“La cognizione del colore. Antologia poetica”, a cura di Laura De Luca: versi che sfiorano il colore
“Ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido/ che si possa immaginare.” ‒ David Foster Wallace

La mappatura di qualcosa di sconfinato è sempre impossibile. Andare a indagare dove termina un colore e inizia l’altro, intravedendo una possibile gradazione intermedia e dando ad essa un termine, è un qualcosa di difficile o forse semplicemente illusorio.
I colori sono una delle prime realtà con la quale il bambino entra a contatto una volta partorito, per questo l’importanza delle tinte nei giocattoli e, poi, nei giornalini da colorare opportunamente seguendo le indicazioni.
Il colore, proprio come l’universo più ostico dei numeri, rappresenta una costante che, sin dalla scuola primaria, permette all’individuo l’adozione di un metro che poi è quello dell’organizzazione e dell’individuazione in categorie logiche e strutturali.
Ciò che è nero non può essere al contempo bianco eppure, sempre alle elementari, veniva proposto un modello logico fondato su un procedimento forse di difficile persuasione sulle giovani menti secondo il quale un colore non ha effettivamente mai un contrario. Cioè, se proprio dovessimo strutturare un discorso per antipodi, per ambiti in sé opposti e contrastanti, allora veniva dato d’intendere ‒ increspando in maniera sensibile il giovane cervello del ragazzino ‒ che il contrario di bianco è semplicemente (o forse troppo tecnicamente) “non bianco”.
Vale a dire che ciò che non ha a che fare con il bianco non è per forza di cose individuabile nell’annullamento totale del bianco e che, se proprio si volesse pensare alla negazione del bianco, allora si potrebbe anche proporre un incarnato, un rosso fiammante o, ancora un blu cobalto. Sta di fatto che il colore ha sempre affascinato il bambino e, più in generale, l’uomo curioso, colui che ravvisa nella composizione fisica degli oggetti e degli ambienti che abita significati non solo pratici e patenti ma anche evocativi, simbolici e altro ancora.
Ciò avviene non solo con il colore ma anche, ad esempio, con la forma. Sono ambiti che vengono appunto utilizzati nelle primissime classi in varie maniere: di utilizzo di colori a pastello o pennarello a significare i topos di quelle determinate sfere cromatiche e le strutture di definizione, i perimetri di forme regolari che vengono proposte semplicemente o in maniera allungata, sovrapposte e in prospettiva o in situazioni ad incastro.
La letteratura, dal canto suo, ha degli esempi molto forti collegati al colore e il tema mi è particolarmente caro non solo perché anni fa all’università degli Studi di Urbino potei seguire un interessante corso monografico della professoressa Alessandra Calanchi proprio sul colore (le sue funzioni, i suoi messaggi) in opere scelte della letteratura americana, ma anche perché nel 2014 una raccolta di miei racconti portava nel titolo proprio una tonalità cromatica.
Mi riferisco a “La cucina arancione” edito da TraccePerLaMeta di Sesto Calende (Varese) il cui titolo riprende quello di uno dei racconti più lunghi presenti nella raccolta nel quale, ben distanti dal dipingere una semplice cucina, si mette in scena un morboso caso di crisofobia (paura dell’arancione).[1] Dico ciò, non per una nefanda propensione degli intellettuali contemporanei all’auto-citazione, ma perché anche nel volume del quale mi appresto a parlare si presenta il tema del colore sotto tale forma. Del corso universitario ricordo, invece, della centralità del bianco in Moby Dick di Herman Melville, del rosso di Stephen Crane nel romanzo breve ambientato durante la guerra civile americana, del nero del celebre “Gatto nero” di Edgard Allan Poe e a tali esempi aggiungerei ora anche il giallo dei “Limoni” di Montale e quello più aspro, tendente all’ocra, delle liriche di Campos de Castillas di Antonio Machado nonché l’irriverente vestito verde di Adela ne La casa di Bernarda Alba di Federico Garcia Lorca sino alle diversamente celebri “Sfumature” della scrittrice americana E.L. James (si tratta, com’è ovvio, solo di alcune brevi riferimenti dacché la lista potrebbe allungarsi troppo e non trovare mai una fine).
Laura De Luca, radiogiornalista e autrice radiofonica e teatrale, ha elaborato un progetto che reputo significativo e riuscito attorno all’universo dei colori visti, letti e interpretati emotivamente da una serie di poeti contemporanei. Le loro composizioni fanno parte di quest’opera, “La cognizione del colore” pubblicata recentemente per i tipi di fuorilinea di Monterotondo (Roma).
Dopo una nota introduttiva “Una premessa di metodo” della stessa curatrice, che ho molto apprezzato e nella quale ci si addentra nell’indicibilità e nella polivalenza del grigio e alcune considerazioni del neurologo e psichiatra Elio Sena, il volume mostra una partizione cromatica accompagnata, di volta in volta, da alcune immagini che enfatizzano il dato colore di riferimento e fanno da apri-pista alla collana di liriche che ne seguirà.
