“Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce” di Giovanni Troilo: il pittore visionario
“Ho trovato migliaia di cose che mi affascinano e alle quali non posso proprio resistere. Ho lavorato molto e sarò più preciso del solito… Adesso ritorno al disegno” ‒ Claude Monet

Al variegato panorama dei documentari d’arte, in questi giorni, se ne aggiunge uno dedicato a Claude Monet, pittore d’eccellenza, dal titolo Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce.
Titolo quanto mai esplicativo, al fine di sottolineare la passione che l’artista, un visionario che ha influenzato l’arte del suo tempo e di quelli ancora da divenire, nutriva per le ninfee che arredavano il suo giardino di Giverny.
Il film-evento, prodotto da Ballandi Arts e da Nexo Digital e diretto dal regista Giovanni Troilo, racconta l’universo artistico di un gigante della pittura dell’800, illustrando con dovizia di dettagli il personaggio Monet inserito nella cornice del suo tempo. Il tutto accompagnato dall’originalità della colonna sonora di Remo Anzovino, presenza già nota e imprescindibile dei docufilm.
Ma, prima di illustrare l’eccellente lavoro di Giovanni Troilo, è utile fare un breve excursus nella vita privata e professionale di colui che è considerato universalmente il padre dell’impressionismo.
“Non penso ad altro che al mio dipinto e credo che impazzirei se sapessi di fallire” ‒ Claude Monet
Claude Monet vede la luce nel 1840 a Parigi, e fin da adolescente manifesta un vivace talento artistico, un’evidente inclinazione all’arte del disegno resa esplicita grazie a un approccio singolare: la caricatura. Esperimento che Monet mette in pratica in maniera scanzonata e spontanea, approfittando del legame che stabilisce con i suoi coetanei.
Abbandonata Parigi per motivi economici, nel 1845 la famiglia Monet si stabilisce a Le Havre. Qui, il giovane non instaura un rapporto redditizio con la scuola; allievo svogliato, non versato agli studi tradizionali, dopo aver messo insieme un gruzzolo ricavato dalla vendita delle caricature, tornerà presto a Parigi. Non prima però di aver intrecciato un legame con Eugène Boudin, artista e paesaggista già affermato, anche se non di ampio successo.
Sarà questo un incontro determinante per le scelte artistiche del pittore, in quanto Boudin lo introduce alla pittura en plein air, grazie anche alle loro escursioni sulla costa atlantica. Trasferendogli la passione per la pittura, sviluppata grazie allo stretto contatto con la natura, lo indirizza a scandagliare le variazioni della luce nelle molteplici sfaccettature con cui questa si concede allo spettatore. Ed è così che Boudin offre al giovane i fondamenti per un approccio professionale.
Monet aspirava certamente a una carriera artistica, ma forse non era nei suoi progetti quella di diventare pittore di paesaggi. Seguendo invece i suggerimenti del suo maestro, comincia a usare i pennelli, e ben presto impara ad apprezzare i colori e le forme insite della natura, che Monet raffigura nelle sue svariate interpretazioni.

L’esperienza con Boudin induce l’artista a scegliere in modo determinato di intraprendere l’arte del dipingere quale suo sbocco professionale; decisione questa che porta a incomprensioni fra il pittore e il proprio padre. Tornato alla natia Parigi, Monet entra a far parte dell’Accademia, periodo durante il quale si distingue anche per il suo connaturato carisma.
“Dormo solo con duchesse o domestiche. Preferibilmente con le domestiche delle duchesse. Qualsiasi via di mezzo si spegne subito” ‒ Claude Monet
All’Accademia stringe amicizia con Camille Pissarro, ma nuovamente è costretto a lasciare Parigi, perché richiamato alle armi. Inviato in Algeria, dopo due anni fa ritorno in patria perché ammalato di tifo.
È questo un momento cruciale nella giovane vita di Monet; dopo essere stato ostacolato dal padre, quest’ultimo gli dà il suo appoggio: la passione che il figlio palesa con evidenza non è un’infatuazione temporanea, semmai una vocazione vera e propria.
Ma le regole della pittura tradizionale non sono confacenti alla forte personalità del pittore; spinto da una sorta di ribellione lascia l’atelier per dipingere all’aria aperta. Da solo o in compagnia degli amici di sempre. Pissarro, Sisley, Bazille e Renoir sono fra questi e, senza esserne consapevoli, danno vita alla corrente impressionista.
Fin dalle sue prime opere in Monet si manifesta la tendenza ad esprimersi con le giuste proporzioni degli elementi compositivi, ed anche nella capacità di rendere perfettamente la profondità spaziale, anche se l’uso dei colori appare ancora acerbo. Ma, lo scopo principale del pittore è riprodurre sulla tela gli effetti della luce.
“La sera, caro amico, trovo nella mia casetta un buon focolare e una cara famigliola. Vedesse com’è carino ora il suo figlioccio” ‒ Claude Monet a Bazille
È il 1870 quando Claude Monet e Camille, la sua compagna, si uniscono in matrimonio.
Probabilmente anche per evitare al pittore la chiamata alle armi; il conflitto franco-prussiano è una realtà, e per sfuggire allo spettro della guerra i due raggiungono Londra. Ma qui non trovano un ambiente attento all’arte, soltanto i rapporti con i compatrioti, anch’essi emigrati, permettono a Claude e a Camille, grazie alla vendita di alcune sue opere, di vivere dignitosamente. Per Monet è però l’occasione di studiare, in compagnia dell’amico ritrovato Camille Pissarro, i capolavori di Turner e Constable.
Soltanto alla fine del 1871, terminata la guerra tra Francia e Prussia, la coppia fa ritorno in patria; con una deviazione però che li porta a Zaandam, in Olanda.

