“Dickens – L’uomo che inventò il Natale” di Bharat Nalluri: l’adattamento cinematografico del romanzo di Les Standiford
Del romanzo di Les Standiford, Dickens – L’uomo che inventò il Natale, nel 2017 è stato tratto un adattamento cinematografico realizzato dal regista Bharat Nalluri, che mantiene lo stesso titolo del libro.
Scrittore e storico americano, Les Standiford ha scritto il romanzo dopo aver scoperto, che l’illustre Canto di Natale in prosa di Charles Dickens ha rischiato di non arrivare al grande pubblico, per il rifiuto di pubblicarlo da parte degli editori dell’epoca, a causa dei tre precedenti e clamorosi insuccessi dell’autore. Vero è che allora, quando venne dato alle stampe, Charles Dickens dovette ricorrere all’autopubblicazione.
Film incentrato sulla figura del grande scrittore, Dickens – L’uomo che inventò il Natale ha l’ambizioso scopo di descrivere il processo creativo che portò lo scrittore a partorire uno dei romanzi più celebri della letteratura d’ogni tempo.
“Chi può decidere cosa è peccato e cosa è disegno di Dio?” ‒ Charles Dickens
Charles Dickens nasce a Portsmouth (Inghilterra) nel 1812; costretto a lavorare fin da piccolo, la sua infanzia si consuma povera e infelice.
A 26 anni però, con Il circolo Pickwick arriva al successo; il libro gli dà immediata fama nello scenario della narrativa inglese, grazie anche all’abilità creativa dell’autore di saper cogliere con ironia vizi e virtù della società perbenista vittoriana, e dei personaggi che la popolano.
Personaggi che proprio per le sagaci descrizioni di Dickens diventano veri e propri modelli: ricchi borghesi e aristocratici, oppure popolani e gente di strada.
Dickens può essere considerato il padre del moderno romanzo sociale, in virtù degli elementi mesti e dolenti che imprime ai suoi romanzi, e che sa sfruttare con consapevolezza.
Infine, nel 1870, lo scrittore abbandona per sempre la vita terrena.
“Siete qui per mostrarci le cose non avvenute, ma che avverranno in un tempo futuro…”
È il 1843 quando Charles Dickens, autore prolifico, dà vita a Canto di Natale in prosa, opera dalla caratteristica ambientazione natalizia assai commovente. Da ascrivere al genere fantastico, Canto di Natale in prosa è romanzo breve, ma dal significato importante.
Ambientato a Londra nei giorni che precedono il Natale, il racconto descrive il protagonista, Ebezener Scrooge (Christopher Plummer), come un vecchio avaro e interessato unicamente ai beni materiali.
L’uomo vive perennemente arrabbiato, ed è infastidito da tutti coloro che invocano un canto o si preparano a festeggiare il Natale secondo i riti tradizionali.
Vero è che considera il periodo dell’Avvento non come un’opportunità per manifestare affetti e sentimenti sepolti dalla quotidianità, ma un’inutile perdita di tempo, tanto da far lavorare il suo dipendente anche nei giorni prenatalizi.
Ed è proprio prima della festività, che Scrooge viene visitato da tre spettri che rappresentano il Natale del passato, del presente e del futuro.
Ma prima di questa visita, ne riceve un’altra, che lo turba profondamente. Quella del suo socio, Jacob Marley, morto sette Natali prima, il quale lo rimprovera per averlo fatto diventare un uomo arido e duro, motivo questo che gli impedisce di trovare la pace ultraterrena. Rientrato nella sua abitazione, Scrooge percepisce un’atmosfera particolare, quella che gli annuncia l’incontro con i tre spettri.
Spettri con cui intreccia dialoghi intensi e che, attraverso una sorta di trasposizione, lo conducono a visitare episodi legati al suo passato, mettendo in discussione il suo modo di concepire l’esistenza.
“È veramente necessario che queste cose succedano, o sono solo possibili? Intendo, se gli uomini cambiano le loro vite cambia anche il loro futuro? È questo che vuoi insegnarmi?”
Ma, tornando al film di Nalluri, il quale racconta la genesi di Canto di Natale in prosa, nello sviluppo filmico si può rintracciare il canovaccio già conosciuto nel romanzo di Les Standiford.
Rientrato a Londra da una tournée americana, Charles Dickens si ritrova oberato dai debiti, a cui si aggiunge un blocco creativo di ampia portata.
Reduce dall’insuccesso di ben tre romanzi, e desideroso, anche per esigenze economiche, di dar vita a una nuova opera, cerca un’ispirazione che pare non trovare. A venirgli in soccorso sono i personaggi, gli stessi che andranno poi a popolare il suo romanzo, che gli appaiono come fossero in carne e ossa e con cui stabilisce dei dialoghi che gli permettono di tratteggiare dei tipi ben precisi. Tipi di personaggi che gli appaiono sia in visioni oniriche come in quelle inserite nella realtà dell’autore, con caratteristiche e umori, che permettono loro di assumere vita propria.
