3. Per la sezione A si partecipa inserendo la propria poesia sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con poesie edite ed inedite aventi come tematica l’amore.
Per la sezione B si partecipa inserendo il proprio racconto breve sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con racconti editi ed inediti aventi come tematica l’amore.
Le opere senza nome, cognome, e dichiarazione di accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate. Inoltre NON si partecipa via email ma nel modo sopra indicato.
Importante: cliccare su Non sono un robot, è un sistema Captcha che ci protegge dallo spam. Per convalidare la partecipazione dovrete anche voi cliccare sulla casella.
Ogni concorrente può partecipare ad entrambe le sezioni ma con una sola opera per sezione.
4. Premio:

N° 1 copia del libro “Al tuo cuore con la poesia”, di Rosario Tomarchio.
Saranno premiati i primi tre classificati della sezione A e della sezione B.
5. La scadenza per l’invio delle opere, come commento sotto questo stesso bando, è fissata per l’11 febbraio 2019 a mezzanotte.
6. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. La giuria è composta da:
Alessia Mocci (Editor in Chief)
Rosario Tomarchio (Poeta)
Rebecca Mais (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)
Katia Debora Melis (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)
Claudio Fadda (Archeologo, Storico e Collaboratore Oubliette)
Carolina Colombi (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)
Beatrice Tauro (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)
7. Il contest non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazione della privacy.
8. Si esortano i concorrenti per un invio sollecito senza attendere gli ultimi giorni utili, onde facilitare le operazioni di coordinamento. La collaborazione in tal senso sarà sentitamente apprezzata.
9. La segreteria è a disposizione per ogni informazione e delucidazione per email: oubliettemagazine@hotmail.it indicando nell’oggetto “Info Contest” (NON si partecipa via email ma direttamente sotto il bando), in alternativa all’email si può comunicare attraverso la pagina fan di Facebook:
https://www.facebook.com/OublietteMagazin
10. È possibile seguire l’andamento del Contest ricevendo via email tutte le notifiche con le nuove poesie e racconti brevi partecipanti al Contest Letterario; troverete nella sezione dei commenti la possibilità di farlo facilmente mettendo la spunta in “Avvisami via e-mail”.
11. La partecipazione al Contest implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali (legge 675/1996 e D.L. 196/2003). Il mancato rispetto delle norme sopra descritte comporta l’esclusione dal concorso.
Buona partecipazione ed in bocca alla giuria augurandoci che non crepi!
Il calore dell’inverno
Mani gelide, l’inverno il corpo fà tremante
Noi, il sogno avverato si è magicamente.
Giunti al crepuscolo ci stringiam teneramente
Non v’è stagione come l’inverno più fiorente
Per scaldarsi stretti in un corpo solamente
Per sentir l’amor che la mente appaga dolcemente
Accetto il regolamento e partecipo alla sezione A
Ti dedico
Ti dedico
sensi leggeri
riflessi
di lumi siderali,
tramonti rosa
infranti di nostalgia
-di certi tramonti
bisognerebbe essere in due
a meravigliarsi.
Ti dedico
ardori magici,
scogli profumati
rocce tinteggiate d’ambra
mare cobalto.
Ti dedico
vibrazioni,
vele gonfie
di vento
canoe fendenti
acque vellutate
tintinnii di conchiglie
-ne raccolgo
con l’avidità del cercatore d’oro
e lo stupore della bambina
Ti dedico
pensieri involati,
cascate di petali
bianco latte,
amaranto
in cielo
un baleno.
Ti dedico
hibiscus rosso,
svelato
in fioritura,
perle opalescenti
tenere foglie d’edera
rami d’orchidea
stille di nettare
spighe di grano,
in fasci
-pliche di carne
brividi
di corpo sacro.
Ti dedico
silenzi,
labbra intenerite
estasi
di parole mute,
sospese.
Ti dedico
rimanenze
di afferrati
leggeri sensi,
inscritti medicamentosi
custoditi
in canti d’anima.
Francesca Panarello
Dichiaro di accettare il regolamento
e di partecipare alla sezione A con la
poesia dal tiolo “Ti dedico” edita in Muraiola, Eretica Edizioni 2018
ANNA SCARPETTA – 08.01.2019 (sez. A)
INNO ALL’AMORE
Per te, amore, parola così dolce ed effimera
tutto si tenta, tutto si fa.
Per te, amore, tutto si dà, con il piacere di dare,
con sincero amore, fino a scaldarsi completamente
e poi fondersi, come un metallo pregiato,
sulla fucina ardente.
Per te, amore, io dedico questo candido inno
con grande affanno del cuore.
Ogni mio giorno di vita ho fatto di te il respiro vivente
a manciate di sogni, finiti e infiniti, coronando storie magnifiche,
sui vasti lidi di sponde, dei mari chiari e tranquilli.
Per te, amore, si va alla ricerca di strade e pionieri
per donare un cuore e mai più ritrovarlo nel tempo perduto.
Per te, amore, si crede e si perde afferrando la vita con grinta
fino a dispensare manciate di grandi energie.
Tutto ha più senso, in cambio di una vita vissuta
con frenetica ebbrezza, scolpita con arte
nella memoria calda e fervente.
Per te, amore, io dico s’incarnano i figli, presenti
e futuri, lasciando indietro le orme dei padri
sepolti in urne bianche, di marmo.
Per te, amore, le madri amorose in silenzio ritornano
cime dei monti, sempre verdi, e innevate.
E restano lì, coi cuori di ghiaccio, per non soffrire più,
in questa vita che va, verso il mare, perennemente
freddo e infinito.
Anna Scarpetta
Dal Libro di Poesie – 2011
Le voci della memoria
Poeti Italiani Contemporanei
Collana Omero Serie Oro
Ismecalibri – Bologna
I LOVE YOU
Volano. Il riso, i coriandoli e i petali di rosa. Applausi e grida…“VIVA GLI SPOSI”. Avanti la chiesa antica ornata di fiori e nastri, un cerchio di teste. Mani sudate per aver stretto il basmati troppo a lungo e piedi sofferenti dentro scarpe fresche di negozio.
Un giorno forse ti racconterò, ti dirò di me e del mio dolore, dei miei pensieri confusi e della mia altalena. Da bambina ne avevo una, grande e mi spingevo da sola, ero brava.
Brava a sentire l’emozione di quando toccavo il cielo e di quando un attimo dopo avevo il vuoto nello stomaco.
“Ba-cio, ba-cio”…che belli gli sposi, sembrano perfino innamorati.
Lui anche di me, me lo ha detto mille volte, me lo ha scritto, sussurrato e confidato nell’orecchio mentre facevamo l’amore la settimana scorsa. E io toccavo il cielo, gridavo felice come una bambina che sa che presto avrà quel vuoto. È arrivato, ma è una voragine impazzita.
Che romantica la foto sul sagrato! I denti brillano al sole di settembre dopo aver masticato il SI.
Li ricordi i miei “si”? Ricordi le nostre foto? Scatti intimi, rubati in bagno, a letto nudi. Fermare e custodire per sempre la nostra felicità, imprevista e sconsiderata, dalla quale non siamo riusciti a difenderci. E intanto il vuoto cresce, prima il baratro e poi l’abisso imbottito di pensieri senza grazia.
Mi acceca la luce degli anelli benedetti, quelli con assicurazione soprannaturale di “fino a che morte non ci separi”. Strano che Dio non abbia centrato la navata con una santissima saetta o fatto sprofondare all’inferno i peccatori. Eppure li avrà visti i nostri anelli, le nostre fedi senza cerimonia scambiate tra un bacio e un sorriso imbarazzato.
Ma ora è il vento.
Un alito mi fora le narici, inalo ossigeno e veleno e scopro di essere felice. Chiudo gli occhi, respiro forte e non sento più niente, si fa spazio il deserto come una benedizione.
Chi sei? Ti guardo ma non ti riconosco, vedo doppio, contraffatto.
Non hai più niente da offrire o da sacrificare, nulla da mettere sul piatto. Hai banchettato ingordo sulla tavola imbandita di promesse, ora ficcate malamente sotto una nuvola di velo e di candore stropicciato.
Girano i tacchi, cambia il mio confine e mi godo questo addio.
Superba. Come le mie gambe.
Dritta. Come la mia schiena.
Dietro uno strascico di pelle, frammenti di ricordi che si staccano come una zavorra e io, seguendo il ritmo di una musica distante, proseguo fiera che sembro una regina.
Le vertebre saldate. I pugni chiusi. Nessuno sguardo, nessun sorriso.
Per te solo l’ultimo saluto…I love you.
—
Accetto il regolamento. Partecipo alla sezione B.
Sez.A. Accetto le condizioni del Regolamento
Poesia
Titolo
“Respiro Amore”
Respiro l’Amore
in un tozzo di pane,
umido di pianto.
Nel canto di un fringuello
sul ramo sdentato.
Sul viso rugoso di un uomo
che dorme per strada.
Nel cane randagio che cieco
non teme più il buio.
Sento l’Amore
colorare il destino di ognuno.
Portare in strada: suoni e
colori.
Scendere in piazza a guardare i bambini giocare.
Accetto il vento che trascina via:
delusioni e rancori.
L’ansimare del mare
in una bottiglia chiusa.
Prati di conchiglie
simili a margherite.
Poesie lasciate volare
su aereoplani di fantasia.
Godo del sentimento
che tutto consola
e appaga il cuore
quando la luna ruffiana
si avvicina al balcone.
Maria Rosa Oneto
“Cerchio d’amore”
Imbocco la strada dell’anima
risveglio d’un candido arcobaleno
entro nel cerchio del sogno profondo
sola e bianca attraverso il tempo
lacrime e spine
ferite lontane di tanta agonia
intrise di sangue
due petali rossi
nella luce che rinasce
in quel pianto silenzioso d’una madre
eterno simbolo del nuovo mondo
si chiude quel cerchio
si ferma il dolore
risuona l’amore.
—
Partecipo volentieri al Contest letterario gratuito di poesia, sezione A. Accetto il regolamento.
Grazie
Cresy Caradonna
I FASTI
Mi zittisce un fringuello.
Perché lo scirocco non è figlio di nobili,
perché se ci avesse avuto a cuore
il suo sarebbe stato di ghiaccio.
Così piove fango.
Così, neanche oggi, succede niente.
Un cigno grigio, la pecora nera,
morso dal padre perché non trova il volo.
Ora si erge come una torre:
per ricadere, per paura.
Non tornerà più
-Speriamo porti con sé del rancore- Dico.
Il kimono di Chiyo, col suo strascico,
brama un vento che deve lasciar andare.
Si ricopre di rose sul manto buio:
ma il coraggio è solo un vile atto
nel giorno in cui piove fango.
SEZIONE A- ACCETTO IL REGOLAMENTO
Monia Minnucci – Sezione A- Accetto il regolamento
Favola
Ti ho abbracciato un milione di volte
Sotto la rosa pendula di un sorriso,
carne fiorita all’ombra delle ciglia argentee della luna.
Un serpente antico sibilava un ritorno
e Il lampione del ricordo era rovente,
ma qualcosa di ottuso,
piatto come una tavola,
puntuale come una lacrima e tondo come l’onda,
ripete che non c’è tempo per la fantasia.
Allora, c’era una volta la nostalgia,
il laccio sciolto delle tue dita è il cappio dei miei sogni,
i nostri ricordi sono dentro una scatola
… fine della favola.
Monia Minnucci- Sezione B- Accetto il regolamento
Avalon, la ragazza nell’acqua
Avalon è una di quelle persone che incontri una sola volta nella vita e che apprezzi, se sei capace di intercettare negli abissi dell’animo umano, le meraviglie che non si possono svendere ma ti allietano il cuore e ti colmano la vita dell’odore definitivo, ingombrante, ma salutare della brezza marina. Aveva dei bellissimi capelli lunghi del colore a metà fra la fiamma che divampa e la corteccia delle querce, ed era bella, perché totalmente ignara della sua avvenenza e questo le aveva creato non pochi problemi. Il suo desiderio di essere amata la portava a porgersi come un dono prezioso, ma non sempre stimato e spesso aveva incontrato diavoli con le zampe caprine ed il petto villoso, diceva lei. Dopo aver vissuto un periodo molto triste della sua vita, in cui erano mancati i suoi affetti più cari, le radici che avevano dato sostegno al tronco dell’esistenza e fierezza alle fronde creative e spontanee dei suoi pensieri, capaci di bucare il cielo come pugnali senza mai ferirlo davvero, casa sua si era svuotata e una grande tristezza, ora, albergava in quelle stanze piene di ricordi e di verbi al vissuto che non potevano offrire alcuna consolazione ad un cuore solitario. Immersa nel dramma dell’assenza e dell’abbandono, la disperazione proiettava fantasmi neri sul grande schermo delle mura domestiche. Quanta nostalgia e quanta frustrazione può essere contenuta nel ciclo dei ricordi che si chiude e ti dice “mai più!”. E così delineò il suo perimetro di carne dolente, galleggiò nella confusione torbida del dolore e divenne un’isola impossibile da attraccare, tutelata dalle nebbie perpetue della diffidenza che proteggevano, come un’ostrica la perla, la sua fragilità. Le case, le strade ed ogni architettura creata per il diletto degli occhi, non le interessavano più e in assenza di stimoli, di parole non sue, si mise a traslocare da casa sua… a casa sua. Prese dei grandi scatoloni e li riempì di libri, soprammobili e tutto quello che c’era nell’abitazione. Si muoveva febbrile, sembrava portare in mano solo degli aggeggi senza vita, ma in realtà era la sua anima che stava traslocando, in cerca di pace. Chiuse tutto negli scatoloni, li sigillò e li lasciò là, sul pavimento, muti come il suo soffio vitale, pari a scogli mostruosi ed evidenti, simili a grattacieli abusivi, feroci e monotoni, basi per altezze che non offrivano conforto ad una vita senza prospettive. Ogni volta che rincasava dal lavoro vi sarebbe sbattuta contro se non avesse ben appreso l’arte di aggirare, evitare, come una corsa agli ostacoli della vita che tanto abilmente ci creiamo e da soli scegliamo di affrontare. A volte, siamo ridicoli… e lei lo sapeva bene. Il suo trasloco creativo finì presto, quando i primi scarafaggi diedero segno della loro presenza all’interno degli scatoloni e allora ne prese il contenuto e lo sistemò in modo bislacco: pile di libri negli armadi e non so che altra collocazione inappropriata scelse. Quello che so è che nei pacchi della sua vita c’erano le cose di sempre, avevano solo cambiato posto, perché nulla sarebbe più stato come prima, ma tutto quello che le serviva per andare avanti era ancora lì dentro e forse doveva solo capire che c’è un tempo per tutto, un posto giusto per ogni cosa e che niente è inutile. Non più la collocazione che altri avevano dato agli oggetti, ma una posizione nuova, forse timida, ma certamente sua. Era diventata l’architetto di sé stessa. Credo sapesse anche questo. Fra le cose che maneggiò, trovò dei vecchi diari, materiale di anni e anni di vita vissuta. Lei sosteneva che la scrittura è estemporanea ed ha senso solo nel preciso momento in cui vivi i fatti che descrivi. Dopo, gli scritti, si tingono di banalità, sono goffi e grotteschi e poi, tutto quel passato scritto in quei quaderni dalla copertina rigida le pesava addosso come una emicrania infinita e così decise di liberarsene. Pensò di bruciare i diari, ma avrebbe appiccato fuoco alla sua abitazione e per quanto scottanti fossero le memorie… non le sembrava il caso. Ricordo l’esatto momento in cui mi raccontò dell’annientamento dei suoi diari ed io pensai che un soldato esperto nelle tecniche di attacco, vi assicuro, non avrebbe potuto insegnarle nulla, ma ritornando al racconto, era sera quando Avalon si espresse così: ”Ho riempito la vasca da bagno di acqua e li ho annegati, li ho lasciati a macerare per due o tre giorni e le parole si sono sciolte completamente, non si leggeva più niente. Poi le ho messe in un sacco nero che riempito pesava una tonnellata e le ho buttate in un bidone dell’immondizia”. Forse vi sembrerà una pazzia, ma trovai queste parola di una poeticità unica e letale come l’arte metodica della distruzione di se stessa, del suo vissuto e il peso estenuante della parola che ti gravida dentro e ti deforma, fino al rito catartico, ma necessario, della rottura con le aspirazioni, che mai videro la luce, contenute in quelle parole mai dette. Quello che Avalon aveva volutamente ignorato era che in quella vasca, quel giorno, galleggiavano le carcasse delle parole buone che avevano portato speranza, insieme alle carogne delle parole cattive che avevano peggiorato la visione della vita, e se solo avesse visto quanta bellezza e quanto amore, a prescindere dai fallimenti, albeggiassero dentro ognuna di quelle parole (che trattava come scarabocchi), sono certa che avrebbe intravisto la meravigliosa persona che è oggi. Una creatura vibrante di luce era stata partorita da ognuna di quelle letterine mai pronunciate. Dai sentimenti costretti in frasi, periodi e tempi verbali diversi. Ognuno di quei fardelli da sfogliare aveva un peso diverso e capire questo è importante: il sacco opprimente del passato che le gravava sulla schiena (che poi è la gobba di tutti noi) sarebbe pesato meno della metà. Ma lo sapeva, io so che è così, anche se non lo avrebbe confidato a nessuno, mai, in nessuna parte del mondo, neanche a me. Avalon, oggi, è una donna diligentemente solitaria che si muove abilmente nella carta topografica della sua esistenza, in perfetta armonia con le cose che danno equilibrio al suo strambo mondo. Avalon è un’isola animata e su un’isola non ci capiti per caso, la scegli, oppure, come è successo a me, nel quotidiano naufragio di me stessa, ci sbatti contro con sollievo. Lei è la ragazza nell’acqua, trasparente come l’assenza, e quando, in certi giorni qualunque, decide di diradare le nebbie e di lasciarmi approdare alle rive emblematiche dei suoi pensieri, sul suolo misterioso della sua vita in sordina, io so che è la primavera lungimirante di un privilegio.
ANNA ROSSETTO SEZ. B RACCONTI BREVI -ACCETTO LE CONDIZIONI DEL REGOLAMENTO
SCHEGGE D’ANIMA
Oggi come ieri, oggi come domani, ancora un altro oggi uguale a tutti gli altri. Me ne sto tranquillo dentro la cuccia assegnatami che, a dire la verità, mi va un po’ stretta. Solo il mio muso fa capolino all’esterno, mostrando i segni di una recente discussione con un compagno che ha voluto una volta di più affermare la sua posizione di capo branco. A me non interessa, voglio solo stare in pace, assaporare le carezze dei volontari, mangiare e distendermi al sole assorbendone quietamente il calore.