Si inizia con la forte e totalizzante tonalità del rosso per degradare all’arancione, colore di mezzo che traghetta all’esplosione luminosa del giallo. Si procede con lo specchio naturalistico del verde finanche dell’acquatico blu e poi si vira verso tonalità misteriose e di confine quali l’indaco per giungere a un più deciso violetto. Ecco, allora, che si passa al monocromatismo dei grigi e alla compresenza di forme di luce e di tenebra: il grigio, poi il bianco del candore e della spersonalizzazione. C’è spazio a un percorso di sintesi nelle forme multiple e camaleontiche di un arcobaleno collettivo nella sezione “Iride” (di cui un geniale e futuristico testo visivo di Anna Manna) prima che, in forma definitiva, ci si approssimi alla chiusura definitiva del volume con il nero.

Ricco e di alto livello il panorama dei poeti inseriti nel volume a cominciare da Dante Maffia (presente con 17 haiku), Claudio Damiani, Serena Maffia con un’incisiva lirica sul blue (tratta dall’omonimo volume del 2016), Michela Zanarella, Renato Minore, Elio Pecora, Giancarlo Pontiggia, Antonella Radogna, Anna Santoliquido e Zingonia Zingone e vari altri. Ciascuno interpreta il colore sulla sua pelle, negli istanti d’intimità o di approfondimento riflessivo, traccia i momenti del suo vissuto con una cromia affine non solo alla realtà visiva ma di un sentimento intimo e sperimentato.
Sappiamo che uno degli insegnamenti più forti degli espressionisti (e della cultura atta a incrementare le forme di un emergente relativismo) impiegarono il colore in modo spesso inverosimile, inconsulto, surreale, paradigmatico, in forme contrastive alla realtà fattuale.
Chi ha la facoltà, però, di dirci che il cielo della nostra infanzia, come lo ricordiamo in determinati momenti, non poteva essere viola come lo serbiamo nel nostro cuore?
Ciò non solo in poesia infatti Pablo Picasso disse: “Quando non ho più blu, metto del rosso”. E ancora, quella fragranza di colore che non ha un nome proprio ma che esiste, che non sappiamo ben definire con il nostro codice comunicativo per riferirci ad essa in termini univoci, che cosa rappresenta? È un colore strano, una tinta sbiadita, un misto di colori, una soluzione ambigua quale risultato della commistione di tinte primarie, con gradazioni e quantità differenti? Eppure non è una gradazione, di per sé, una realtà unica di un tutto? Una manifestazione dell’esserci, un campo di presenza?
L’esperimento condotto da Laura De Luca ‒ che con molta probabilità non è così innovativo nel campo delle crestomanzie poetiche ‒ è però proposto con il metodo più confacente a quella letteratura che non ha da prendersi troppo sul serio. Le varie liriche, con i sensibili distinguo delle abilità liriche dei vari poeti qui aggregati, non usano i colori per rappresentare solo la tinta che visivamente è un dato di fatto, identico per tutti, ma li carica sapientemente di messaggi altri, personali e reconditi, forse intuibili o percorribili, metaforici e volutamente evasivi.
Seppure essi siano distanziati l’un l’altro dalle ripartizioni delle quali si è parlato, l’opera si configura come compatta, multicolore e piacevole. I colori non appaiono, com’era per il bambino alle scuole dell’infanzia, monoliti che non interagiscono, sembianze divisibili tra cattive e buone a seconda dei riferimenti proposti dal docente, ma un unicum di una più vasta presenza.
C’è possibilità di salvezza anche in una visione austera e cupa dove l’abisso e le tinte di un nero sembrano totalizzanti, così come la potenza delle acque può esser percepita in una lirica in cui le tinte predilette dall’autore abbiano rimandi al verde, piuttosto che al viola.
È della Poesia, infatti, il compito di addentrarci in un mondo che è il nostro e di altri e di sperimentarlo non tanto con i ragionamenti e le categorie che quotidianamente c’impongono una lettura asettica della realtà, ma con quell’innata creatività, forza d’agire, curiosità e deliquio con forme, colori, immagini.
La componente fanciullesca, per dirla alla Pascoli, che è dell’animo sensibile e che, quando sussiste, non deve esser domata. Ecco allora l’importanza dei terreni interstiziali, delle realtà di confine, dove non è possibile affermare con nettezza di giudizio “io sono bianco” o “io sono nero” o, ancor più allarmisticamente “io sono bianco e non amo il nero”, e vice-versa (a tutti i livelli) che si ha necessità viva e concreta della lettura di quel mondo liminare, di connubio o sincretismo, tra campi di luminosità differenti.
Perché, per citare Laura De Luca, “è nelle sfumature che passa il pensiero, il differenziale, la probabilità, la rivolta, l’opportunità di dire no” (9). La curatrice è sulla stessa linea del celebre Haruki Murakami che sostiene “Si fa presto a dire bianco, c’è quello raffinato e quello dozzinale, ogni sfumatura ha un suo carattere proprio”, ed ecco forse come spiegare l’acuta e pregevole scelta del fondo della copertina del libro: un colore indefinito che non è completamente giallo, ma neppure bianco.
Written by Lorenzo Spurio
Note
[1] Interessante anche il fenomeno dell’ossessione ai colori per alcuni celebri artisti: il giallo per Vincent Van Gogh (che non di rado si spremeva tempere di tal colore in bocca), documentato dal suo carteggio con alcuni amici e colleghi e verso la tempera bianca dell’artista scapigliato Tranquillo Cremona, causa del saturnismo che lo condusse alla morte.