I personaggi intervengono nei momenti più imprevedibili della vita di Dickens, per dargli la giusta spinta creativa che lo porta a scrivere in sole sei settimane A Christmas Carol, titolo originale del libro, e a pubblicarlo pochi giorni prima del Natale.
“Scegli il nome giusto, e il personaggio ti apparirà…”
Gli suggerisce il vecchio Scrooge (Christopher Plummer), in un dialogo unico e struggente. Anche in questo caso, Scrooge è protagonista del film intorno al quale viene costruita la trama.
E, grazie a incontri che possono sembrare surreali, il vecchio interviene a proposito delle peculiarità da imprimere al proprio personaggio, fino a discutere con lo scrittore sulle diverse caratteristiche che l’autore dovrebbe assegnargli.
Sempre più turbato, quando Scrooge incontra Marley, il suo vecchio socio, che non è stato risparmiato dalla sua avidità e dal suo livore, entra in conflitto con se stesso.
“Chi sei tu?”
“Chiedimi chi ero.”
“Chi eri tu allora?”
“Nella vita ero Jacob Marley ed ero il tuo socio.”
Il vecchio rivive poi episodi tristi, dagli aspetti sconcertanti, durante i quali lo spirito dei defunti gli vuole indicare la giusta via per dare un nuovo senso alla propria vita. Che non è senso dell’accumulo di beni materiali, ma è altro, ed è il vero scopo dell’esistenza.
Inizialmente Scrooge è descritto come l’antieroe per eccellenza, ma in seguito alle visite ricevute, in lui intervengono mutamenti che lo cambiano nel profondo. Perché un po’ dello spirito del Natale entra nel suo animo, tale da scombinare la situazione iniziale.
Quindi, incontra Bob, il suo dipendente, e il vecchio Fezziwing con la moglie. Tutti pronti a riempire non solo la mente di Dickens ma anche ogni luogo che si trova ad occupare nei suoi momenti creativi, e pronti a sparire quando gli viene a mancare la creatività.
Litigano con lui, gli impediscono di andare avanti, danno un ampio spazio al blocco dello scrittore che spesso perseguita Dickens fino a procurargli incubi: l’autore, infatti, si cala a fondo nella personalità che dà ai suoi personaggi fino a conferir loro un’esistenza autonoma.
“I personaggi non fanno quello che voglio… ho paura, non riuscirò più a scrivere…” ‒ Charles Dickens
Il tutto, creato ad hoc, per dare vita nel corso della pellicola, alla raffigurazione del processo creativo messo in atto dalla mente di Dickens, che bene si esplicita nella confusione generata dai suoi pensieri disordinati, i quali prendono poi la giusta forma grazie alla sua abilità di creare storie e ambientazioni, in virtù del grande romanziere che Dickens è stato.
A inframezzare il percorso creativo dello scrittore, per portare a compimento la sua opera, la situazione familiare, non propriamente idilliaca, in cui si snocciola la sua vita. Il conflitto irrisolto con il padre (Jonathan Pryce) che, nonostante le età adulte di entrambi, continua a essere una costante negativa.
Inoltre, la difficoltà di far comprendere alla moglie l’inquietudine che gli consuma l’anima senza dargli tregua, così diviso fra il desiderio di dare alle stampe la sua opera e la voglia di riscatto che essa rappresenta.
A interloquire con lui nella realtà, a proposito del parto lungo e difficoltoso de Il canto di Natale in prosa, è la figura di una giovane domestica irlandese in servizio presso la sua abitazione, che gli offre semplici ma intelligenti giudizi, oltre che consigli su come proseguire nella stesura del romanzo.
“Il mio scopo principale fu di risvegliare pensieri di amore e perdono; essi non sono mai fuori stagione, in una terra cristiana” ‒ Charles Dickens
Attraverso questa favola d’ambientazione antica ma dal sapore moderno, l’autore mette in atto una dura critica alla società dell’epoca. Società che ha visto l’affermarsi della rivoluzione industriale con le sue conseguenze negative che l’evento ha comportato.
Innovazione dalla portata storica importante, ma che ha provocato inique differenze sociali. Permettendo a pochi di arricchirsi sfruttando le classi sociali più deboli, con l’unico scopo di far soldi, prestando attenzione soltanto ai propri egoismi.
Altro spunto interessante, da rintracciarsi in questo bel racconto e che emerge con forza dall’opera è l’intento dell’autore di chiedere alla borghesia un esempio di moralità.
Grazie alla sua opera Dickens ha avuto il merito di aver interpretato con una prospettiva innovativa il Natale, con l’attribuzione all’evento di un forte sentimento natalizio, che dà origine a un’intima evoluzione che riguarda un po’ tutti i personaggi presenti in scena.
Impregnato di spiritualità, il racconto è un amalgama di buoni sentimenti insieme a una sorta di romanticismo intriso di perdono, amore per il prossimo e comprensione.
Written by Carolina Colombi