Mi trovo qui da circa un anno, quando la mia cucciolata fu abbandonata davanti ai cancelli del rifugio. I miei fratelli sono stati tutti adottati mentre io inizio ad essere un po’ troppo grande e non mi vuole nessuno. All’inizio, quando vedevo un estraneo che mi osservava curioso dall’esterno del recinto, mi avvicinavo fiducioso, muovendo vorticosamente la coda, nella speranza di risultare non bello ma perlomeno simpatico. Prendete me, portatemi a casa, sarò buono, lo prometto, che ve ne fate dei cuccioli, quelli sono ingestibili, masticano tutto… con il passare del tempo ho abbandonato tutti i tentativi e mi sono rifugiato nella più cupa desolazione e tristezza espresse solo dal mio sguardo. Ma poi,……in un giorno speciale, entrò una volontaria… io ero nella mia cuccia, immerso nella mia rassegnata tranquillità. Venne verso di me, decisa a prendermi. Io fuggii e lei fu costretta ad inseguirmi per diversi minuti. Alla fine ebbe la meglio e mi condusse all’esterno del recinto, ponendomi ai piedi di una coppia di ragazzi che mi guardarono perplessi con un mezzo sorriso. Così decisi. O adesso o mai più. Mi alzai sulle zampe posteriori ponendo quelle anteriori sulle ginocchia di lei, e agitai sapientemente la coda. Fu amore per entrambi a prima vista, fu affetto, una casa, un nuovo amico a quattro zampe color carbone ad attendermi in giardino. La diffidenza e la timidezza che mi spingevano costantemente sotto la siepe sbocciarono in una nuova forma di fiducia verso i miei nuovi amici. Vennero anni di gioia, di corse, di carezze, di amorevoli sgridate, di giochi e di ozio al tepore del sole. La vita non è fatta solo di anni. È fatta di mesi, giorni, ore, attimi. Ne basta uno di quest’ultimi. Ce n’è uno, uno solo, assegnato d’ufficio a tutti noi. Quello fatale, quello decisivo, l’attimo dopo il quale ce ne sono altri, ma non in questo mondo….Per me è arrivato presto, troppo presto e, come dicono i miei amici a due zampe, chi nasce sfortunato, muore tale e quale e, se possibile, prima di essersi perlomeno goduto appieno la vita.
Ma io sono qui.
Il mio manto non è più lungo e folto, nero-focato… ho uno stupido pelo raso tinta testa di moro. Sono grande circa un terzo di quanto ero prima ed ho un paio di orecchie da fare invidia a Dumbo. Ragazzi, sono qui…
Mi avete affibbiato un nome diverso, un po’ complicato ma simpatico, ho sempre voglia di giocare, mangiucchio qualsiasi cosa che poi ovviamente si rivela importantissima ma ormai irrimediabilmente disintegrata.
Sono qui.
E non perché mi sia reincarnato. No. Sono un pezzetto. Si, insomma, un frammento. Una scheggia di quell’immensa anima animale della quale voi, mammiferi a due zampe, non fate ormai più parte. Ne siete usciti nel corso dei millenni con cieca ed insistente arroganza, senza rendervi conto che in tante, troppe occasioni vi dimostrate più animali voi di noi. È quest’anima che ci fa vegliare sulle vostre case, che rende così remissivi a tutto quello che vorrete donarci o infliggerci, che ci induce ad affezionarci a voi più che a noi stessi. E se qualche volta non ci comportiamo come vorreste, ricordate che l’istinto del quale siamo intrisi non necessariamente può o deve sempre piegarsi alla logica umana. Ora scusatemi, ma sta passando un cagnolone al guinzaglio ed io e il mio amico color carbone dobbiamo farci sentire forte, chiaro ed a lungo… al solito qualcuno da dentro casa urlerà «la volete finire!! » ma non ce ne importa nulla…. Un’ultima cosa: fra poco sarà estate. Vedete di non fare le bestie…..
Alberto Diamanti
Sezione Poesia
“Accetto il regolamento”
IL TRENO DELLA VITA CON MIO FIGLIO
La tua mano, piccolissima,
si perde nella mia
Ti devo portare nelle strade del mondo
Mi volto
Un treno passa veloce, e non si ferma
Ritorno a guardarti
La mia mano, tornata piccola, si perde nella tua
Mi volto
Il treno ritorna lento, e si ferma
È ora di andare
Il treno non può aspettare le nostre lacrime
Gaetano Cuffari
SEZIONE POESIA – ACCETTO IL REGOLAMENTO
“Crepuscolaria”
A lume di un ricordo si dimora
come in un guscio,
nel silenzio che ci sfiora,
a eludere la vita che c’è ancora
al di là dell’uscio.
L’amore che ti prende all’improvviso
L’amore
che ti prende
all’improvviso
ti entra dentro l’ossa
e spacca il cuore.
Si nutre
di momenti di deliri,
si staglia dai concetti del banale.
Si attacca alla tua pelle
e non ti lascia,
massaggia le tue vertebre dorsali
e vive all’infinito nello sguardo
di due amanti agili e vitali.
Non muore
nelle gocce del sudore,
si snoda come un vortice impazzito
nel sangue e sulla bocca,
di due innamorati come noi.
Sezione A. Accetto il regolamento
stringendo la tua mano
C’è stato, indubbio, un tempo in cui
le parole d’amore erano più facili,
venivano via agili e senza sforzo
con quella sbadata noncuranza
che i giovani sottovalutano
ed i vecchi odiano profondamente;
ora va fatto il banale conto
con l’ingiustizia d’un quotidiano
sempre più spesso impegnato
nel controverso, arduo compito
del tirare avanti ad ogni costo.
Al tempo stesso, quell’inutile
sforzo ritorna copioso
una pienezza ignota,
dal controvalore sonante
ben più congruo e presente,
benché la fuggevolezza dei giorni
lasci poco scampo per certi deliqui.
Ignorando quanto ancora resta
d’un viaggio ormai alle spalle
e dei se e dei ma che ci tendono
ignobili agguati dietro gli angoli
più impensati, s’odono sprazzi indicibili,
sbuffi distorti in ansiti e ricordi
da rivivere stringendo la tua mano.
Sezione A; accetto il regolamento
”…chiuso fuori dal cielo…”
…indossa l’anima il dolore
senza dire una parola
e mi creo delle illusioni
rovistando in uno scatolo
di cartone in cerca di una foto
cerco ricordi
che si rincorrono
una foto chiusa
nel suo silenzio
l’illusione di essere
sempre da un’altra parte
ciascuno con il silenzio
che è
e nuovi giorni
nuovi istanti
da fermare su uno specchio
dove si accedono i ricordi
che non voglio
quando resta il silenzio
lenire il dolore
di molte ferite secche
ed esco da pensieri
da sopportare
a rincorrere parole
da scrivere
e rispondere alle voci
e agli sguardi come fiori
nel tremore delle mani
una foto sbiadita
qui tutto è silenzio
ed in questa mia crisi dell’anima
sono chiuso fuori dal cielo
lacrime su una foto sbiadita
di un amore chiamato da Dio…
IL POETA DELLA PENNA VERDE Grazio Pellegrino PILGRIM
SEZ. A accetto il regolamento
Amore,
uno strano sentimento
dalle mille sfaccettature.
Si ama un genitore
un fratello
un compagno
un amico.
Si ama il mondo
la vita.
Poi prendi un figlio tra le braccia
e capisci che l’amore non è quello.
Riduttivo
quasi offensivo
chiamare amore
un sentimento che non può avere un nome.
Perché un figlio
è uno scrigno magico
che contiene il senso della vita
e nasconde il segreto
dell’immortalità.
Accetto il regolamento sez. A
La Stella più bella
C’erano una volta una mamma e un papà che vivevano sulla terra, e avevano due stelle per figli.
Nonostante ciò pensavano di non essere poi così felici…
La vita scorreva normale, come per tante altre famiglie del mondo.
Una di queste due stelle superava tutto e tutti per il suo bagliore. Si faceva amare e coccolare da mamma e papà, dal fratello e dagli amici.
Insomma, era impossibile non amarla.
Fu per questo, che un giorno, il Firmamento invidioso decise che quell’astro così luminoso doveva essere suo ad ogni costo.
Sapendo che niente e nessuno avrebbe mai convinto quelle persone a lasciarlo andare, decise di fare una cosa orribile.
Un normalissimo giorno come tanti altri, il Cielo, vigliaccamente, scese sulla Terra, rubò quella stella e la portò insieme a tutte le altre.
Sulla Terra ci fu disperazione, tristezza, rabbia.
La vita di quelle persone fu sconvolta, si svuotò e da quel giorno non fu più la stessa.
Solo allora, si resero conto di cosa fosse l’infelicità.
Con quella stella erano felici ma non sapevano di esserlo, ed ora, che l’irreparabile era successo, avrebbero dato qualsiasi cosa per tornare indietro.
Dopo tanto, tanto, tanto tempo, la vita riprese lentamente a scorrere, fingendo di essere normale. Tuttavia, tutti avevano un pensiero fisso. Quella stella!
Come sopravvivere senza di lei? Come vendicare il suo furto? Come riempire il vuoto incolmabile che aveva lasciato?
Tutti cercavano una soluzione pur sapendo che non esisteva.
Però un giorno, la mamma si tolse una piccola soddisfazione. Si rivolse arrabbiata al Firmamento,e gli
urlò che era stato crudele, ma anche molto stupido e inutile quel che aveva fatto.
Sì!, perché aveva fatto un grave torto a tutte le stelle mettendo insieme a loro quella più bella.
Infatti la sera, chiunque alzi gli occhi al Cielo, non le guarda neppure, poiché lo sguardo viene rapito da un unica bellissima e luminosa stella che offusca il bagliore di tutte le altre.
E non è finita, perché anche sulla Terra quel gesto malvagio si è ritorto contro il Firmamento.
Quella stella non è sparita.
Quella mamma e quel papà, l’altra stella rimasta con loro e tutti gli altri, pur vivendo nell’angoscia e nella tristezza per quella perdita immensa, fanno in modo che la loro meravigliosa stella continui a vivere con più energia di prima, poiché vive perennemente nei loro cuori.
Non c’è attimo che sia fuori dai loro pensieri e ogni momento della vita viene vissuto solo in funzione della stella più bella dell’universo.
E vivono in attesa del momento in cui potranno riabbracciarla per assaporare la felicità che adesso è stata loro negata.
Accetto il regolamento sez. B
La doccia
L’ acqua calda scorreva
Scivolava
S’insinuava
Prima tra i folti capelli
Tra ciocca e ciocca
Lunghi, neri
Poi lungo le rughe
Del suo viso
Ad occhi chiusi
Ripensando
A ciò che aveva perso
Le lacrime uscirono
Senza poterle fermare
Senza nessun ritegno
Senza nessun pudore…
E pensò…
Se tutta quell’acqua
Sarebbe bastata
Per pulire almeno i suoi pensieri
Per cacciare ogni pensiero
Di lui…
Ogni pensiero che fosse incastonato
Scritto
Scalfito
Fatto suo
Solo ed esclusivamente suo
Nel suo cuore
Nella sua testa…
Lei pensò….
Troppo bello
Se quest’acqua
Mi purificherebbe
Da tutto questo…
Se cancellerebbe tutto…
Ma non è così…
Non sarà così…
M.N.
accetto il regolamento, partecipo alla sezione A
Ines Zanotti 10 gennaio 2019
PERLE D’AMORE
“L’amore per me è il cosmo che sciorina la sua anima.
Oppure è un volo di battiti che sciamano da un cuore all’altro.
L’amore è la sola forza che infiamma ogni vita.
Che sia la collezione del tempo che lascia ai posteri,
del profumo…la scia?
La fantasia mi fa paragonare l’amore, a una marea bramosa
d’infinità dove si spande distesa e ondeggiante, l’intimità.
Con certezza,
l’Amore è l’essenza di ogni perla
infilata con dedizione,
creando una poetica collana
e che ciascuno può indossare”
Accetto il Regolamento – Sezione B Racconti
Invocazione
D’intorno qualcosa ora cambia,
tu sordo al mio cuore che chiama
innalzi ossuti i tuoi rami.
Ondeggiano teneri i panni,
presagi d’un aria più dolce,
ma schivo trattieni il vigore.
Da stanze di gelo t’attendo
ansimando un risveglio che tarda.
Non puoi prolungare l’inverno!
Rinascano i bianchi germogli,
di nuovo placando
la folle mia ansia di vita.
Accetto il regolamento. sez. A Poesia
sez. A Accetto il regolamento
il primo bacio
Il primo bacio non si scorda mai.
Con questo ritornello nelle orecchie
mi tenevo la tua lingua in bocca
che frugava tra i denti ed il palato
e deponeva un sapore di miele
variegato al gusto di saliva.
Questo è il vero gusto dell’amore
mi son detta in un breve sospiro
e son tornata al vicolo ogni sera
nella luce del sole che moriva
a lasciarmi baciare per un’ora.
Ogni sera il gusto dell’amore
mi donava una fragranza nuova:
fragola menta zenzero lampone
arancia amara e sentore di vaniglia
in mezzo a un parapiglia di pensieri
tremiti sogni e nuovi desideri.
Quanto t’ho amato mio lontano amore!
T’ho amato nei tuoi baci appassionati
ogni sera per una settimana.
Poi qualcosa è successo. Sei cambiato.
O hai cambiato la gomma americana.
LO CHIAMAI AMORE
Lo scorsi in un giorno di afa,
traboccare dal lago scuro, dei tuoi occhi.
Lo chiamai Amore.
Dopo mi accorsi che era veramente il suo nome.
Mi bastava possederne una goccia, solo una.
Che fosse pura, trasparente.
Come il rubino della tua bocca.
Una coppa vermiglia ci dissetò.
Trangugiammo, insieme, a baci ardenti,
una, cento, mille gocce d’amore.
Sapevano di acqua cristallina e di vino fruttato.
Profumavano di mare in tempesta e resina di pino.
Nella magia della passione
Intrecciammo i nostri fluidi
con alghe marine e nastri di nuvole.
Ubriachi ci addormentammo,
in mezzo a boschi di larici e betulle.
E continua la sua corsa il ruscello,
nell’oceano dei giorni, ancora e ancora.
Talora gonfio e d’acqua ricco.
Talora filo minuscolo d’argento.
Ed incessante erode la sua roccia
e la trasforma in ciottoli sottili.
E noi dal vento del tempo sospinti
nel lento e svelto fluire della vita
ci ritroviamo in verdi praterie
dove cogliamo frutti d’oro e bianchi fiori,
ed in deserti infiniti dove per sopravvivere
irrighiamo la siccità col nostro amore.
Adesso in questa triste stagione
dal sapore amaro come fiele.
Attingiamo dolcezza da questo prodigioso calice,
che ad ogni tuo tenero sguardo
e ad ogni carezza, si riempie d’ambrosia.
(Accetto il regolamento, partecipo alla sezione A)
sez.B Accetto il regolamento
Stagioni
omaggio a Dino e Sibilla
E’ di nuovo estate e i margini del bosco si allargano ancora intorno al rapido sentiero dove ti vidi per la prima volta, sconosciuta.
Di nuovo, come allora, nel rigoglio del bosco sale il cinguettar d’amore degli uccelli e mi richiama la tua cara voce. Il trillo sorridente nel tuo canto quando, finalmente amanti, seguivamo il sentiero tenendoci per mano, e coi piedi nudi spingevamo il trifoglio selvatico fino a renderlo una tenera alcova, nella radura nota a cui i rami d’intreccio porgevano intimità e riparo.
Ricordo anche l’autunno venuto a ricoprir di giallo l’improvvisato letto, quando ancora la tua mano nella mia evocava il calore delle sere passate e pregustavo il dolce amplesso davanti al focolare, nel piccolo salotto di tua madre.Abbiamo atteso tante sere lì, davanti alla sua foto di gioventù, con te bambina abbracciata alla sua gonna, che il tempo ci portasse nuovi giorni dentro le stagioni, sempre trovandoci l’una all’altro allacciati. E il tempo era per noi come il vagone d’un treno che trascinava le nostre vite in un viaggio sacro e misterioso, sospinto verso un limite ignoto illuminato a distanza dai nostri desideri.
E ogni sera io salgo dentro quella carrozza e aspetto che il tuo fantasma mi si segga vicino e si riparta. Noi.
Era una giornata di primavera, resa limpida dal sole novello dopo una breve pioggia, quando tu scendesti da quel treno.Lo ricordo,lo so. Ma ripetere tra me, ancora e ancora, il tragitto che abbiamo corso insieme, quel luminoso procedere stringendo tra i denti la vertigine di parole mai prima pronunciate, che rotolavano piene sul tuo collo sottile dalle mie labbra umide di baci … ah, solo questo mi trattiene di giorno sul bordo dei binari, e allenta nel mio petto quel sentore di buio che mi opprime.
Soltanto al sonno consento di allontanarmi da te, ma a ogni nuova aurora un rosseggiar di nubi mi riporta all’attesa di un noi che solo nel ricordo alberga la sua gioia, e nel presente batte la sua pena.
Sez. A Accetto il regolamento
“Angela Fresu in luce d’assenza”
& luceluce irrompe rompe
angela respiri tu mio respiro
dito disteso tocca tua manina
& senso tutto rotolante
(tocca luce d’assenza)
se l’oro di tutto il mondo
se l’oro più bello più giocondo
se lattemiele luce d’assenzio
petto latte vita
“Sensazioni” (sez. A – Accetto il regolamento)
Volo,
messaggero d’amore,
intorno al tuo volto.
Eccelso monumento…..
Ai tuoi occhi
attingo
la purezza,
dalle tue labbra
raccolgo
un sorriso.
Il cuore vibra…..
…..Sensazioni.
Emozioni d’amore
soffiano al tuo cuore.
PAOLA FERLA 13.01.2019
sezione A
Accetto il regolamento
UN FOGLIO BIANCO
Un foglio bianco,
davanti a me.
Provo a disegnare,
a matita, quel che sento,
nella quieta tranquillità
dell”animo.
Inizio a fare dei disegni,
che prendono delle forme
distinte.
Andando avanti,
ogni cosa recupera,
il suo colore.
Il cielo, il mare, la natura,
si colorano d”azzurro.
Il sole, i fiori e le farfalle,
brillano nel giallo .
Il cuore di rosea gioia.
Vedo le foglie,
il verde dei prati,
la panca, ove si stendono,
placidi pensieri.
Disegno poi, una casa,
semplice e sincera,
come i tuoi occhi,
che mi guardano con Amore.
Grazie
Grazie
per quello che sei,
per quella che sono.
In amore non c’è mai niente di scontato,
nulla accade per caso.
Se oggi sono come sono
sento di doverlo a te.
Se oggi sei come sei
mi piace pensare
che un po’ sia merito mio.
Che non si ama così
tanto per fare
tanto per dire.
Non si ama solo per essere amati.
E me lo ha insegnato
il nostro amore.
© Daniela Giorgini
Sezione A Poesia – Dichiaro di accettare il regolamento
CIELO D’AFRICA
Ogni volta che guardo il cielo,
Bayuma, penso a quella notte,
nel cortile di casa tua, in cima alla collina.
Facevamo l’amore, come fossimo in un altro mondo.
Nudi, davanti a tutti e a nessuno, sotto un cielo di cristallo,
protetti solo da schermi di paglia
e dal sonno della tua famiglia.
La luna piena dei tropici inondava la notte stellata,
in una città devastata da scontri fratricidi.
Le esplosioni inondavano la città,
come fuochi artificiali d’una festa.
Il tuo peso sul mio corpo, un anelito di passione,
dea mandinga d’un amore
vissuto nel cuore d’una notte.
Mi manca la tua presenza, mi mancano i giorni
della mia vita trascorsa in Africa.
La stessa luna, le stesse stelle
mi osservano in questa notte, dal mio cielo,
e mi suggeriscono che stanno
osservando anche te, dallo stesso cielo.
Una segreta speranza mi dice che laggiù,
al di là del Tropico, tu mi aspetti ancora,
dietro una persiana di legno di sandalo,
nell’intenso aroma dell’incenso.
Mi accoglierai con un cenno di saluto,
come se fossi andato da poco al mercato.
Come un familiare, del quale conosci il ritmo,
l’odore, la forma delle spalle quando va
e il suono del passo al suo ritorno.
Accetto il regolamento. sez. A Poesia
LA TUA ASSENZA
Mi nutro della tua immagine
Come di un fuoco che brucia ossa e monete.
I pensieri battono le mani
I dadi si gettano nel marasma cosmico
In sfumature gotiche
Inaccessibili ai più.
Attraversando deserti argillosi
Colmi di tramonti
Vorrei soltanto che la tua ombra
Così chiara e nefasta
Smettesse di accompagnarmi
dovunque vado.
Sezione A Poesia – Dichiaro di accettare il regolamento
A MIA MADRE
Scrivo il mio amore per te
di fronte agli alberi
di questo nostro viale.
Ormai, vivi nell’aria,
in quei frammenti di eterno
che danno vita alla vita.
Sei la mia primavera
fremente e inquieta.
Sei l’estate assolata e vitale
a cui non appartieni più.
Sei l’autunno screziato
che amavi tanto.
Sei il triste inverno
che crudelmente,
come un colpo di vento,
ti ha tolto a noi.
Sei il mio respiro.
Sei i miei pensieri.
Sei il mio sorriso.
Sei il mio rimorso
ed il mio pianto.
Sezione A – Poesia
Accetto il regolamento
Questo amore
Ci porterà sulle spalle
questo amore
e non avremo la coscienza
del passare dei giorni,
come un sasso non s’accorge
di levigarsi lento
dentro lo scorrere leggero
d’un torrente.
Saprà trovarci istanti
per parole e canzoni,
per luci di tramonti
ad arrossarci il viso.
Il cielo che poi s’oscura
ci nutrirà di stelle antiche,
dell’equilibrio d’una luna piena
appesa sopra il nostro mondo nuovo.
Sarà più forte
questo amore che non s’accontenta,
nel rinnovarsi rosso del corallo
nel vivido colore
d’un’erba nata a primavera.
Nei bocci che si schiudono,
secchi fino a ieri,
gravidi per l’ape che già li sfiora.
Sarà nell’onda che si gonfia
e sbatte sullo scoglio
per rifarsi poi daccapo
alla carezza del maestrale.
Non avrà paura
questo amore
di camminare a piedi nudi
sul sentiero stretto della vita.
Stefano Peressini
Accetto il regolamento e partecipo alla sezione A
COME UN IRRADIARSI DI CIELI
[Amore è una parola a rischio
Nelo Risi]
Amore è
come un irradiarsi di cieli
anteriori
esaltazione al calor bianco
o
pane impastato con lacrime
un lungo lungo gemito più
che sospiro di vento e foglie
casa del sole e delle ombre
dove disarmato
è il cuore
sez.A – Accetto il regolamento
IL NERO DENTRO
Una scritta sul muro del parco
mi s’annida come un tatuaggio in petto,
addensa nebbia che di te mi porto.
E si imbianca la notte col fumo
rimane solo un canto che trema
sulle note quasi assenti dei passi.
Non oso guardare in alto le stelle
l’occhio s’ostina sull’erba lavata
di brina e salta sui solchi dei cani
nelle ceneri del trotto dei bimbi.
E tu rimani anche tu assente
tra le mie mani stanche di vuoto
che s’asciugano ancora all’odore
di te sul vestito.
E m’affido alla luna
al sicuro suo pianto di neve
al rumore di pioggia che nutre
il respiro dell’aria e vorrei
fosse alba o notte più scura
del nero che dentro rimane
fuliggine di te ancora assente.
Diego Bello
Accetto il regolamento, sez. A
IN QUESTA POSA
La tua faccia distesa
è resina
che aggetta tenerezza
il modo di tenerti in questa posa
fa l’universo ignoto:
rotolo in un caveau
di pietra nuda
che mai ho provato a frangere
in differente formula
di luce.
Rita Stanzione Sezione A
Dichiaro di accettare il regolamento
L’AMORE
L’amore é una danza
di consonanti e vocali.
E’ un disegno armonico
di lettere e suoni,
vive di ansie e colori,
ride negli occhi
con innato languore,
cammina su un filo
con sicurezza e sapore.
E’ arioso e compreso
nel magico ruolo,
ti tocca e ti prende
senza stupore.
Il tocco é casuale
a volte scompare…
Grande l’amore
se sceglie il tuo cuore.
Maurizio Alberto Molinari
Sezione A – Dichiaro di accettare il regolamento
Alla fine del vento
Che vuoi che sia
se la distanza stanca
anche le mani
Le mie scavano il vento
per giungere almeno
a sfiorarti i pensieri
E se non altro
mi diverto a disegnarti la faccia
mentre mi spargo sul tuo ventre
come un languore di terra perduta
Quanto manca alla fine del vento…
ho voglia di parlarti tra i capelli
di cose soltanto belle, così poi mi baci
e l’amore ci riprende con sé.
Sezione Poesia Accetto il Regolamento
Claudia Magnasco
INCONTRO
Risplende
la tua immagine negli occhi
ed il tuo sguardo mi colora
di quell’azzurro che sognavo,
riflesso di un’anima
entrata nel mio battito.
Esplode
la mia mente di dolore
per contenere tanta gioia
e resistere alla forza
di questo folle desiderio.
Un oceano di luce calda
mi ubriaca di colori,
e ti vedo respirare
accanto al mio respiro.
Per te sarò universo,
ogni inizio ed ogni fine,
riempiendo di me stesso
ogni singolo tuo istante.
Tra le mie mani ti terrò
con infinita cura,
schiavo,custode e padrone
di questo sogno d’amore.
*Accetto il regolamento
BATTERE ANCORA
Ascoltami
provo a parlarti
con parole semplici
che arrivano dal cuore,
questo cuore
avvolto
da un velo nero
per proteggersi dalla luce del giorno.
E la mia anima,
Ah la mia anima!
Lei respira la nostalgia
e la malinconia
di un passato
che mai tornerà
ma che rimarrà dentro
lo scrigno di questo mio cuore
che grida la voglia di battere ancora.
Sezione Poesia
Accetto il regolamento
ILARIA BIONDI
SEZIONE A – ACCETTO IL REGOLAMENTO
“Congiungimenti vegetali”
Non la frangia indiscreta
dell’opunzia
adagiata sulle acrobazie indomabili
delle mie cellule
saprà pungere con trepidazione
il mio lobo in cerca
di vertigini e cerniere.
Chiudo briciole di scirocco
attorno ai tuoi polsi
mentre la lantana ruba capriole tonde
al polline disperso sotto le stoppie.
Mi assaggi di vaniglia e basilico
sulla camicia asciutta di
acquazzoni
e mi prendi – fedele
nella bava dolce dell’imbrunire.
(poesia edita, tratta da Ilaria Biondi, “Corpo di vento”, Controluna Edizioni)
“Mai”
Occhi
da sinistra.
Orecchie a destra.
Passi, piccoli,
leggeri, veloci,
dal centro della sala.
Non era mai successo.
Luce.
Nessuno.
Dormo?
Non sono mai
stato in esilio da te.
– accetto il regolamento – sez. A
“Molecole”
Ma
Orfeo
lasciava
Eco
cercando
omertoso
l’
esistenza.
– accetto il regolamento sezione A –
I fiori mi colpivano
nuovamente
con i colori
accesi e vivaci
dei petali.
Amavo i fiori
e i loro colori ,
davvero unici.
Quando
ero piccola.
avevo sempre
un vaso di margherite
sul comodino.
I colori
dei petali
erano sgargianti.
E la mia voce
non era mai stata più bella.
Poesia titolo: Fiori
Accetto il seguente regolamento del concorso. Partecipo alla sezione A
Partecipo e accetto il reoglamento sez. a
Parlami di te
La notte
fugge
tra i capelli
dell’amante.
Parlami di te
oh mia adorata
in esilio da me.
Come stanno i tuoi riccioli?
E la tua soave pelle?
Il sapore indimenticabile
dell’amore
fugace.
Parlami di te
oh mia lady.
Oh mia lady
raccontami
il tuo sguardo
ogni giorno
ora che siamo lotnani.
Parlami.
Veronica DelVecchio, partecipo al contest con la poesia “Poesia”, accetto il regolamento.
“Poesia”
Padovana,
l’essenza
della rugiada.
Due passi,
altri due,
e la torre
sovrasta.
La notte,
infima,
osserva
dal suo occhio
pallido.
Padovana,
la nebbia
celere
cade.
Poesia.
Italo Zingoni. Partecipo al contest con questa mia poesia. Accetto il regolamento.
HO ASSUNTO LA TUA FORMA
In un cerchio di abitudini perfette
chiuso dalla quotidianità che spesso uccide
ho invece assunto la tua forma
e mi conformo ai tuoi fianchi e al tuo profilo
dove tu ti fai concava io sono convesso
e nei tuoi spazi colmi riempio i miei silenzi
divento labbra per sfiorarti labbra
e filo a ricucire ogni tua piccola ferita
e mi faccio vita per le tue paure della morte
fiore quando hai desiderio di profumo
frutto per la tua fame e acqua per la tua sete
divento rete per le tue cadute accidentali
metto ali alle mie fantasie se ti senti triste
e quando piangi sono vaso per le tue lacrime
specchio fragile in cui ti vedi bella come sei
e film, libri e perfino le tue riviste preferite.
Ho assunto la tua forma come amore vuole
per questo amore che di te mi avvolge
e mi sei perfino un verso, una poesia vera
una canzone il cui ricordo mi travolge…
Italo Zingoni – Poesie – t.d.r. ©
Italo Zingoni. Partecipo al contest con questo racconto. Accetto il regolamento.
RICORDI DI MARTA…
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“Che fine hai fatto Marta Castellani ?” Si chiedeva Natalia in una Torino carica di nebbia umida e gelata in quel Natale del 1963.
Per quanto tempo avevano condiviso quella stanza nel vecchio convento… erano diventate grandi insieme, avevano pianto e sorriso, giocato e studiato…insieme ! Avevano osservato i cambiamenti dei loro corpi, sempre di nascosto e dopo aver chiuso a chiave la camera quando rimanevano sole, i sabati e le domeniche, quando le loro compagne andavano a casa con i genitori.
Aveva 12 anni, Marta Castellani ed era carina davvero! Le forme del suo volto ricordavano a Natalia un quadro di Madonna visto sopra il letto di sua zia. I capelli castano chiaro con qualche ricciolo sbarazzino che scendeva sulla fronte alta e sulla pelle bianca come cera, incorniciavano perfettamente i suoi occhi verdi, il suo naso piccolo e la sua bocca quasi troppo grande per la giovane età. La sua espressione era composta da un lieve sorriso velato di una tristezza che rendeva il suo sguardo morbido e allo stesso tempo penetrante, come se volesse ogni volta leggerti dentro.
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Scattò, alzandosi dal letto velocemente come se avesse avuto un pensiero improvviso o qualcosa da fare in fretta e si passò le mani sugli occhi per cacciare le ultime tracce di sonno. “Natalia vieni qui, ti aiuto io stamani, vedrai che saremo pronte in tempo per non far arrabbiare Madre Pia ! E poi voglio pettinarti per bene come se tu fossi la mia bambolina…” e le sorrise incoraggiandola.
Marta mi riempiva di attenzioni da sempre. Mi considerava la sua sorellina e mi proteggeva da tutte le altre quando pretendevano da me, che ero la più piccola, che facessi i letti per loro e mettessi in ordine la camerata. In inverno, ogni sera prima di coricarci in quei letti duri e freddi , mi prendeva le mani e me le teneva strette nelle sue per riscaldarle e mi raccontava le fiabe che aveva imparato dai suoi genitori. Poi si metteva un poco nel mio letto e una volta intiepidito mi faceva entrare. Mi teneva sempre per mano scendendo la scalinata che ci portava nelle classi e le altre ci prendevano in giro… sono proprio innamorate… sussurravano !
Il tempo trascorreva lento ma inesorabile… avevo quasi 14 anni e ormai ero una donna… una ragazzina con i seni ben sviluppati e un corpo forse più adulto rispetto alla mia età. Non riesco a dimenticare quel giorno di una calda estate e quella prima doccia fatta insieme con Marta. Ogni sabato pomeriggio in collegio, prima di scendere per la Messa, facevamo il bagno e da sempre lei mi aiutava, mi asciugava, mi pettinava e mi vestiva con gli abiti buoni, almeno fino a quando le suore non ci assegnarono le vesti da novizie. Tutto questo per anni, per tutti i sabati trascorsi in quel collegio… ci scambiavamo tenerezze e abbracci, attenzioni e sguardi e forse in noi l’amicizia aspettava altre sensazioni che si manifestarono piano piano, con il trascorrere del tempo.
Marta era già una ragazzina, portava i suoi diciassette anni con tutta la fierezza del suo sguardo e racchiudeva nei suoi pensieri i desideri e i sogni di ogni ragazza della sua età. Sebbene da sempre, o quasi, in mezzo alle suore, alle preghiere, in un luogo dove si respirava fede e purezza dell’anima e del corpo, in lei si agitavano sensazioni che sormontavano ogni insegnamento. Il suo corpo chiedeva di essere ascoltato.
Nel tentennare dello scompartimento del treno il sonno vinse sulle sue forti emozioni. Con la borsa ben stretta sotto il cappotto Natalia si era appisolata pur essendosi poco prima imposta di restare sveglia.
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E fu allora che lo vide, vide il suo corpo librarsi nell’aria, uscire da quella finestra al terzo piano della casa sulla collina e volare, volare, volare fino a quella impossibile meta, il lieve confine che si disegnava tra cielo e mare all’orizzonte.
Le mani di Marta le sfioravano il volto mentre l’acqua tiepida scendeva sui loro corpi. Le prese il mento e lo alzò verso il suo. I loro sguardi si incrociarono e le loro labbra si cercarono quasi inconsapevolmente. Quel bacio così lieve, appena accennato, svelò d’improvviso un sentimento che ormai era nato dentro di loro e che non avevano ancora avuto il coraggio di esprimere l’una all’altra. Ma le parole a volte non sono così necessarie. Le loro mani si intrecciarono come altre volte avevano fatto in un gesto del tutto spontaneo ma senza quella intimità che adesso, solo adesso, potevano scambiarsi senza timori. I loro corpi si cercavano in un gioco di carezze e sorrisi, di tenerezze pacate e di vibrante buona violenza. Non esistevano tempo e spazio, tutto si cancellava, solitudine, dolore, amicizie, guerra, bombe, fuoco, polvere, tristezza… c’erano solo loro due, anzi una sola cosa, un solo corpo, un solo desiderio, un solo amore.
E il tuffo in quel mare verde-azzurro, le onde che si increspano e che ti portano, cullano il tuo corpo come il ventre di una madre, come le mani e le labbra che si perdono su ogni millimetro della tua pelle… schiuma di latte e di profumo in cui si esalta ogni sensazione.
I ricordi amplificano tutto ciò che ti è accaduto nella vita ma non sono mai ciò che ti è accaduto. La realtà ti sveglia alla prima uscita dal lungo tunnel, un altro treno incrocia il tuo e il rumore improvviso ti riporta alla vita che non vorresti ritrovare.
Italo Zingoni – Estratto da “LA RADIO” –
Sai dirmi?
Sai dirmi,
guardantoti a fondo,
se dentro un buco immaginario
a stento mi confondo,
sai dirmi,
dicevo perplesso,
dove questo buco si fa
sesso, e senza amore
forse forse
fa lo stesso.
sai dirmi?
Accetto il regolamento e partecipo alla sezione A
Sergio Spena
Partecipo al contest con il racconto “Pensieri paralleli”.
Accetto le condizioni del regolamento – Sez. B
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Pensieri paralleli
Seduto alla sua scrivania nell’Agenzia n.22, il trentaquattrenne impiegato Massimo Villetti sfogliava con aria pensierosa il fascicolo trattato alcuni giorni prima. Rivide davanti a sé quel cliente magro e brizzolato per il quale aveva curato la pratica di prestito personale, domandandosi come mai ci si fosse dedicato con tanto scrupolo.
Aveva avviato subito l’iter, convincendo il Direttore a venir meno alla nota regola secondo cui è più sicuro prestare il denaro a chi non ne ha bisogno.
La verità era che aveva sentito un’insolita, forte simpatia per quell’uomo che non riusciva a nascondere la sua ansia.
Quei 25.000 Euro erano stati rapidamente erogati.
I suoi pensieri furono piacevolmente distratti dal delizioso fondoschiena appartenente all’impiegata Marisa Cardano, che stava sistemando con cura alcune cartelle nell’armadio di fronte.
Compiaciuto del suo stato di uomo attraente, cui non era mai mancato il successo con le donne, lasciò volare con malizia l’immaginazione, ma quasi subito la bella Marisa richiuse l’armadio e tornò nell’altra stanza.
Con un sospiro di rassegnazione, cercò di tornare a concentrarsi sul lavoro; riordinò i documenti e chiuse la cartella sul cui frontespizio era scritto a penna “Cliente: Antonio Testa”.
L’orologio appeso sulla parete di fronte segnava esattamente le 16.30.
“Ora potrebbero essere già in viaggio”, pensò.
Più tardi, uscendo, avrebbe dovuto ricordarsi di provvedere alle commissioni da buon padre di famiglia; staccò dal bordo del monitor il post-it su cui aveva scritto: “comprare pane, latte, arance” ed aggiunse a matita “batterie stilo per telecomando console Wii di Martina”.
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Il passeggero Antonio Testa, seduto alla poltrona G-34 del Boeing 767 in volo da Roma a Bogotà, guardò nervosamente il suo orologio da polso: le 16.40. Questo, però, in Italia; ora si trovava certamente in un diverso fuso orario, ma chissà quale! Avrebbe rimesso a posto le lancette all’arrivo: cinque ore in anticipo.
Osservò nuovamente la fotografia che teneva tra le dita, dalla quale gli rivolgevano un incerto sorriso due ragazzini –un maschio ed una femmina- di età apparente tra i nove ed i dieci anni, con i tratti somatici tipici della etnia Andina. Girò lo sguardo verso la moglie Rita, addormentata sulla poltrona accanto: l’appesantimento del fisico non aveva cancellato i lineamenti decisi e volitivi del viso, accentuati dal nero intenso di capelli e sopraciglia. Ebbe un lampo di silenziosa tenerezza: nel sonno aveva assunto un’espressione distesa, ma lui sapeva che dietro quelle palpebre chiuse si agitavano tanti pensieri.
Ripercorse mentalmente le vicende degli ultimi quattro anni, trascorsi tra aspettative e momenti di sconforto. Quasi subito, però, i suoi pensieri si inoltrarono più indietro, nei sette anni ancora precedenti, consumati in un’attesa prima fiduciosa, poi impaziente ed infine disperata. Scorsero rapidamente le istantanee dei tanti esami clinici, le pesanti terapie ormonali per lei, i “prelievi” di seme per lui. Sorrise tra sé: era dai tempi dell’adolescenza che non aveva più praticato quella funzione!
Si ritrovò nelle sale d’attesa dei vari “maghi” della fecondazione assistita, rivedendo i volti impassibili delle segretarie che riscuotevano esosi onorari.
Poi le gravidanze: una volta, due, tre!
Ed i tre aborti.
Poi . . . Basta! Basta!
Stanchezza e disillusione, poi la maturazione consapevole di una scelta: adozione.
Assieme al rinnovato entusiasmo, ecco lo scontro con mille nuove difficoltà: esami medici, certificati d’ogni tipo, interminabili colloqui con psicologi, assistenti sociali e magistrati, mesi di lotta tenace contro una burocrazia asfissiante.
Alla fine avevano ottenuto il sospirato decreto d’idoneità: sembrava un traguardo ed invece era solo l’inizio di una nuova snervante attesa. Due anni e mezzo erano scivolati via in una forzosa, esasperante inerzia.
Improvvisa, era arrivata la convocazione e con essa la parola che attendevano: abbinamento! Una parola freddamente burocratica, eppure tanto desiderata: la loro coppia era stata finalmente selezionata dall’autorità Colombiana per accogliere due fratellini.
Gli era stata consegnata solamente una scarna relazione, redatta con asettico linguaggio da psicologo, assieme ad una foto: sarebbero stati quelli i loro figli!
Ma c’era ancora un ostacolo da superare: per il viaggio, il soggiorno e le altre pratiche internazionali occorreva molto denaro, mentre il conto corrente era decisamente esausto.
Riflettendoci, non sembrava semplice convincere la Banca a concedere un prestito consistente a due impiegati di medio livello, già gravati dal mutuo ventennale.
Invece, la richiesta era stata subito accettata ed in brevissimo tempo aveva avuto a disposizione il denaro. L’impiegato addetto era stato molto comprensivo!
Sarebbe stato duro sostenere l’onere delle rate, sommate alle spese di una famiglia improvvisamente raddoppiata, ma aveva fiducia: ce l’avrebbero fatta!
Strinse una mano attorno al bracciolo, per confermare a se stesso che si trovava su quell’aereo.
Guardò con dolcezza Rita che sembrava dormire tranquilla al suo fianco.
Era una donna intelligente e molto forte.
Più di lui.
E gli stava accanto.
L’amava! Questa consapevolezza lo fece sentire orgoglioso, dandogli rinnovato coraggio.
Adesso stava per arrivare la prova più difficile: una famiglia da costruire, tante barriere da abbattere, due ragazzini con un doloroso vissuto da scoprire, da comprendere, da condividere.
Vista così da vicino, l’impresa che avevano davanti appariva quasi sovrumana: da perfetti sconosciuti quali erano, farsi accettare come autentici genitori!
Occorreva dar tutto di sé stessi.
E tanto amore!
Ma sarebbe bastato?
Una voce professionale dall’altoparlante raccomandò in spagnolo ed inglese di allacciare le cinture: si avvicinava un’area di turbolenze.
Guardò dal finestrino lo strato di nuvole sotto di loro e ripose la foto nel porta documenti. Agganciò la sua cintura e, delicatamente, fece lo stesso con quella della moglie. Cercò di rilassarsi sulla poltrona e controllò nuovamente l’ora: erano le 16.55, in Italia.
La Colombia era ancora lontana.
—————————————————–
Massimo uscì dall’Agenzia alle diciassette in punto, immergendosi nel fiume di folla della strada: c’era il tempo per fare gli acquisti, aiutare Laura a preparare la cena e giocare un po’ con la bambina. Avrebbe interpretato perfettamente il ruolo dell’uomo collaborativo in una coppia moderna.
Si incamminò allegramente nel caos cittadino; i suoi pensieri erano già a casa, lontani dalle pratiche d’ufficio quanto un aereo che proseguiva il suo viaggio diecimila metri sopra l’oceano.
Murri Fabiola
sezione A
accetto il regolamento
Fa cosi l’amore
Fa cosi l’amore cambia i profili dei suoi attori
e l‘aria è gravida di luce nuova,
tinge i fiori del suo profumo,
gesticola insensatezze tra labbra socchiuse,
fa così l’amore scrive sul vento e sull’acqua
parole che si fanno carne,
chiama il silenzio che canta nel sonno
ed al mattino è bruma su campi fertili,
lo scorgi tra i giunchi del fiume,
tra le mani rugose di chi lo mesce al pane,
nelle valigie piene di storie da non raccontare
di chi parte altrove,
fa cosi l’amore cerca il destino di ogni uomo
nel crepuscolo di una preghiera premuta sul cuore,
nella freschezza di un sorriso bambino,
nei sentieri che si perdono nel bosco,
nelle tempeste d’istantanee rubate al tempo,
l’amore fa!
Monica Messa
Sezione A Poesia – Accetto il regolamento
SULLO STESSO RING
Sei il mio calmiere
contieni i miei picchi,
in te mi misuro
e cerco confronto.
Sei il mio approdo sicuro.
Sei pane, bilancia, scudo.
Orienti il mio cielo
oscillando e non cedi.
Ti ho dato la chiave
dei miei pensieri, con chi,
con chi altri potrei salire
sullo stesso ring?
Tiziana Topa, sezione B, accetto il regolamento
Consummatum est
Mia madre non capiva. Era troppo giovane, quasi una bambina. Non capiva ma, docile, rispose “fiat” a quella voce. Così nel suo grembo accolse l’Amore.
Venni al mondo per adempiere al disegno di un Creatore innamorato della Sua creatura.
Faceva freddo in quella grotta, lei lo raccontava spesso. Raccontava che non piangevo mai, ma sorridevo e tendevo in alto le manine, verso quel Cielo che mi aveva mandato. Quando mi guardava dormire con il visino sereno sentiva una fitta di dolore nel cuore perché sapeva che non ero suo e che non mi avrebbe avuto a lungo. Ero un bimbo nato da donna ma non ero come gli altri.
Cresciuto, camminavo per le strade polverose della Galilea risanando i malati, rimettendo i peccati e convertendo i peccatori. Annunciavo la lieta novella. Predicavo l’amore e la fratellanza. Spezzavo il pane e lo benedicevo. Nutrivo le folle con pani e pesci e con il mio Verbo.
Molti mi ascoltarono, altri non mi credettero e mi condannarono. Ma anche questo accettai per amore.
Era buio nel Getsemani. I discepoli si erano addormentati. Io mi ero allontanato per pregare, sentendo giunta l’ora. Sapevo che ero venuto per quel sacrificio, lo sapevo da sempre, da prima ancora che mi formassi nel ventre di mia madre. Ma, fatto uomo, da uomo ebbi paura. Sentivo il sudore addensarsi in sangue. Sentivo le lacrime scendere lungo le guance e supplicai il Padre che passasse da me quel calice, anche se era la Sua volontà, non la mia, che doveva compiersi.
Con un bacio, Giuda mi tradì. Allora chinai il capo e mi lasciai portare via come un malfattore, perché anche questo faceva parte del disegno d’Amore per cui mi sarei immolato.
Mi vestirono di porpora, mi incoronarono di spine, mi posero una canna nella destra. E così mi schernivano come “Re dei Giudei”. Ma mi lasciai dileggiare come fossi un pazzo o uno stolto.
Le mie carni furono percosse, flagellate, straziate, oltraggiate. Portai sulle spalle martoriate il peso della croce. Poi, lassù sul Golgota, mi inchiodarono a essa. Stremato, tra dolori lancinanti sentivo le loro voci concitate, sentivo il pianto di mia madre e vedevo le sue lacrime. Il respiro si faceva sempre più affannoso. Ebbi sete e mi fecero bere dell’aceto. Solo il ladrone ebbe pietà, gli altri continuavano a deridermi. “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso?” li sentivo dire beffardi. Ancora non capivano. Si divisero le mie vesti e le giocarono ai dadi. C’era tanta sofferenza su quella croce, più di quella che un uomo può sopportare. Il sangue vi scorreva fino a toccare la terra e, toccandola, la fecondava di Bene. Poi, alle tre del pomeriggio, diedi un respiro, chiusi gli occhi e resi l’anima al Padre.
Consummatum est. Tutto è compiuto.
Con la mia morte vi ho salvato dalla Morte. Ora, quell’Amore che ho effuso dalla croce diffondetelo nel mondo come facevo quando camminavo per le strade. Fatelo germogliare e fruttificare come germoglia il grano e fruttifica la vite, che sono il mio corpo e il mio sangue. Fate che vi indichi la via, come la cometa guidò a me i Magi.
Non vi chiedo sacrifici né olocausti.
Vi chiedo di amarvi gli uni gli altri come io vi ho amato.
Diego Civita 19/01/2019
“A mio figlio”
Avrai tempo
per imparare le miserie del mondo,
la meschinità,
la falsità;
ora vola tra le acque
ancora libere e azzurre dei sogni,
finchè ci saranno,
e sappi che il rispetto
è la prima cosa da imparare
per essere uomini giusti e liberi,
guarda gli occhi di una donna
che non ha il coraggio di fissare i tuoi
ma che vorrebbe farlo
e fai dell’amore il completamento dell’esistenza
e il più alto valore;
ascolta la musica
della natura intorno a te
e esercitati a usare i tuoi sensi
per entrare nel paradiso
anche in un mondo d’orrori
dalla porta segreta del cuore.
D’alba in fiore ti apparirà la notte
e di gelo in veste…
come di sottil vento a soffiar consiglio
sarà di tempo in te l’udir di fiato a un canto e ad un giaciglio
che di compagno e ascolto vicino ti starà
al corpo intero e al volto!.
SEZIONE a Accetto il regolamento.
Molte volte mi sono perso
Molte volte mi sono compiaciuto
Di questa solitudine interiore
Che ha fatto di me
Quel che sono
Le mancanze, gli oblii, le asperità
Possono plagiare un corpo, la mente e il suo spirito
Facendo imparare ad essere forse bastevoli
A se stessi
Ciò che però un giorno non basterà
È vivere solo per sé
Perché la vita, da sola, annaspa
Barcolla e sobilla
In attesa di un qualcosa
Che rende unico il nostro vivere
In questo mondo
E questo qualcosa tu….
Lo chiamerai Amore!
Accetto il regolamento sezione A poesia.
Alessandro Parisotto
SMS
“Ho bisogno di te. Aprimi, sto arrivando”
“Abbiamo di nuovo discusso. Cosa mi aspettavo?”
“Mi manchi”
“Ma dove sei?”
“Ok ti aspetto, sono sotto casa tua”
“è passata un ora ma dove cazzo sei??”.
Rilesse i suoi messaggi nella chat, spense definitivamente il telefono con l’intenzione di non riaccenderlo. L’aveva aspettato per un ora ed era anche troppo e per di più non aveva più scritto. Salì in macchina, accese il motore e ripartì. Quella sera come ogni altra sera sarebbe rimasta a casa a farsi compagnia da sola. Suo marito era a lavoro e per una cosa e per un altra era sempre assente. Imboccò il vialetto di casa sua. Sbatte la portiera della macchina appena scese e salì in casa. Prese il telefono ancora spento da dentro la borsa. Le rimaneva solo lui. Forse c’era traffico, forse era successo qualcosa. O molto probabilmente era in auto e non poteva ne chiamare ne scrivere. Si Guardò attorno. I mobili della casa erano avvolti nel buio tanto che riusciva a intravedere solo le sagome. La casa era vuota di ogni cosa. Colori, rumori, emozioni. Un silenzio assordante che le entrava dentro fino a sentirsi vuota. Ma vuota era casa sua o era lei?.
Accese il telefono. 4 chiamate 1 messaggio. Ecco, aveva esagerato. Perché era sempre così negativa?. Cliccò sulla notifica del messaggio e whatsapp si aprì. Ma non era lui.
“Amore, sono in pausa. Non so come mi sia passato di scriverti a lavoro… non lo faccio più ormai da un po’. Forse la voglia mi è presa ascoltando il mio collega al telefono con la moglie. “Amore il pranzo di oggi era ottimo…e poi quel vestito” La sua risata m ha infastidito come la conversazione…E’ che mi manchi. So di non passare molto tempo a casa, tra il lavoro, gli impegni con i colleghi.. Scusami, è che ogni affare è importante per far crescere l’azienda..ma questo già lo sai, forse per questo hai smesso di scrivermi. Volevo dirti che stasera torno a casa e ti porto fuori. Ricordi la panchina sul parchetto davanti a quel ristorante, dove mangiavi il gelato che poi ho finito io.. in pieno inverno? La sera della nostra prima uscita, solo che poi alla fine non ti ho baciato. E tu non hai perso tempo a rinfacciarmelo per mesi. Pensavo. Stavolta saltiamo il ristorante dove tanto non si mangiava bene. Esco dal lavoro, prendo qualcosa d’asporto e poi andiamo là che magari stavolta ti bacio…E scusami ancora.”
Un sorriso e la casa non era più buia, ne vuota. la schermata del telefono era l’unico faro di luce che illuminava flebile la stanza, il buio non faceva più paura. Davanti a lei rivide ogni primo momento passato assieme a suo marito come fotogrammi che scorrevano in una successione disordinata. E man mano che la pellicola andava avanti, ogni emozione riprendeva vita. E tutto riacquistava senso persino le conseguenze. Digitò.
“Ti aspetto”.
– accetto il regolamento, partecipo alla sezione b
SMS
“Ho bisogno di te. Aprimi, sto arrivando”
“Abbiamo di nuovo discusso. Cosa mi aspettavo?”
“Mi manchi”
“Ma dove sei?”
“Ok ti aspetto, sono sotto casa tua”
“è passata un ora ma dove cazzo sei??”.
Rilesse i suoi messaggi nella chat, spense definitivamente il telefono con l’intenzione di non riaccenderlo. L’aveva aspettato per un ora ed era anche troppo e per di più non aveva più scritto. Salì in macchina, accese il motore e ripartì. Quella sera come ogni altra sera sarebbe rimasta a casa a farsi compagnia da sola. Suo marito era a lavoro e per una cosa e per un altra era sempre assente. Imboccò il vialetto di casa sua. Sbatte la portiera della macchina appena scese e salì in casa. Prese il telefono ancora spento da dentro la borsa. Le rimaneva solo lui. Forse c’era traffico, forse era successo qualcosa. O molto probabilmente era in auto e non poteva ne chiamare ne scrivere. Si Guardò attorno. I mobili della casa erano avvolti nel buio tanto che riusciva a intravedere solo le sagome. La casa era vuota di ogni cosa. Colori, rumori, emozioni. Un silenzio assordante che le entrava dentro fino a sentirsi vuota. Ma vuota era casa sua o era lei?.
Accese il telefono. 4 chiamate 1 messaggio. Ecco, aveva esagerato. Perché era sempre così negativa?. Cliccò sulla notifica del messaggio e whatsapp si aprì. Ma non era lui.
“Amore, sono in pausa. Non so come mi sia passato di scriverti a lavoro… non lo faccio più ormai da un po’. Forse la voglia mi è presa ascoltando il mio collega al telefono con la moglie. “Amore il pranzo di oggi era ottimo…e poi quel vestito” La sua risata m ha infastidito come la conversazione…E’ che mi manchi. So di non passare molto tempo a casa, tra il lavoro, gli impegni con i colleghi.. Scusami, è che ogni affare è importante per far crescere l’azienda..ma questo già lo sai, forse per questo hai smesso di scrivermi. Volevo dirti che stasera torno a casa e ti porto fuori. Ricordi la panchina sul parchetto davanti a quel ristorante, dove mangiavi il gelato che poi ho finito io.. in pieno inverno? La sera della nostra prima uscita, solo che poi alla fine non ti ho baciato. E tu non hai perso tempo a rinfacciarmelo per mesi. Pensavo. Stavolta saltiamo il ristorante dove tanto non si mangiava bene. Esco dal lavoro, prendo qualcosa d’asporto e poi andiamo là che magari stavolta ti bacio…E scusami ancora.”
Un sorriso e la casa non era più buia, ne vuota. la schermata del telefono era l’unico faro di luce che illuminava flebile la stanza, il buio non faceva più paura. Davanti a lei rivide ogni primo momento passato assieme a suo marito come fotogrammi che scorrevano in una successione disordinata. E man mano che la pellicola andava avanti, ogni emozione riprendeva vita. E tutto riacquistava senso persino le conseguenze. Digitò.
“Ti aspetto”.
SEZIONE B Accetto il regolamento
QUANDO UNA LACRIMA
Quando una lacrima
avvolge i desideri che grondano
nel chiaroscuro della notte,
tu assapori le peccaminose magie
della folta solitudine
come un riflesso d’amore
che seduce la cortina del tormento.
Resto inchiodato dentro
un maledetto enigma che rifulge
nel respiro della vita
laddove i gemiti indefinibili
di un’iride incolore si perdono
nel tormento dell’anima.
Vorrei capire l’attesa di un sogno,
salvare queste maledette apparenze,
ricucire le ferite della carne
e respirare ancora per una volta
la magia di un raggio di sole
ed abbracciare nell’infinito
la gioia di un bacio nell’eco
del silenzio… di una notte stellata.
emilio mercatili
sez. poesia – accetto il regolamento-
ESTASI
Me lo posso rivedere
assiduamente
il mio film personale
del nostro amore…
Entrare in te
con tutto il mio desiderio
reso tenace e persistente
per scoprirti in profondità,
per conoscere ogni tuo spasmo,
per svelare la tua fragilità…
Penetrare nel tuo intimo
per scandagliare i tuoi pensieri,
e trovare i motivi
dell’ atroce soave altalena
cui mi sottoponi sadicamente…
Il respiro più intenso
le labbra dischiuse
gli occhi luminosi,
pur nella penombra,
appagati e fissi su di me,
mentre mi sorridi quieta d’amore…
Così ti ripenso
quando il mio pallido ego
si bea dell’ormai inutile rimpianto.
– Accetto il regolamento, partecipo alla sezione A
Angelo- Sez. A. Accetto il regolamento.
Inesperta sul mio petto
L’esuberanza del tuo corpo
è sorridente,
salda nella postura,
si esprime con brio,
senza inciampare.
Non nasconde doppi fondi,
non è risucchiata
dalle ombre della sera.
Cresce il piacere
di provare piacere.
Io non faccio storie,
sono felice ogni sera,
prima di baciarti,
quando m’inginocchio.
Assorbi i miei sguardi,
teneri come foglioline,
con una grinta che eccita…
Recita la tua parte
e convincimi d’essere
inesperta sul mio petto.
Accetto il regolamento
Sezione A Poesia
ESTASI
Vorrei.
Momenti in cui vivere estasi d’amore
quando il piacere sarà specchio di se stesso,
schiacciando e perdendo autocontrolli risibili
di paure imposte da educazione alienante.
Dunque abbandono a ogni passione,
solo conservando il puro godere
senza riserve: io, tremante, perduto,
eppure padrone del fuoco.
Passioni.
Come tempesta turbinando
fuori del tempo misurabile,
coinvolgimento – occhi come prede –
in attesa di una notte diversa
e senza misura, protesa
a liquidi desideri, forse indicibili:
gli stessi che mi hanno già posseduto,
gli stessi che possiedo da sempre.
Estasi.
Che solo l’amore si crede conosca,
che i versi palatini hanno già denudato
e che mi prende in implacabile rito.
Mente, mani, labbra e fantasie ritornanti,
oggetti padroni del mio piacere,
esso schiavo e soggetto al tuo,
tu, silenzioso desiderio dei sensi,
spietata vertigine oggi per me
Sez. A. Accetto il regolamento.
Dimmelo tu cos’è
Cara mamma, sconosciuta e bella
sicuramente più di una stella.
Senza il tuo amore non esisteva il mio nome,
senza le tue premure non avrei visto il sole.
Senza indecisione hai deciso di continuare.
Senza dolore hai vinto il primo distacco.
Senza paura mi hai dato uno slancio.
Senza ripensamenti mi hai accompagnato verso il futuro.
Quanta bellezza dovevi avere.
Quanta bontà dovevi donare.
Quanta dolcezza dovevi portare.
Quanto vuoto avresti dovuto abbracciare.
Quanta tristezza avresti dovuto sopportare.
Quanta amarezza avresti dovuto assaggiare.
Coraggio hai avuto.
Speranza hai osato.
Forza hai messo.
Commozione hai frenato.
Per questo la sera,
guardando il cielo stellato,
immagino il tuo volto lontano…
Assaporo le tue calde mani …
e sento stringere i nostri cuori,
… in un abbraccio senza eguali!
Grazie di cuore
se ancora oggi ho un nome.
Più grande cosa
non potevi inventare:
Annullare te, …
per far vivere me!
Se questo non è vero Amore …
Dimmelo tu cos’è
che ha fatto vivere me?
ANNALISA CASTAGNA
sezione A. Accetto il regolamento
SGUARDI:
Sguardi.
Sguardi di luce al buio.
Silenzi.
Silenzi d’amore che pulsa, che attrae.
Amore che fa paura.
Passi e distacchi momentanei e silenziosi
per poi rincontrarsi.
Atmosfera calda, sensuale, spirituale.
Baci.
Baci dolci, caldi, profondi.
Baci che toccano il cuore attraverso la pelle.
Distesi sul pavimento, nudi e trasparenti.
Mi muovo sopra di lui e ho paura.
Ho paura perché mi muovo
sopra l’amore, ed è la prima volta.
Guardare l’amore, sentire l’amore dentro di me,
essere insieme all’amore.
Unità corporea mai provata,
paradiso terrestre, unione cosmica.
Silenzi contemplativi.
Sguardi ammirevoli.
Amore e amore e ancora amore,
parole e pensieri di unione.
Tu sei in me e io sono in te.
Distacchi momentanei.
Ritorni.
E questa volta per sempre.
Ti amo.
Una mia Poesia per partecipare a questo interessante concorso.
Grazie e auguri di grandiose successi.
Accetto il regolamento.
MELBOURNE E ITALIA
Ascolto i sbadigli dei sonnacchiosi koala,
i salti dei pimpanti canguri,
gli strilli dei kookaburra,
i passi felpati degli emu
col loro lungo collo che si piega
per raccogliere l’erba dei prati,
mi rallegra il cuore la melodia
delle eleganti gazze e dei rosella.
La nostra Australia è tutta bella,
anche i suoi animali
sono tesori d’inestimabile valore,
basta guardarli per sentirsi in paradiso.
Il mio sguardo si perde tra le onde
dell’oceano, dove si dondolano al sole,
le magnifiche rocce dei 12 apostoli,
mentre dall’altra parte dell’oceano,
i pinguini passeggiano tra la sabbia dorata,
Mare azzurrissimo,
immenso nella sua meraviglia.
Oh Melbourne bella,
sei la stella più luccicante e più splendente
del nostro Nuovo Continente!
Tutto è stupendo, tutt’intorno
è l’Eden che stupisce tutti.
Tutta l’Australia è una bellezza rara,
è il paradiso che tutti ammirano estasiati.
Io vivo a Melbourne da 55 anni,
siamo venuti in viaggio di nozze
e ancora lo siamo, la amo,
ma amo di più la mia Italia,
la mia fosforescente Sicilia,
aspetto sempre di tornare,
la terribile nostalgia mi fa morire.
Il mio cuore batte per l’Australia,
ma molto di più e sempre di più
per la mia Italia!
Diventa sempre più grande
e più immenso questo amore.
Da Melbourne all’Italia
con infinito amore!!!
Giovanna Li Volti Guzzardi
Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori
Giovanna Li Volti Guzzardi
Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori
Una mio racconto per partecipare a questo interessante concorso.
Grazie e auguri di grandiose successi.
Accetto il regolamento.
IL LONTANO MUNGIBEDDU
Mi trovavo a 3.000 metri d’altezza e toccavo le nuvole con le mani, il respiro mi mancava dall’emozione, ma i miei occhi godevano nell’assaporare quel panorama spettacolare che mi colmava di gioia.
Ero in cima al mondo, sul Monte Etna, il mio cuore esultava mentre affondavo i piedi nella roccia lavica e le mie mani afferravano dei ciottoli neri per portarmeli come ricordo a Melbourne.
Un ronzio continuo martellava le mie orecchie, la montagna brontola sempre, è il suo modo di farsi sentire viva perennemente, tutto è calmo, la neve copre il nero lasciato dalla lava, il sole accarezza la pelle e si sente vicino vicino, il suo splendore scalda e illumina i miei passi che mi fanno sentire alle porte del paradiso.
Oh mio Dio! che bellezza unica la mia Sicilia, ad ogni passo c’è qualcosa che ti afferra il cuore, ma il Mungibeddu, la nostra Montagna, è la Regina della bellezza, altera e maestosa domina la parte orientale della nostra grandiosa Isola, dappertutto è lei, così imponente che tocca il cielo e saluta i suoi figli dall’alto del suo regno.
Anche da Vizzini, la mia città, si vede la sua imponente sagoma innevata e fumaiola in cima.
Si stava meglio a 2.500 metri, dove nel ristorante rifugio ci hanno offerto il liquore Fuoco dell’Etna, davvero un fuoco per la gola che bruciava come lo scorrere della lava fiammeggiante.
Una giornata speciale, indimendicabile, ho comprato due collane di ematite, due di corallo e tre della pietra lavica che scintillano come il sole sulla Montagna.
Ricordi indelebili appiccicati al cuore e nella mente per sempre.
Com’era bello camminare e ammirare quelle bellezze uniche; in qualche zona più alta brillava la neve anche se era quasi estate, a 3.000 metri, attraversando la Montagna con la teleferica, guardando intorno era tutto bianco, tutto ammantato di candida neve. Panorama unico, mozzafiato!
Era bello godere le bellezze della mia Sicilia che è tutta un paradiso ad ogni angolo, dappertutto è un canto antico, affascinante, attraente, che cattura il pensiero come le sirene di Ulisse che lo resero inerte.
Aspettavamo da un pezzo il bus che ci avrebbe riportato a Catania, altra stupenda creatura siciliana, ma non se ne vedeva uno!
Dopo due ore, finalmente uno si nota in lontananza, ma dopo un po’ sparisce in una curva, dopo altro tempo, che sembra infinito, se ne vede un altro, ma poi sparisce pure lui, ne spariscono parecchi e non sappiamo come ripartire, siamo felici, ma stanchi, dopo un giorno di cammino in giro per la Montagna.
I bus spariscono tutti, non ne arriva uno al parcheggio.
Dopo tanta attesa un vocione risuona nell’aria tersa: “Nella Valle del Bove improvvisamente si è aperta una bocca di fuoco al passaggio dei bus e li ha inghiottiti tutti, la strada è chiusa, non si può ripartire!”
Siamo stati ospitati al rifugio per due giorni e quella bocca continuava a fumare, la strada è stata un boccone prelibato per quella bocca affamata. Un nuovo cratere era nato!
Poi sono arrivati gli elicotteri e ci hanno portati via da quel paradiso di meraviglie che a volte diventa un inferno indiavolato.
Il ricordo dell’Etna maestosa e turbolenta è sempre nella mia mente, sono a Melbourne da 55 anni, ma col pensiero sono sempre lì in ogni istante della mia vita.
Quella strada non c’è più sull’Etna, completamente sparita in una grandissima buca, ma ne hanno costruita un’altra, spero che quando andrò di nuovo sull’Etna tutto splenda di meraviglie e potrò abbracciare la mia Sicilia col fuoco dell’Amore!
Amore
Amore è starti accanto da lontano,
è rispettare i tuoi spazi
desiderando di farne parte.
Amore è dividere il tempo all’infinito
perché stare con te duri per sempre.
Amore è lasciarti fare le tue scelte
e vederti realizzare i tuoi sogni.
Amore è lasciarti andare
perché tu possa essere te stesso,
libero,
con me.
sez. A – accetto il regolamento
Antonella Vara – 29 gennaio 2019
PARLO D’AMORE
So parlare d’amore
e di passione,
se all’alba del mio sogno
mi sfiori la bocca
con un bacio,
quando le tue mani
accarezzano dolcemente
vulcani ardenti,
sostano su pendii
e colline odorose,
vibrano nell’attesa
di un’onda convulsa
che li travolge,
fame di gemiti
e pensieri accesi
nei corpi brucianti,
pace di pensieri e desideri…
ma se il sogno non ha voce
e nel limbo dei pensieri
non ti trovo,
è solo fuoco che uccide,
perfetto amante
sconosciuto,
sagoma fugace
volto non ha
e piano svanisce nel nulla,
ma arde sempre dentro al petto
e mai si spegne,
mai si consuma,
pronto a divampare
se legna lo alimenta…
ci si brucia a volte,
ma rende la vita degna
di essere vissuta.
Viviamo per amare…
amiamo per vivere…
Antonella Vara
Accetto le condizioni del regolamento – partecipo alla sezione A
ACCETTO IL REGOLAMENTO
SEZIONE A
TI AMO
E’ innegabile.
Ho provato ogni modo
lasciarti andare
dimenticarti
odiarti
non pensarti
non guardarti
non sentirti.
Inutile.
L’amore è cresciuto
per un profumo
un frammento di memoria
quel colore
una nuvola
una melodia
una parola
uno sguardo.
Il pensiero di non averti lacera la mia anima
il dimenticarti è un fingere a me stessa
il rancore rinvigorisce la mia passione.
E’ la tua vicinanza ad alimentare la mia esistenza.
L’odiarti per riamarti al primo sguardo
è semplice, automatico, vitale.
Non pensarti, non vederti, non sentirti, non avere le tue mani sulla mia pelle…..
come posso privarmi dell’aria per vivere?
Ti amo.
Questo è.
ACCETTO IL REGOLAMENTO
SEZIONE B
LA VITA
Quante orme imprimono nella nostra vita le persone che vi entrano! Piccole, grandi, profonde, superficiali ognuna la sua forma, il suo contorno, il suo profumo.
La vita, quella distesa bianca incontaminata che inizia a solcarsi di colore e forme col tempo. Basta uno sguardo, una melodia, un oggetto, una parola per ricordare, una ad una, le orme lasciate nell’anima.
Orme impresse a caso, a volte, entrate in punta di piedi col gusto acre dell’invadenza, con l’allegria della spensieratezza, con la certezza del vivere, con la consapevolezza di essere e poi uscite ballando sulle punte lievemente rimanendo indelebili in un profumo, in un colore, in un ricordo, in un maglione. Nonostante lo strappo, il ricordo, dilazionato dal tempo, diventa agrodolce perché esse rimangono in noi, vivono attraverso noi, nutrono la nostra anima pur non potendo più vedere, toccare, odorare.
Il più delle volte ciò che manca è il profumo di una persona cara, l’idea di un bambino mai nato, la nostalgia di un passato irrealizzabile, la malinconia del tempo che passa guardandosi allo specchio, il rammarico per le occasioni perse, ed allora mai fermarsi per guardare indietro bisogna, invece, proiettarsi al domani con la conoscenza e l’esperienza acquisita disponendosi al nuovo con una marcia in più e l’entusiasmo che il meglio deve ancora venire.
Mai soffermarsi troppo in un’orma che vuole andare via, che si allontana, che vuole rimanere tale nei ricordi perché rischiamo di caderci dentro, nel viaggio di non ritorno, mentre la vita con i se e i ma, le lacrime e le gioie, le delusioni e le certezze merita di essere vissuta sempre e comunque.
Amori al supermercato
C’era stato un tempo in cui i prodotti di un supermercato si erano annoiati molto a stare sempre fermi sugli scaffali, perciò avevano deciso di movimentare la loro vita fidanzandosi.
Del resto l’innamoramento a volte non è altro che un espediente per
uscire da un periodo deprimente.
Si erano guardati intorno: così Mastrolindo si era messo in coppia con Calinda nel reparto detersivi e Quattrosalti Impadella si era unito a Lazuppa Del Casale nel reparto surgelati.
Però dopo un po’ di tempo, però, si erano accorti che, essendo molto simili tra di loro, c’erano poche sorprese nel loro rapporto. Avevano ricominciato ad annoiarsi.
Restava la possibilità di dare un’occhiata agli scaffali più lontani,
per allargare i loro orizzonti. Mastrolindo aveva notato Carbonella, che gli era piaciuta subito: così abbronzata gli sembrava la più bella del mondo. Ma l’unione non era stata molto felice, perché Carbonella, nel fargli le coccole, lo voleva accendere e Mastrolindo voleva, ogni tanto, pulirla.
Una sorte simile era capitata a Quattrosalti Impadella e alla sua nuova
compagna, Pannocarta Asciugatutto. Lei gli aveva assorbito tutto l’olio
e Quattrosalti aveva rischiato di ustionarla, bollente com’era.
Esausti di affrontare tutti questi problemi, avevano cominciato ad urlare, sporgendosi dagli scaffali: “Comprami! Comprami! Voglio uscire da qui e girare il mondo!”.
Ad uno ad uno erano finiti tutti nelle borse della spesa e si erano avviati verso un nuovo destino.
Purtroppo avevano scoperto presto che il loro nuovo corso di vita li
avrebbe consumati in breve tempo.
Alcuni avevano accettato stoicamente la loro sorte, consapevoli di essere stati almeno utili al prossimo. Altri si erano pentiti e avevano capito il significato del vecchio detto “il meglio è nemico del bene”.
Sezione B.
Doriana Bruni
Accetto il regolamento
SEZIONE A
Dichiaro di accettare il regolamento
CAVAZZI DANIELA
NOI
Bocche in sussurro…
Occhi in sorriso…
Mani in ricerca…
Anime in attesa…
Noi
sull’etere del mondo stringiamoci
e, pensandoci, incontriamoci
in quell’angolo di fantasia amorosa
nascosto da rami di voglie
da foglie di sussulti
da teneri fiori di appagamento
Noi
due menti che rincorrono le luci della notte
e mischiano parole con silenzi
piaceri con nuovi desideri
sulle rive del gioco all’odore di mare
Noi
che abbiamo imparato a volare
con l’aliante dell’anima
sorvolando deserti rigogliosi di noi
annegando tra le infinite onde del mare del desiderio
Noi
dai mille nomi…
Claudia Ruscitti
Quando ottobre verrà
Quando ottobre verrà
illanguidendo boschi
e scolorando aiuole
e un tenue profumo di crochi
dilagherà sui campi,
quando i capelli avranno il candore
di un grappolo di nuvole
impigliate tra le maglie rotte
di un cielo sonnolento
recami i baci
che il vento disperse
e le parole
che scivolarono tra le ciglia,
ricordami gli anni
che odoravano di fresco
simili a germogli di viole
in un bicchiere,
parlami del nostro giardino,
ancora vivo,
che fiori nuovi
ricama nel silenzio,
prendi il mio cuore
portalo lontano,
ti seguirò
con tacito passo di bambina,
e alla bocca inaridita,
come un tenero petalo,
restituirà intatta dolcezza
quella felicità rivissuta,
in ogni giorno a venire.
Accetto il regolamento e partecipo alla sez. A
Al vento racconterai
Viaggiano nell’etere le parole
per giungere a te
in placido aspetto
per donarti un bacio, candido
tra le fresche onde della sera.
Tu che contempli l’orizzonte
nell’osservo di rosso tramonto
lascia vagare il sogno tuo
di un presto quì ritorno.
Carezze su silenziosi battelli
cavalcano le maree spingenti
per arenare lì su bianca battigia
nell’attesa del tuo incontro.
La luna stasera racconterà in brezza
della tua storia la più bella
ti specchierai giuliva, serena
e domani applaudirai al nuovo dì
regalando al vento la tua bellezza.
Giovanni Monopoli
Accwtto il regolamento e partecipo alla sezione A
31 Gennaio 2019
APPARE QUIETA LA NOTTE
Appare quieta la notte
nelle luci dei lampioni
sul letto del canale tremolanti,
nell’assenza quasi di rumore,
ovattata di presenze magiche,
oniriche, fluttuanti.
Sembra portare pace
la notte densa di mistero,
negli echi di voce distanti
evocati come un sogno
dal gorgoglio del fiume.
Scivola dal buio un’ombra,
è un uomo solo su quel molo
ad abbracciare grato la vita,
a stringere nei pugni le gioie
meritate, al cielo svettanti.
Mormorano i suoi pensieri
che è felice oggi più di ieri,
che il suo cuore non è solo.
E il motivo è presto svelato,
alza da terra il capo e le vede
corrergli incontro, danzanti:
Pace, notte, vita…
e la donna sua, tanto amata.
Tania Scavolini sez A accetto il regolamento
Storia breve e necessaria di una rosa
Sono nelle braccia di un extracomunitario a un semaforo rosso, ma dopo poco vengo adagiata con cura sul sedile di un auto. Sono senza acqua da un po’, solo ogni tanto spruzzata di acqua stagnante , resisto nonostante il caldo, perché mi arriva l’aria di una bocchetta a condizionarmi il senso di questo mio esistere. E ondeggio al passo affrettato di un uomo che mi osserva interrogativo, dubbioso, vedo i suoi occhi malinconici leggermente velati, sento una goccia di sangue che scorre su una spina e il suo “accidenti!”
Quest’uomo parla da solo, ma sembra che in realtà parli a me, accennando a una lei che aspetta a casa, ignara della mia presenza e della mia entrata di scena a breve. Lui (mi) dice che spera di poterle comunicare qualcosa anche attraverso me, di poter recuperare un dialogo spento e interrotto solo da discussioni accese e di addolcirla almeno all’inizio con la mia tenera visione. Mi sento importante tutto d’un tratto e gonfio quei petali un po’ avvizziti che tra poco saranno accarezzati e odorati o forse per la rabbia nei confronti di questo signore che mi tiene in mano, buttati al secchio della spazzatura. Se avessi un cuore direi che mi sta battendo per l’ansia di essere all’altezza di quella prestazione che lui si aspetta da me e mi batte quella poca linfa che ancora ho nel gambo ormai reciso.
Credo che siamo arrivati perché sono ferma, sospesa in una sorta di attesa spazio-temporale, non ascolto le parole urlate con rabbia, in un primo accenno di lite. Lei infuriata mi ha scagliato sul divano dove con l’urto ho perso un petalo. Proprio quello che temevo! Ora sono andati in un’altra stanza, immagino, ho sentito dei passi veloci e una porta sbattuta con violenza. Lui l’ha rincorsa e rischiando di prendere la porta in faccia, ci si è infilato dietro pure lui.
Non so quanto tempo sia passato, so solo che sto per morire nella semioscurità di questa stanza. Mi manca l’aria, mi manca l’acqua e mi manca anche di sapere come sta andando, curiosa come sono. Sarà forse proprio la curiosità a tenermi miracolosamente in vita.
Nonostante questo, sento che le forze mi stanno per lasciare, ma ecco che arrivano dei passi leggeri, delle mani delicate mi sollevano, posso percepire perfino il calore del viso e il profumo di lei che mi inonda.
Meno male perché il mio l’avevo perso e mi illudo così di possederne ancora. Vengo posata stavolta con attenzione e uno sguardo di gratitudine.
Odo le loro voci che parlano sommessamente e anche qualche risatina che mi imbarazza un po’, ridivento un po’ rossa, finalmente.. Capisco che sta per succedere qualcosa, perché sento i sospiri di lei, i sussurri di lui e tutto tace ed è pace.
Vorrei gridare per la contentezza, esultare per essere riuscita a colorare un momento di intimità, a trasmettere un messaggio di pace e amore con la mia presenza! Anche se lui deve aver fatto il resto dietro quella porta, ma io modestamente ho fatto la mia parte e mi meriterei un premio, che so..un po’ d’acqua? Ragazzi, vi siete già dimenticati di me?
Che sciocca! Loro non mi ascoltano, hanno altro a cui pensare, ma sono soddisfatta lo stesso, la mia missione è compiuta, ora posso appassire tranquilla.
Tania Scavolini sez B accetto il regolamento
Accetto il regolamento e partecipo alla sezione A
“SCUSAMI”
Scusami, se sei in ogni mio pensiero
se confondo l’immaginazione con il tuo volto
scusa, se ti disturbo nei tuoi sogni
ma preferisco solcare i mari, con le tue ali dorate.
Scusa, se invado le tue giornate per colmare le mie
voglio dare un senso al tempo e non solo fissarlo
scusa, se ti dedico ogni mia gioia
rimani sempre tu, la mia vittoria più bella.
Scusa, se ogni attimo ha il tuo nome
l’aria che respiro, parla solo di te
scusa, se ho bisogno di te per stare bene
ma non voglio perdermi di nuovo in me stesso.
Scusa, se definisco l’amore attraverso il tuo suono
nessuna melodia migliore, mi fa sentire vivo
scusa anche se ogni nuova alba, la guardo attraverso i tuoi occhi
ma i miei, sono ancora accecati dagli ultimi tramonti.
Scusami, se non cerco la parola fine a questa storia
scusami…davvero per favore, scusami
se ti voglio vivere, per dare un senso a questa realtà.
VINCENZO GIUSEPPONI 31/01/2019
Accetto il regolamento
Sezione A
IL SOGNO DEL VECCHIO
Quando il sole d’ inverno
scalda la brulla terra
si avvera un sogno eterno
che è di non patire il freddo
in una stagione che consuma
la speranza dei senza tetto.
I pochi fiori germogliati
fanno capolino tra le erbe
dal provvido sole riscaldati;
si ristora un poco la natura
per una sporadica giornata
in cui il freddo fa men paura;
un giorno sarà ancor primavera
e l’ inverno si chetera’ paziente,
come lo scorrere del tempo che s’ avvera.
Intanto il cencioso povero vecchietto
si riscalda e il buon sole benedice
ma sempre piange per non avere un tetto,
ma anche ciò che inoltre gli abbisogna
è qualcuno che sotto un buon tetto
di lui si prenda cura, come da sempre sogna.
VINCENZO GIUSEPPONI 31/01/2019
Accetto il regolamento
Sezione B
L’ AMORE DI MARIA
Un signore molto ricco, sulla mezza età, era avarissimo, egoista e prepotente, tanto da non andar d’ accordo con la sua famiglia, composta dalla moglie e da due figli. Persone normalissime i familiari, ma costretti a subire le ostinazioni del capo famiglia, da essi molto rispettato e anche un po’ temuto.
Un giorno proibì alla figlia di farsi corteggiare da un bel ragazzo povero che le piaceva, adducendo il motivo che non era di buona e agiata famiglia, come la loro.
La figlia piangendo corse a chiudersi in camera sua e più tardi la madre bussò alla sua porta chiusa per consolarla. “Sai che tuo padre è fatto così Maria. Cerca di non piangere, poi, stasera, parlerò io con Gianni per cercare di farlo tornare sulla sua decisione”. “Grazie mamma. Promettimi che farai del tutto. Sai io amo tanto Umberto e non potrei vivere senza di lui. E’ il migliore ragazzo del mondo e anche lui mi ama”.
“Te lo prometto Maria, ma ora calmati e speriamo in bene. Anche a me piace Umberto e penso possa diventare un buon fidanzato per te”.
La sera Deanna parlò col marito, ma dopo un’ esplosione d’ ira e insulti alle famiglie disagiate che “vivono sulle spalle di chi da loro lavoro” Gianni era più deciso che mai ad impedire il fidanzamento.
Così, un giorno, Maria e Umberto fuggirono insieme da casa e tutti li cercavano. Gianni era agitatissimo e molto in ansia e stranamente era solo preoccupatissimo e non arrabbiato, mise in moto la Polizia, i Carabinieri, il Sindaco, il Parroco e i suoi amici ricchi come lui, ma fu tutto inutile. Dei due si era persa traccia, tanto da far iniziare a pensare a una disgrazia.
Purtroppo dopo giorni di ricerca i corpi esanimi dei due ragazzi furono ripescati dal fiume, più a valle, dai Carabinieri, su segnalazione di un contadino che aveva intravisto i due corpi galleggiare in un’ ansa del fiume, tra la fitta vegetazione.
Le indagini chiarirono in seguito che i due erano caduti in acqua per disgrazia mentre camminavano sulla strada che li doveva portare lontano a coronare con un matrimonio il loro sogno d’ amore.
Quando seppe della tragica fine della figlia e del suo ragazzo Gianni diventò pallido ed ebbe un malore. Deanna piangeva e il Maresciallo che aveva portato la triste notizia chiamò il 118 e l’ auto medica.
In rianimazione Gianni fu tra la vita e la morte per due giorni, ma poi un po’ per volta si riprese e col passare dei giorni potè tornare a casa guarito.
Deanna e l’ altro figlioletto minore furono molto premurosi e contenti per la ritrovata salute del padre, che ora sembrava stranamente migliorato nel carattere. Non era più arrogante come al solito e seduto sulla sua poltrona preferita disse alla moglie: “Cara, tu non sai quanto ho sofferto per la morte prematura di Maria e forse ne sono stato io la causa indiretta, con la mia avarizia e prepotenza. Ma ora ho deciso di cambiare vita e spero solo che tu mi perdonerai per tutto ciò che ho fatto passare a te e ai nostri figli. Ho deciso che Carlo potrà sposare chiunque voglia lui, si trattasse anche della ragazza più povera del Paese, basta che siano felici loro due. Ho imparato la lezione a mie spese e purtroppo anche a spese di mia figlia” e qui scoppiò in un pianto accorato.
Deanna si inginocchiò davanti a lui, con gli occhi lucidi, gli prese la mano e gli sussurrò con dolcissime parole: “Gianni caro, consolati e non piangere più. Ora Maria e Umberto sono in Paradiso e stanno bene e vorrebbero che nemmeno noi fossimo tristi. Col tempo la disperazione passerà e ci rimarrà la tristezza per una figlia morta nel fiore della gioventù. Io sono tua moglie e ti ho già perdonato. Ho capito che sei davvero cambiato e starai meglio anche tu con questo mutamento”.
Gianni si asciugò le lacrime e disse alla moglie: “moglie mia, ora so bene che tutte le ricchezze del mondo non bastano a colmare la perdita di una figlia, e solo la Fede in Dio potrà consolarci. Cambierò il mio carattere arrogante e diventerò un normale marito e amerò come meritate te e nostro figlio. Tutti i beni terreni sono nulla in confronto al bene del cielo”.
Amore negato
Il Diavolo
per conoscerlo
bisogna sposarlo.
La sposa bambina
avvolta nel sari da cerimonia
Il segno vermiglio sulla fronte
bevve il calice amaro.
Crocifissa
al talamo nuziale,
il ventre islamico
offerto al figlio di Allah;
l’unica oasi nel deserto
della sua non-vita
pare sia la morte.
A: Gisa 14 anni Kunduz
Rajastan 14 anni India
Nasreen 18 anni Kunduz
Fatima 17 anni Kabul
Rawan. 8 anni Yemen
Di Meco Lucilla 01 febbraio 2019
accetto il regolamento
sezione A
LILIANA SGHETTINI
ACCETTO IL REGOLAMENTO PER PARTECIPARE ALLA SEZIONE POESIA
LA RETE
Ecco la rete,
pura illusione,
parole vuote
alcuna emozione.
Ecco la rete
immenso mare
onde calme
continuo navigare.
Mare di pesci
variopinti e scuri
pronti a sbranarti
ovunque di giri.
Mare di parole
inutili da dire
mozze e rudi
insensato fluire.
Ecco la rete,
ci siamo dentro
illusorie gioie
e qualche turbamento.
CORPUS DOMINI (di Izabella Teresa Kostka)
Sono blasfeme le tue labbra
aggrappate di notte all’ostia della mia carne
eppure ci uniamo sull’ara come due profeti
dell’unico Dio chiamato “lussuria”.
Abbiamo gettato il decalogo al rogo
vendendoci per gl’istanti del profano piacere,
avvinghiati alle porte del paradiso
tra le cosce di fuoco dell’intrinseco inferno.
– Pace sia con noi –
mentre celebriamo il nascere della primavera
inseminando la Terra di dolce attesa,
moriremo insieme sulla stessa croce
lasciando il Seme per la Resurrezione.
– Corpo di Cristo-
corpo d’amore,
assaggiamoci
godendo del mistero della vita eterna.
Accetto il regolamento e partecipo alla sezione A poesie
Maria Carmela Dettori
sez A Poesia – accetto il regolamento
ORA CHE SEI UOMO
Ora che sei uomo, figlio mio,
e più non cerchi il mio sguardo
nel tumulto della folla,
ora che non sono più immortale
né infallibile e onnisciente,
né indispensabile al tuo tempo
e ai tuoi bisogni,
ora che più non mi pretendi
nel silenzio delle notti,
quando un contatto di pelle
ti bastava a svuotare il buio
di ogni tua paura
addolcendo il sonno e i sogni,
ora che l’amore è libero
da ogni sudditanza
e nello specchio tu vedi i graffi
di ogni mio limite e difetto,
e io non vedo più tutti i tuoi segreti,
non somigliarmi, figlio,
taglia le radici più profonde
dove purtroppo non arrivò il mio Io,
anche se mi hai perdonato
non somigliarmi dove io ho fallito,
ma non dimenticarlo,
fanne tesoro quanto mai prezioso
perché si avveri quel che dicesti un giorno:
-imparerò da te ciò ch’esser voglio,
madre, e lascerò le scorie indietro-
Ora che sei uomo,
e si è spenta l’eco di canzoni urlate,
resta la mia memoria
e la tua che cresce piano,
ma è pronta la mia mano
se avrai bisogno di rialzarti
cercando sicurezza in un abbraccio,
così certo e mai sopito,
dove l’amore in osmosi si rinnova,
battito di tenerezza senza fine,
polvere di silente nostalgia
che scioglie il suo peso e si ritrova
nei passi di una nuova via.
MaRiCà
Maria Carmela Dettori
sezB racconti – accetto il regolamento
UN PEZZO DI CIELO
Il bambino raccolse i suoi risparmi e in tutta fretta entrò nel vecchio bazar, dove l’insegna in legno di ciliegio proclamava “Qui troverete tutto quello che cercate”
-Buongiorno, signora -esordì- vorrei comprare…
La donna lo guardò incuriosita.
-Coraggio, cosa vorresti?
-Ecco, signora… questi sono i miei risparmi, ma in ogni negozio tutti mi dicono che non ce l’hanno e che sono matto a pensare di trovarlo. Qui avete scritto che avete tutto quello che uno cerca.
-E quindi, dimmi, tu cosa cerchi?
La guardò dritto negli occhi.
-Vorrei comprare un pezzo di cielo, il più azzurro che c’è, anche piccolo, fin dove arrivano i miei soldi.
Gli uscì tutto d’un fiato, poi restò fisso a guardarla, speranzoso.
-Come ti chiami, bambino?
-Riccardo. Ce l’hai?
-Vieni con me, Riccardo… ti fidi?
-Si
La donna chiuse la porta del negozio e aprì il retro, su un immenso campo verde fiorito, pieno di uccelli e di farfalle, con tanti alberi ricolmi di fiori e di frutti dove il sole e gli arcobaleni non conoscevano ostacolo alcuno.
Riccardo era ancora stordito da tanta bellezza, tanta musica e profumi, abituato all’aria chiusa e inquinata di città, allo stridere dei freni e al via vai delle auto.
-Signora, è magia questa?
Lei sorrise: -Si, è la magia della Natura. E adesso guarda in alto… cosa vedi?
-Il cielo, e com’è azzurro!
-Ecco, vedi com’è grande e lontano? Come faccio a tagliarne un pezzo? Come faccio a comprarlo e a venderlo? E come faremmo se tutti ne tagliassimo un pezzo? Dove andrebbero le stelle, la luna, il sole, le rondini… come scenderebbe la pioggia? e la neve?
Riccardo abbassò la testa.
-Tesoro, il cielo è lassù per tutti, è un dono che tutti hanno ma nessuno può possedere. Ma dimmi, perché ne vorresti un pezzetto solo per te?
-Perché ho paura del buio e così la notte posso metterlo sul cuscino e chiamare una stella a farmi compagnia.
La donna lo accarezzò e sorrise.
-Riccardo, apri le mani e guarda.
Lo stupore fu grande: nelle mani l’azzurro e tanti puntini lucenti, uno più grande di tutti.
-Vedi? Lo hai già il cielo: il sorriso delle persone buone, le carezze di chi ti ama e ti protegge, l’amore grande della tua mamma, quella stella più luminosa e bianca. Il buio non deve farti paura, esiste proprio per farti vedere la luna e le stelle, sentire il silenzio della notte e cullarti nei sogni. E quando penserai di avere ancora paura, poggia la tua mano sul viso e sentirai il calore dell’amore di chi ti vuol bene, tutto il loro amore, sentirai il cielo più azzurro nel tuo cuore, l’unico cielo che sarà tuo per sempre.
-Grazie, signora!- gongolò sorridendo.
Le regalò un bacio e uscì dal negozio guardando ancora le sue piccole mani.
Lungo la strada i soliti passi frettolosi della gente e il solito barbone con la schiena curva, la testa china quasi a toccare quel grigio rettangolo sotto le gambe incrociate. La mano, tesa a raccogliere qualche briciolo di pietà dal cuore dei passanti. Riccardo si fermò come al solito e, come al solito, mise nella mano un paio delle sue monete.
-Ah, sei tu! Il solito bambino che mi racconta che ha paura del buio! Grazie! –esclamò il barbone, chiudendo la mano e sfiorando le piccole dita- Se il mondo fosse dei bambini! Se i grandi fossero bambini!
Ma Riccardo questa volta si inginocchiò di fronte a lui, gli prese le mani e le strinse forte. Poi gli sussurrò in un orecchio:
-Non ho più paura, lo sai? Adesso so come avere il cielo e la sua stella più luminosa della notte
, ogni volta che ho paura, ogni volta che lo desidero. Anche tu, guarda, devi solo appoggiare la tua mano sulla guancia e sentire quanto ti voglio bene, anche quando non sono qui! Io sono un bambino e posso darti solo questo, ma nel cielo ci sono tante stelle ed è così bello quando c’è la luna tutta piena!
L’uomo baciò le manine strette nelle sue e una lacrima parve quasi benedirle.
Il sole si svegliò sbadigliando. Come Riccardo che lo guardava dal vetro. Che strano, gli sembrava proprio che una nuvola gli avesse fatto l’occhiolino!
MaRiCà
L’amore immaginato
Nel prolungamento di un bacio
intenso
mai dato
le dita lottano per trattenerlo.
Resto ad aspettarti
nel mio paese
dove le mura parlano di me
e vogliono conoscere te.
Verrai
domani o tra un anno
fiorisca questa gemma
rinnovato fiore al tuo sguardo.
Sotto cumuli di parole
ho un dono per te,
non contiene l’impossibile,
solo un silenzioso abbraccio
che con la forza di un onda
ti trascini fino a trovarmi.
Io donna di mare
tra schiuma di sole
riconoscerò l’amore
dal suono di un arpa antica
che lo sguardo non coglie
sussurra note al cuore e si nasconde.
Luciana Esposito
Sez.A Poesia Accetto il regolamento
Partecipo alla sezione a, accetto il regolamento
Bambino
Tornavi da scuola,
sul prato coglievi
margherite e papaveri,
col tuo candido sorriso
me li porgevi:
-mamma mettili in un vaso!
Mi raccomando non buttarli via,
li ho colti per te
perché sei la mamma più bella.
Io sorridevo,
ti stringevo forte,
il mio dolce bambino
ha colto margherite e papaveri per me.
Una lacrima scende,
son io ora
che ti porto i fiori
figlio
Col vestito logoro
della mia eterna solitudine.
Paola Pittalis
Angeli all’inferno di Sandra Ludovici
L’Aquila, Forte spagnolo, Dicembre 1657.
“Non omnis moriar”: gli uomini lasceranno sempre un segno perpetuo.
Tutte le città, come me, hanno un’anima: un senso del mondo e dell’amore.
La malinconia m’avvolge nello scoramento.
Verso il cielo salgono spirali di fumo. Sul suolo, la cenere dei corpi è mescolata dai carri colmi di cadaveri: la morte nera è arrivata tra i miei Quarti.
“La giovane era legata all’anello del palo della tortura. La tonaca, strappata, rivelava le carni illividite dal gelo.
Le frustate scavavano solchi sanguigni tra le grida di dolore.
Lo spettacolo della sevizia, nell’alone delle lanterne, era orrido, ma la gente godeva tra lazzi e frizzi.
Quando le ferite furono cauterizzate, risuonò un urlo raccapricciante.”
Nel lazzaretto del convento di San Giuliano, Sandra Farnese e Riccardo de Torres si prendono cura, come novizi, di una turba miserabile priva del necessario.
Escono ogni giorno, con i gruppi elemosinanti, preceduti dalla Croce.
Il tocco della mano di lei lo fa tremare. Gli sguardi di lui, senza parole, la fanno arrossire.
Brividi corrono lungo la spina dorsale dei due giovani.
E, un giorno, le loro labbra si uniscono mentre il desiderio riempie ogni spazio.
“Dio ci perdonerà”, si dicono.
“Era stata gettata all’interno della gabbia come una bestia feroce.
Seminuda, i capelli rossi sparsi sulla schiena piagata, sarebbe morta di fame, di sete e di freddo.
Sandra attendeva l’oblio e la pace, confidando nella clemenza di Dio.”
La madre superiora, tormentata da un’indicibile gelosia nei riguardi dei due giovani, è diventata cattiva e intransigente.
Ha perduto la serenità della preghiera e della meditazione.
L’invidia ha acceso la follia nei sui occhi.
Con la mente e con il cuore sconvolti dall’ira, ha segnalato al Tribunale dell’Inquisizione “la strega”.
“Riccardo, acquattato in un nascondiglio, emise un sordo gemito.
Si asciugò il pianto colato sulla barba bionda, disperato di non poter strappare alla morte l’angelo della sua vita.
Neanche un bacio per suggellare l’ultimo istante.
-Ti vendicherò,- mormorò fra i denti.”
Il giorno è fatto.
Sulla neve, rossa di sangue, un croce solitaria, tracciata da mani tremanti, parla d’amore.
Nel mio dolore penso, guardo i miei figli cui non ho saputo offrire un futuro… “E la campana sona novantanove …”.
Aquila
Sezione B – Accetto il regolamento
Déjà vu di Sandra Ludovici
La pallida immagine affiora dal sogno,
con armeggio usato da lungo tempo
s’intaglia avorio di stella nella notte.
Al muro del déjà vu conduce l’ombra,
enigma d’eco mutante ad assemblare
gli amorosi ricordi in bello sguardo.
In zona di silenzio e senza paura,
rivivono i momenti di tempo lieti,
desiderati più d’ogni altra cosa.
Al fin rotano lenti lenti in luce alta,
sfiorati dall’oblio tiranno d’infinito,
nella follia d’errore senza rimpianto.
Ologrammi in incanto d’armonia,
appendono i cuori con cavi sottili
al ponte stretto del primo amore.
Tra i sassi ancora grezzi dell’anima,
valva doppia di memoria di parte piana,
sfogliano la fondente felicità ancestrale.
Trasmigrano gotica essenza nei corpi uniti,
un primo e un dopo di bellezza espansa
incuneato nel mistero in transito d’incontro.
Sezione A – Accetto il regolamento
Una volta l’amore …
Una volta l’amore era diverso,
prima c’era il corteggiamento,
l’innamoramento,
poi arrivava l’amore vero,
il matrimonio,
dopo il sesso…
Ora funziona inversamente,
prima si fa sesso,
dopo l’innamoramento,
forse l’amore vero,
il matrimonio,
poi può capitare anche
la separazione …
così va il mondo attuale …
sez. A, accetto i regolamento
MATRIMONIO
Esco dalla terra
dannatamente umida
e cerco il tuo nome
l’ingresso alla tua tomba
per restare per sempre insieme
Laura Tramonto
Accetto il regolamento, sez. A
Accetto il regolamento
Sez.A
Voce
C’è solo un suono
nell’infinito
che mi fa tremare.
C’è solo una musica
che smuove dentro.
È la tua voce
che accarezza l’anima
e abbatte le montagne
livellandole.
Le lacrime
dagli occhi
sono di gioia.
Il cuore batte forte
le ginocchia cedono. .
sez A – accetto il regolamento
Il pianto dentro
Quando sai d’avere il pianto dentro?
Quando fai apparire tutto normale
e un sorriso affiora tenue sul labiale.
Quando racconti che stai molto bene,
che hai una vita giusta e ti sostiene.
Quando ti fai in quattro, per chi hai vicino,
con impegno costante, sai che è destino.
Quando non vedi la via del tuo cammino,
e senti un colpo al cuore, ad ogni suono.
Quando non senti chi ti parla da vicino
e non ricordi ciò che ormai ti sta lontano.
Allora sai di avere il pianto dentro,
un pianto convulso senza soluzione,
che non ha tempo, che non ha ragione,
un pianto duro, che cerca spiegazione.
Quando vorresti non aver memoria,
cancellar passato, con tutta la tua storia.
Quando un urlo ti si strozza nella gola,
più ti guardi attorno e più ti senti sola.
Quando fatichi a pronunciar parola,
cerchi e non trovi e fai solo la spola.
Quando t’avvii sul viale del tramonto,
allora sai d’avere il pianto dentro.
sez. B – accetto il regolamento
Una Rotonda sul mare
Ricordi palpabili, inalterati nel tempo che ha inghiottito gli anni quasi con rabbia. I miei 17 anni d’allora con i misteri della vita ancora tutti racchiusi in me e i sogni da realizzare, con la adolescente curiosità di aprire la porta alla vita, là in quella grande rotonda del Marechiaro a Gabbice Monte, sospesa fra cielo e mare immersa nel verde colmo di aromi e di musica. Lui dietro di me, io appoggiata al suo petto, stretta e cullata fra le sue rassicuranti braccia, ed insieme a cercare d’affondare lo sguardo verso un orizzonte indefinito, trapuntato dalle luci tremule e lontane dei pescherecci, la luna immensa ad argentare le leggere increspature del mare sottostante, e per azzurrare i nostri volti abbronzati. E le parole sussurrate fra i capelli. “Sei uno splendido fiore!” Ed io in cerca di conferme. “Mi ami?” Lo studiato silenzio per rafforzare le parole di giovane uomo esperto e poi. “Come potrei non amare un fiore appena sbocciato e che coglierò per primo!” Sussultai emozionata ed eccitata, il cuore già accelerato sobbalzò, lui era sicuro, sentiva che lo volevo con tutta la forza dei miei 17 anni e in quella stessa misteriosa notte! Non ci furono parole di consenso da parte mia, perché bastò il linguaggio del corpo, che feci aderire completamente al suo, i suoi baci si fecero più appassionati e profondi, a cui contraccambiai con tutto il trasporto di cui ero capace, volevo conoscere l’amore e lo conobbi, lì su una panchina immersa in una conchiglia verde, al riparo da occhi indiscreti, lasciai che dolcissime parole mi circondassero, che mi compenetrassero come tutte perle da conservare nell’anima! Rimanemmo poi stretti l’uno all’altra, con le emozioni in tumulto, inerti, svuotati, ma felici, l’immenso davanti a noi ci parve ancora più affascinante, non si distinguevano più le luci riflesse da quelle reali, tanto i due elementi primari ne erano colmi e ci lasciammo trasportare dalla musica dolce e appassionata di quei magnifici anni 60, in quella rotonda sospesa fra cielo e mare. “Passerotto domani sera ti aspetto! Verrai? Ricordati che ti amo tantissimo!” Sincero? Non lo saprò mai! Partii coi miei genitori quella stessa mattina, ma ricordo ogni istante della magica notte a Gabbice, però ho dimenticato il suo nome, o forse non me lo disse? Io l’ho sempre chiamato amore.
Laura Vargiu
SEZ. A – Dichiaro di accettare il regolamento del Contest.
IL RIMPIANTO
(dal mito di Dafne e Apollo)
Apollineo tocco d’amore
la mia corsa ritrosa avvinse,
dapprima sguardi e parole
infine il fianco sensuale
mi cinse
Fuggivo sdegnosa
l’abbandono sublime,
solitudine inebriava fatale
dacché libertà chiamavo
l’ancestrale paura d’amare
Ma le carni mie molli
or son legnose scorze,
le chiome sempreverdi fronde
le braccia intreccio di rami e di ombre
i passi lesti nodose orme
Mentre stilla di rugiada
è ormai muto pianto,
offusca eterno all’alba lo sguardo
e in sul vespro a gran voce
inonda del cuore ogni anfratto.
(Laura Vargiu)
L’inizio di una fine
Splendido affabulatore
con secondi e personali fini
ti ho ascoltato sputare
bugie buone, quasi vere
in confezione regalo;
sotto il segno di un Dio imperfetto
per giorni e giorni sono stata
cobra ammaliato dalla tua musica
jazz…acid jazz…soul…blues
(io venivo dal pop, reggae, wordl).
Meglio il silenzio ai ritmi dissonanti.
Non ti avevo, ti ho avuto? Ti ho perso.
Con il futuro addosso
bacio la tua anima sintetica
forse un po’ patetica
saluto le tue note malate
già migrate nei miei ricordi.
Fanculo la trasmutazione erotica,
fanculo la compassione!
Al momento non so dove abiti,
non in me, non in questa fine d’anno.
Troppa idealizzazione mi occlude i polmoni,
smorza i voli pindarici della mente.
Addio… ma con dolcezza.
Mentre attingo a orizzonti interni
assesto il baricentro dei miei pensieri.
SEZ. A accetto il regolamento
Il PIANETA DEL SILENZIO
Racconto di Michele Amabilino
Gli uomini erano diventati insensibili alla natura , avidi del Dio Denaro e il progresso rilasciava nell’ambiente sempre più grandi quantità di gas-serra, miopi allo scempio. I tanti veleni rilasciati nell’ambiente avvelenavano sempre di più i terreni , l’acqua potabile , i cibi e l’instabilità atmosferica provocava ovunque squilibri (desertificazioni , precipitazioni , alluvionali e altri fenomeni estremi inoltre tutte le specie di animali e del mondo vegetale , si erano estinte e il pianeta soffocava nel suo squallore ). Per risolvere almeno in parte il problema dell’instabilità atmosferica nelle città , gli scienziati avevano testato con successo delle macchine per stabilizzare il clima ma questo risultato interessava soltanto le città , oltre era il caos. In una città del futuro , in una giornata dal clima gradevole , là dove si affollavano operose masse di persone…
Un vecchio curvo saliva faticosamente le scale di un edificio con la sua nipotina per mano. Erano lì per una visita al museo di Storia Naturale , per ammirare la fauna e la flora , immagini olografiche di quello che un tempo aveva offerto agli uomini la natura. Entrati nell’edificio videro gruppi numerosi di persone e tanti bambini imbambolati a fissare immagini olografiche che si materializzavano come fantasmi.
-Nonno , cos’è questo animale qui vicino a noi ?
Il nonno :
– E’ un leone , si è estinto da tanto tempo per la miopia degli uomini.
La bambina : E quest’altro che sopraggiunge di corsa ?
Il vecchio :
-Un elefante , anch’esso estinto.
La bambina : Guarda nonno…ci sono i pesci che volano nell’aria , io non li ho mai visti…
L’uomo :
-Non ce ne sono più negli oceani per la pesca intensiva.
-La bambina :
-Nonno , da quanto tempo gli animali sono scomparsi ?
-Il vecchio :
-Da secoli e il mondo è così silenzioso e spoglio…
La bambina : Non possono tornare ?
Il nonno :
-No, appartengono al passato.
La bambina : Ma tu , da piccolo , hai visto gli animali ?
Il vecchio :
-Soltanto immagini olografiche.
La bambina con tristezza : Perché gli uomini hanno spogliato la natura ?
Il vecchio :
-Per miopia , soltanto per questo.
La bambina : I cambiamenti climatici sono stati un’opera dell’uomo ?
Il vecchio :
-Sì…
La bambina con voce accorata.
-Avrei voluto vedere i colori e le forme della natura ma tu , nonno…perché piangi ?
Il vecchio :
-Perché anch’io come te ho perduto il trionfo della vita !
2017
SEZ B accetto il regolamento
Il pianeta del silenzio sintetizza il mio amore per la natura
Benedetto Patti – Sez -B
Accetto il Regolamento
CASA NOVA
« È da tanto tempo che attendo questo momento, un magico momento. Sento già quest’atmosfera da favola da vivere entusiasticamente, finalmente! »
Corro alla finestra e vedo arrivare i primi invitati, ma non li riconosco. Altri arrivano dietro via via. Li vedo affrettarsi verso l’entrata della villa. Tra poco ci sarà un po’ di vita in questo immenso salone con tutte le luminarie accese. I musichieri sono sistemati pronti al mio cenno ad animare la serata.
Di lato c’è un lungo tavolo imbandito di ogni bontà e prelibatezze culinarie, i migliori vizi e stravizi del palato più ricercato. Si popola la sala e si anima di voci e risa, ilarità di convenienza o di vero cuore, di questo si sente lo stridore.
« Che inizino i festeggiamenti! », grido alla platea convenuta. Stasera è festa più di ogni altra festa, e vorrei uscire da qui con una fortunata conquista sotto braccio!
« Orsù dame e madame celate, svelate meco le vostre carte, giocatevi con passione questa serata d’adulazione.
« Che sia musica Maestro! »
Inizia un tempo di rondò abbastanza lento, per dar così modo al madame, celate e mascherate, di girare tra i primi invitati astanti. Le prime dame dinanzi a lui, il padron di casa, belle ed ansimanti d’esser scelte per prime, come il loro fremito esprime.
Passo felpato e lento, sguardo ammicchevole ed intrigante, sfioramenti di spalle, si tendono i visi dietro la celata beltà …
« Madama permette questa danza per approfondir la di lei conoscenza? »
« Oh sì signore, se questo è lo vostro disio, e sia, vi porgo la mano a seguitar festante la musica andante. »
Iniziamo a danzare così mano nella mano, voi girare di qua, io giro di là … Che bella questa musica che ci porta a volteggiare, con eleganza ed impazienza. Via via si fan più stretti si fanno i giri, intorno i corpi iniziano a strusciarsi, dapprima una spalla poi un mezzo busto ed infine una guancia a sfiorar l’altra.
Così bloccati si inizia a sospirare qualche prima parola di assaggio.
« E voi dama così ben vestita, cotanto bella e raffinata, ma celata, di grazia, m’apra il suo sentimento che in petto batte, se sente un velo d’attrazione verso lo suo signore danzante. »
« Oh ma certo ch’avria da dire ciò che sento dentro al mio petto, per un giovin signore bello come tale de lo vostro aspetto pare … »
« Ah! Altro non aspetto che a deliziarmi del vostro verbo, mostratemi il vostro animo sincero ed io vedo come potria dar corso a soddisfar le vostre volenze … »
Roteando lentamente, un passo e poi un altro ancora, si cambian di posto e di guancia, con sguardi scrutanti oltre ciò che appare alla luce, penetrare l’animo a cercar un antro sicuro ove dis-celare verità d’intenti.
« Di lei si sente udire un gran bene nel disquisire ed anche oltre poter andare se con garbo e riservatezza si puote comportare, come conviene al rango che le si addice. »
« È l’animo impetuoso che arder volesse, se corrisposto apre sogni d’inusitato disio, mai flacco a cedere, piuttosto ad eccedere, ello sovente si lancia! »
« Spero sapria contenere lo spirto vostro ardente di piacere, se si avvicina dolcemente tanti servizievoli piaceri si posson desinare, ma sempre con tatto e riverenza adeguata al rango mio, messere! »
« Deh, per vostra fortuna insaziabile è la mia volenza esperta, e più s’accende e più animalesca pare, scendendo nei meandri del piacere che solo la carne osa offrire. Concedetemi prova dell’arte che l’amore sa infervorare. »
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Questo non è che un esempio dell’arte oratoria, affabulante ed incantatrice, del nostro giovin signore, che pose suo nome come “Casa sempre Nova d’amori”, per il diletto suo di soddisfar sempre più rinnovati piaceri e forse … “amori passeggeri”!
“ È meglio aver amato e perso
che non aver amato mai”.
( A. Tennyson)
Lettere d’amore
(stanze di canzone)
aBCbACCDEeDfDFF fDFF
Le lettere d’amore
da tempo chiuse in fondo ad un cassetto
narrano al buio storie ormai lontane,
ma ciò che non fu letto
sempre ritorna con il suo dolore,
dolci tormenti, pianti, frasi vane,
e le promesse eterne, ma profane.
Gli antichi ardori furono domati,
il tempo, indifferente alle emozioni,
scolorì le illusioni
inaridite in fuochi ora placati
e non senza rimpianti;
noi dal nemico tempo separati,
fummo ad un tratto come due viandanti,
dimenticammo d’esser stati amanti.
Oggi si scioglie il nodo
della passione che tra noi bruciava:
fummo gettati nell’oscuro altrove
da un pensiero che urlava
l’eco di te, l’assenza di un approdo
che riscaldasse il cuore. Ora commuove
quell’ingiallita storia e foglie nuove
mette una rosa rossa che si annuncia.
Il nostro amore visse di parole
che non videro il sole,
e del destino fu dura pronuncia;
ci fu forse poesia
nei sogni profumati di rinuncia.
Dubbiosa fui del tuo malato bene,
mi liberai da inutili catene,
furono tristi pene;
ma dal cassetto suona la denuncia
di ciò che non cogliemmo e ci fu dato
e resta tra i rimpianti del passato.
Accetto il regolamento
I buchi alle orecchie
(Breve favola vera che spiega perché due delle quattro sorelle Cossu non avevano e non hanno i buchi alle orecchie)
C’era una volta una famiglia felice …
Questa però non è la classica storia che si racconta ai bimbi per convincerli a dormire; non ci sono fate, folletti, mostri terrificanti e streghe cattive.
E’ l’epoca della narrazione che, pur essendo vicina o quasi, sembra venire da un mondo lontano, fantastico e forse dimenticato.
Torniamo alla famiglia felice: Norma e Domizio si erano conosciuti a Monterotondo, lui bello come il sole, marinaio della Regia Marina veniva da un paesino della profonda Sardegna, Pabillonis ; aveva smesso di studiare alla vigilia del diploma perchè, dopo la morte di sua madre e per altre vicende, la sua famiglia non poteva più sostenerlo in collegio a Cagliari, ed era partito.
Il Continente lo aspettava pieno di promesse e di presagi; lo aspettava anche Norma fiera, indomita, consapevole.
Aveva quattordici anni quando conobbe Domizio e da quel momento le loro vite si fusero.
Lui la amò sempre teneramente e lei si lasciò amare; lui cercò sempre di soddisfare i capricci di lei che accettò la devozione del marito come una cosa tanto naturale da non meritare troppa considerazione. Insieme, uniti,attraversarono gli orrori della guerra e misero al mondo quattro figlie bellissime come i genitori.
Questa premessa introduce uno dei tanti momenti della famiglia felice nell’arco di oltre settanta anni di grandi gioie e di profondi dolori: la nascita delle quattro figlie (tutte femmine, povero papà), i matrimoni, le nuove nascite, qualche abbandono e anche l’intollerabile morte.
Per i curiosi che non conoscono i fatti voglio raccontare a Barbara, ma non solo a lei, perché Dora e Francesca, detta Franca, nell’ordine la seconda e la terza figlia, non hanno i buchi alle orecchie, mentre Marisa e Marinella detta Nella, nell’ordine prima e quarta figlia li hanno.
All’epoca dei fatti i figli nascevano a casa e le partorienti, se erano fortunate, potevano contare sull’esperienza di una levatrice che, oltre ad accogliere la nuova vita, aveva il compito, nel caso si fosse trattato di una femmina, di fare i buchi alle orecchie delle ignare bambine. Gli strumenti erano un tappo di sughero, un ago sterilizzato alla fiamma di una candela, alla cui cruna era stato infilato un filo che avrebbe fatto da primo orecchino, da sostituire poi con le monachelle d’oro.
Così era stato per Marisa. Dora e Franca non avevano subito, per ragioni ignote, lo stesso trattamento e quindi non avevano i buchi alle orecchie.
Accetto il regolamento
Accetto il regolamento del concorso.
Sezione B: Racconti
Titolo: Ricordi Mobili
Wordcount: 1000 parole
RICORDI MOBILI
“Buongiorno Attilio”, l’infermiera del turno di giorno lo salutò con un gesto della mano, prima di aggiungere: “Anna ha dormito proprio bene, sa? Come un angioletto”.
L’uomo, un pensionato settantaseienne di nome Attilio Bruni, annuì con un sorriso quieto, prima di rispondere al saluto con un gesto del capo e proseguire a passo sicuro. Conosceva quei corridoi a menadito, rifletté. Senza abbassare lo sguardo, ormai, avrebbe potuto persino indovinare il punto esatto in cui le piastrelle color crema si accavallavano un poco.
“Buongiorno Attilio”, la voce della signora delle pulizie lo fece voltare.
“Buongiorno Maria”, rispose quindi con un sorriso sincero, “Come sta oggi? Come stanno i suoi figli?”.
La donna replicò con mormorio sconsolato che voleva dire: “Lasciamo perdere”, poi scosse il capo, come a voler cacciare i cattivi pensieri, e sorrise.
“Mi saluti la signora, mi raccomando!”, aggiunse, quindi voltò l’angolo e sparì dalla vista dell’altro.
Attilio annuì distrattamente, prima di proseguire e fermarsi pochi metri più in là, davanti all’ennesima porta bianca. Senza attendere oltre bussò piano, per poi afferrare la maniglia e aprire.
“Si può?”, chiese, sorridendo alla vista che gli si parò di fronte.
Stesa sul letto di destra, le lenzuola aggrovigliate intorno alle gambe esili e l’espressione corrucciata, Anna Bruni dormiva ancora.
Si erano conosciuti in chiesa, come spesso accadeva ormai decine di anni prima. In quella stessa chiesa, pochi mesi dopo, si erano sposati in un tiepido pomeriggio di maggio. Era bella, quel giorno, la sua Anna, con il vestito bianco e quel sorriso vivace che le arrivava sino agli occhi, rendendoli caldi e luminosi. Era meravigliosa la sua “piccinina”, come la chiamava sempre, il giorno in cui gli disse: “A breve saremo in tre, Attilio”.
L’uomo si sedette di fianco al letto e si mise a sfogliare uno dei volantini con cui le infermiere avevano riempito il cassetto del comodino. Di fronte all’ennesima rappresentazione stilizzata del corpo umano, Attilio sospirò e lo rimise a posto.
Osservò per un attimo le mani della moglie, sottili e un po’ nodose. La pelle chiara faceva risaltare l’oro giallo della fede che portava all’anulare e che non si toglieva proprio mai, quasi la donna avesse paura di perderla.
Le avevano comprate da un orologiaio di San Marino, quelle fedi. Avevano preso la corriera del mattino, un sabato d’inverno, per poi perdersi tra la vie del borgo medievale. Si erano stretti l’uno all’altra, cercando di ripararsi almeno un poco dal vento gelido che si abbatteva sui bastioni. Le mani strette, non si erano separati nemmeno quando era venuto il momento di prendere le misure per gli anelli.
“Siete proprio una coppia speciale”, aveva commentato il commerciante con un sorriso intenerito.
Anna sussultò nel sonno, riportando Attilio alla realtà. L’uomo le strinse la mano, prima di carezzarle il braccio con l’altra.
“Va tutto bene, Anna”, mormorò, “Sono qui”.
La donna mugugnò qualcosa, poi volse il capo e continuò a sonnecchiare.
Erano morbide, le mani di Anna. Tutti i giorni, prima di lasciarla con la promessa di tornare il mattino seguente, l’uomo le massaggiava con quella crema bianca e densa che la moglie tanto amava. Ogni giorno, Attilio prendeva le mani di lei tra le proprie e le copriva con un velo di pomata, prima di baciarne i polsi e congedarsi con un sorriso.
“Ci vediamo domani”, le diceva sempre.
Era amore pure quello, rifletté l’uomo. Amore era anche trascorrere ogni giorno nella stanza d’ospedale di Anna, condividendone pasti e coperte. Amore era stringerle forte la mano quando un’infermiera arrivava per un prelievo di routine, perché alla donna gli aghi non piacevano proprio per niente. Amore era stato, mesi prima, annuire alle parole del medico e sorridere rassicurante nonostante la paura di perderla inesorabilmente, poco a poco.
Quando la memoria della moglie aveva iniziato a vacillare, Attilio era arrivato in ospedale con un enorme album fotografico ed aveva passato pomeriggi interi raccontandole aneddoti e storielle buffe. Amici e parenti si erano quindi trasformati nei protagonisti di storie che, agli occhi meravigliati e curiosi di lei, sembravano favole.
Ad ogni “Dove sono? Che succede? Chi siete?” l’uomo aveva spinto il proprio dolore e le proprie paure in un angolo remoto della propria mente e l’aveva rassicurata. Ogni volta che l’aveva vista vacillare, l’aveva sorretta e le aveva stretto la mano, regalandole un sorriso delicato. Aveva accolto ogni diagnosi, risultato o consulto medico increspando le labbra in un sorriso accennato, Attilio.
“Lo faccio per lei”, spiegò un giorno all’infermiera del turno di notte, “Lo faccio per tranquillizzare la mia Anna”.
“Non so proprio come fai, papà”, gli aveva detto un giorno sua figlia Elena, la voce piena d’ammirazione e reverenza, “Io non so se ce la farei”.
Lui si era stretto nelle spalle, evidentemente imbarazzato di fronte a tutti quei complimenti. Era semplicemente un altro modo per star vicino alla donna che amava, rifletté, l’ennesima tappa di un percorso ad ostacoli intrapreso ormai anni addietro.
Un sussulto di Anna lo fece voltare. Gli occhi di lei si aprirono lentamente e la donna, muovendosi a malapena, cercò di tirarsi su.
“Lascia che ti aiuti”, le sorrise rassicurante, prima di passarle una mano attorno alla vita ed aiutarla a mettersi seduta.
“Ti sei fatta proprio una bella dormita, Anna”, continuò con tono leggero, poi si voltò verso il comodino e prese il fazzolettino a fiori che la moglie aveva comprato anni prima, alla fiera d’estate, e le pulì le labbra incrostate.
Anna lo osservò con curiosità, prima di alzare una mano ed accarezzargli la guancia.
“Grazie, Attilio”, mormorò con voce un poco rauca, “L’hai portata tu Elena a scuola?”.
Amore, realizzò Attilio in quel momento, era anche dire la cosa giusta. Pure se si trattava di una bugia.
“Sì, Anna”, annuì con tono rassicurante, “È tutto a posto, non preoccuparti”.
Senza lasciarle la mano, l’uomo si voltò verso il comodino ingoiando un singhiozzo sommesso.
“Che ne dici di fare colazione? Oggi c’è il budino alla vaniglia, il tuo preferito.”
“Mais un souvenir, un chagrin, sont mobiles. Il y a des jours où ils s’en vont si loin que nous les apercevons à peine, nous les croyons partis.” Marcel Proust, À la recherche du temps perdu.
(“Ma un ricordo, un dolore, sono mobili. Ci sono giorni in cui fuggono così lontani che a stento li scorgiamo, e li crediamo andati via per sempre.” traduzione di Maurizio Grasso per “I mammut”, Newton edizioni).
Grande Amore mio
Amore!
Tu sei il sole
che illumina il mio mattino,
e, come un sorriso tra le lebbra,
accende di felicità il mio cuore.
Sei il mio cielo,
immenso e illimitato,
che mi accoglie entro il suo orizzonte,
sei la stella della notte
che brilla nell’oscurità
e protegge i miei sogni.
Sei il faro
che mi riconduce a terra,
come una barca
quando c’è una burrasca.
Sei l’autunno
che dipinge di beltà
il quadro della mia vita,
sei poesia indelebile,
scritta sul mio corpo,
incisa nella mia anima,
che mi fa vibrare e pulsare il cuore.
Sei il respiro vitale,
il sogno della mia vita
fattosi realtà.
Fiorella Fiorenzoni
Accetto il regolamento
Stelle d’agosto
La notte accendeva le prime luci nel cielo blu d‘agosto. L’aria era fresca, piacevole, come la brezza che spirava leggera, portandosi via le fatiche del giorno. Giulia e Lorenzo erano arrivati al piazzale attraverso i viali alberati che si snodavano verso la collina. Dopo aver parcheggiato, si erano diretti, mano nella mano, verso la terrazza, per affacciarsi a vedere il panorama. Da lì ammirarono a lungo, in silenzio, il cuore della città, che brillava come fosse un lago su cui si riflettevano le stelle del cielo. Si erano conosciuti tre anni addietro proprio quello stesso giorno, in quel piazzale da favola: Lorenzo, seduto sulla balaustra, suonava la sua vecchia chitarra mentre lei, in compagnia di altre amiche, si era voltata per caso, verso quella dolce melodia, incrociando, con un sorriso, gli occhi di lui.
– Sai Giulia – disse Lorenzo con un tono sottile di voce guardandola negli occhi – da quando ti ho vista, ho capito che eri tu la persona che desideravo avere accanto e sento che con te la mia vita è completa perché sei tu colei che mancava al mio cuore. Vuoi sposarmi?
– Luce dei miei pensieri, sogno della mia vita, sì, certo che voglio sposarti – rispose con un filo d’emozione Giulia.
A lungo mirarono quel panorama e quel cielo, che ora ardeva di stelle, come i loro cuori d’amore.
FIORELLA FIORENZONI
Sezione B – Accetto il regolamento
L’abbraccio.
Nell’abbraccio ho visitato paesaggi interiori
Ho solcato ogni volta un torace
Ho baciato la terra della dolcezza
Anche in inverno
durante l’abbraccio
ho sentito espandersi nell’aria il profumo di umanita’
di amicizia
dalla ferita del sogno o del dolore
È sempre un rifugio caldo
l’abbraccio
Antonietta Fragnito
accetto il regolamento (sez. A)
Amore
Amore è quando guardi l’orologio e le ore non passano.
Le giornate da solo ti ammazzano e non passano.
Solo è quando non sei con gli amici e non hai nemici.
Amore inteso l’altro sesso o lo stesso.
E’ tale, non è paranormale.
Amore è come Natale.
Se ami qualcuno non è reato penale.
Dai! Ama! E’ facile! Non è difficile!
Accetto il regolamento (sez.A)
BRIVIDO D’AMORE
Riempirò i silenzi per cercarti
dietro pensieri che ti inseguono.
Volerò in alto per cercare nel cielo il tuo respiro.
Ascolterò le tue canzoni
per provare le stesse emozioni.
Danzerò le tue ballate per sognarti ancora.
Solo allora capirò
che cercarsi è già incontrarsi
in quell’amore che mi travolge e mi sconvolge.
Camminerò nel buio della notte
per orientarmi con la tua immagine.
Sorriderò alla vita pensandoti accanto
quando le tue mani mi sfioreranno.
Aspetterò con ansia le tue labbra
per unirle alle mie in un bacio appassionato
per sentire il brivido d’amore che porterà.
Solo allora comprenderò che cercarti è già averti
in questo tempo che trafigge il giorno…
Accetto il regolamento
partecipazione alla sezione A
L’ABBRACCIO DELL’AMORE
Negli occhi della mia musa s’intravede
Una mestizia che non trova il suo sollievo
Il sangue che sfugge dal suo prelievo
Filtrando lo stretto ventre della fede
L’angoscia s’appropria della ragione
Sgombrando i cassetti della pace
Lo stomaco si chiude. Il cuore tace
L’anima scappa dalla sua dimensione
Negli occhi della mia musa intravedo
Oltre le nuvole grigie dell’amarezza
La sagoma di un’archetipica bellezza
Impaurita tra le ombre del suo arredo
Giace inerme nel limbo del suo giaciglio
Protetta dall’abbraccio della solitudine
Di una Rosa si amano anche le spine
La carezzo come una madre con suo figlio
Negli occhi della mia musa inietto
La medicina dell’amore più innocente
Vezzeggio il suo sorriso così silente
Si conforta tra i sussulti del mio petto
GIUSEPPE CHICO (accetto il regolamento, partecipando alla sezione A)
Vivere
Vivere è aprire gli occhi
e sorridere ancora
cercare la luce
e non guardare il buio.
Vivere è sperare ancora
oltre il temporale assordante
saltando parole gonfie di pioggia
lasciando che l’inverno finisca.
Vivere è respirare l’aria pulita
ossigenando le idee semplici
per trasformarle in melodie
di note che avvolgono.
Vivere è ricordare il bene
fatto e ricevuto
per ringraziare sempre
imparando ad amarsi.
©LM/LiZ
Lina Mazzotti
Sezione A – Accetto il regolamento
sez B accetto il regolamento
Bruk
Era lunedì, il giorno del grande mercato. Il profumo delle frittelle solleticava i nasi nel cortile. La madre di Hada si era alzata all’alba per prepararle: le aveva messe in una ciotola, coperte con un telo e sistemate in un catino con pomodori, cipolle, patate.
“Sbrigati o farai tardi” urlava.
Hada nella capanna frugava nella cesta. Aveva fasciato il suo corpo col drappo più bello e la sorella grande le aveva fatto le treccine.
“Sembra che tu vada a un matrimonio!” sghignazzava la piccola.
Hada fingeva di non sentire; aveva trovato un frammento di specchio e ammirava le labbra carnose, le file di denti bianchissimi, gli occhi dal taglio obliquo.
La voce della grande l’aveva fatta sussultare.
“Sei una giraffa vanitosa…Se ti vede la mamma…”.
La madre le aveva posato il catino sulla testa.
“Vendi tutto, mi raccomando!”.
Hada era felice come un uccellino uscito da una gabbia; poco importava se la strada era lunga e il carico pesante…
Il mercato era un grande luna park, fatto di forme, colori, rumori, nubi fumo, sacchetti per terra, voci di bambini. Era una finestra dove affacciarsi e guardare. Hada lo sapeva, per questo si impegnava nei lavori domestici. Non voleva rischiare che al suo posto andasse la sorella.
Aveva posato il catino e messo la verdura sul telo.
Le parole delle donne nelle orecchie.
“Hai dormito bene? Tuo figlio come sta? E tuo marito? E la mamma?…”
“Frittelle…pomodori…cipolle…costano poco…” urlava Hada.
Il profumo delle frittelle insisteva nei nasi e loro si fermavano.
“E …un po’ di patate …fammi un buon prezzo!…”.
Hada aveva lasciato il catino vuoto sulla strada e s’era buttata nella mischia per riempirsi gli occhi e afferrare frasi da portare a casa.
Davanti al baracchino delle bibite ragazzi e ragazze aspettavano, si guardavano, sorridevano.
Hada contava le monete nella mano. Spingeva e si infilava fra corpi avvolti di righe colorate, di zig zag, di forme geometriche.
“Un succo d’ananas… quanto fa?” urlava col braccio alzato.
“Aspetta!”
Lei si era voltata
“Ci penso io…”.
Hada lo guardava ferma come un pesce al sole.
Chi sei? avrebbe voluto chiedergli.
Lui era bello, sembrava un dio.
Il bicchiere tremava nella mano. Lui la fissava e sorrideva.
I passi veloci sollevavano polvere. Il catino sulla testa. Negli occhi quel viso bellissimo. Nella mente la voglia di rivederlo. Subito. Hada aveva tirato un calcio ad una pietra. Fra una settimana. Forse.
“Rallenta o… mi scoppieranno i polmoni…”
Hada si era voltata: il fiato non c’era più e il cuore galoppava. Lei non capiva. Colpa di uno spirito malvagio?
“Sei una gazzella in fuga..”.
Nel sorriso i denti perfetti.
“Come ti chiami?”
“Hada…e tu?”
“Bruk”.
Hada spazzava via goccioline dalla fronte. Nella bocca il deserto.
Il sole era padrone assoluto del cielo: padrone feroce, senza pietà.
“Ci fermiamo …vuoi?”
Lei aveva fatto sì con la testa.
Avevano attraversato un campo d’erba gialla. Laggiù, una massa verde chiaro risaltava sul bianco. Era un miraggio…
Venite, diceva l’albero, i rami aperti come braccia.
“A cosa pensi?” le aveva chiesto Bruk.
“Se c’è un albero…c’è un villaggio e… della gente…”
Lui rideva.
“Che t’importa?”.
Si era avvicinato. Profumava d’erba appena tagliata. Hada sentiva la testa girare.
Si erano seduti. L’ombra come acqua dissetava i corpi. Bruk si era tolto la maglietta. Un colpo. Improvvisamente il cuore di Hada cadeva e si frantumava. Gli occhi incollati al petto di Bruk. Nelle orecchie, insistenti, le parole del nonno.
“La nostra gente ha un nemico: il popolo della costa. Gli uomini razziarono i nostri recinti, armati di machete distrussero, violentarono, uccisero. Hanno scarificazioni sul petto a forma di rombo…nessuna donna può avvicinare uno di loro senza scatenare l’ira degli dei!”.
Hada guardava per terra.
“Stai male?”
“No… ma …io….”
“Sei bella”.
Bruk le aveva preso il viso fra le mani e posato la bocca sulle guance, sul collo.
Un brivido la percorreva tutta e la faceva tremare. Aveva paura.
Calmati, si era detta, non è nulla, forse è …l’amore.
L’amore? Hada non lo conosceva. Pensava fosse il rantolo della mamma quando suo padre le sbuffava addosso come un toro.
Si sbagliava.
Bruk le aveva sciolto il drappo. Le mani modellavano il suo corpo come l’artigiano un vaso. Non ci credeva: lei, giovane pantera, impotente di fronte all’amore.
Si sentiva leggera come una nuvola e sperava che il vento non l’arruffasse…
— STOP PARTECIPAZIONE AL CONTEST —-
— I FINALISTI SARANNO AVVERTITI VIA E-MAIL E SUCCESSIVAMENTE SARANNO PUBBLICATI CON IL NOME DEI VINCITORI —
— VI RINGRAZIAMO PER LA PARTECIPAZIONE —
— I 14 FINALISTI DEL CONTEST—
— nei prossimi giorni la giuria sarà impegnata nelle ultime votazioni per decretare i 6 vincitori —
Sez. A ‒ Poesia
“Questo amore” di Stefano Peressini
“Crepuscolaria” di Gaetano Cuffari
“A mia madre” di Marina Pieranunzi de Marinis
“Il pianto dentro” di Rossana Emaldi
“Ora che sei uomo” di Maria Carmela Dettori
“Ho assunto la tua forma” di Italo Zingoni
“Quando ottobre verrà” di Claudia Ruscitti
Sez. B ‒ Racconto breve
“Ricordi Mobili” di Samanta Berruti
“Stagioni” di Silvana Sonno
“Pensieri paralleli” di Sergio Spena
“I love you” di Paola Santacroce
“Il lontano Mungibeddu” di Giovanna Li Volti Guzzardi
“Bruk” di Luisella Grondona
“Consummatum est” di Tiziana Topa
VINCITORI DEL CONTEST:
http://oubliettemagazine.com/2019/02/26/vincitori-e-finalisti-del-contest-di-poesia-e-racconto-breve-al-tuo-cuore-con-la-poesia/
LEI IL MONDO, LUI IL CIELO
Lei gli insegnò a resistere
allo sfinimento che lo sovrastava,
a insistere
quando serviva un’altra prova.
Lui le insegnò a lasciar correre
un ipocrita insulto,
a non portare rancore
a ciò che è irrisolto.
Lei gli insegnò a distinguere
al di là dell’ombra
i valori in rilievo
da fossilizzare come l’ambra.
Lui le insegnò a sopportare
chi deride senza competenza,
perché si faranno ricordare
per la loro inconsistenza.
Lei il mondo,
lui il viaggio
attraverso il mondo.
Lui il cielo,
lei la luce
che trapassa il cielo.
TUTTO HA UN NOME
Il sussurro del vento
che mi porta voci lontane,
la notte che nel suo cupo manto
avvolge ogni essere
maschi e femmine
belli e orripilanti
senza distinzioni…
Il sole fanatico e incandescente
che alimenta i semi della vita,
l’acqua che scrosciando instancabile
ricolma senza preavviso
di freschezza o di tragedia,
tutto ha un nome oggi…
La musica
fusione eterna di sensazioni
che naviga attraverso l’etere
con il suo carico di memorie,
anche il pianto amaro
di quegli occhi bambini,
e il sangue che ha il colore delle fragole
ma il sapore dolciastro nauseante
tutto ha un nome oggi…
Il mare che infuriando senza pace
sembra voglia dirmi qualcosa,
il fuoco che mi brucia dentro
padrone assoluto e tiranno
e l’orgoglio
che finalmente mi ha scosso
frantumando l’ultima briciola
di quelle ataviche paure
sciogliendomi nel fantasticato amplesso,
sì, tutto ha un nome oggi…
dolcissimo, il tuo.