Il paesaggio, disseminato di canali e mulini a vento, è per il pittore nuova fonte di ispirazione. Qui, realizza importanti vedute, in un’ideale unione di acqua e cielo, tale da riprodurre la realtà grazie all’intensità dei colori arricchiti dalla vivace atmosfera.
L’intuizione più manifesta di Monet è riprodurre ciò che la vista riesce a cogliere: scene di vita quotidiana, scorci di città e soprattutto i paesaggi, che insieme alle ninfee sono il focus della sua produzione.
Monet non fa uso di disegni preparatori per riprodurre l’impressione visiva, ma utilizza il colore allo stato puro eliminando i contorni dei soggetti raffigurati, al fine di dare maggiore luminosità alle composizioni.
Impressione visiva, quindi, da cui viene coniato il termine ‘impressionismo’, legato ai pittori cultori di tale metodo pittorico.
Si racconta sia stato proprio un dipinto di Monet a sollecitare quest’espressione, inizialmente usata con un tono vagamente dispregiativo. Il quadro in questione è Sole nascente realizzato nel 1872, nel quale un’inquadratura del porto di Le Havre, durante l’ora dell’aurora, partecipa lo spettatore all’idea che Monet aveva della sua arte: trasmettere un’impressione visiva, in un attimo preciso e nella luce di un preciso momento della giornata.
Nel dipinto, il sole crea riflessi aranciati sul mare e navi ormeggiate affiorano dall’acqua quasi fossero ombre. Ed è anche in quest’opera, forse più che in altre, che si evince l’uso che Monet faceva del colore: applicato come avesse una consistenza materica propria.
Nel 1872 Argenteuil è la nuova meta dei Monet; con i suoi colori luminosi l’ambiente seduce il pittore e lo stimola a produrre un gran numero di dipinti. Che saranno annoverati fra i più celebri capolavori dell’impressionismo, grazie alla tecnica adottata, rapida e leggera, con cui vengono realizzati i soggetti.
Qui, ad Argenteuil, Monet allestisce un battello-atelier, in funzione del quale può collocare il cavalletto direttamente in mezzo al fiume e dar vita a creazioni rappresentate a pelo d’acqua.
È il 1874 quando il fotografo Nadar allestisce una mostra nel suo studio, considerata il ‘manifesto’ della pittura impressionista, anche se gli esponenti del movimento non hanno mai lanciato un manifesto vero e proprio. Le loro opere non vengono però comprese e non suscitano interesse da parte dei compratori, a causa anche della difficile situazione economica in cui versa l’intera Europa.

“Inseguo un sogno, voglio l’impossibile. Gli altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca e hanno finto… Io vorrei dipingere l’atmosfera in cui si trovano il ponte, la casa, la barca. La bellezza del clima che lo avvolge e questo non è altro che l’impossibile” ‒ Claude Monet
Quando sopraggiunge il 1879, il pittore, sebbene addolorato per la prematura scomparsa di Camille, realizza bozzetti di eccellente intensità cromatica.
Raggiunta nel 1881 Vetheuil, dipinge il suo giardino da diverse angolature; scorci che danno ai soggetti rappresentati vita propria, tanto che sembrano aspirare a un’appassionata armonia con la natura; Vetheuil sarà presto abbandonato per recarsi a Poissy con Alice, la sua seconda moglie, e con la loro famiglia allargata.
Alla ricerca di uno stile inconfondibile e personale, il pittore decide di ampliare i suoi orizzonti viaggiando. L’Italia, con il suo variegato universo di colori e una singolare vegetazione lo colpiscono profondamente. Ma, nel 1883 fa ritorno a Giverny, dal pittore eletto a luogo dell’anima, dove trova nuovi motivi di ispirazione
Apparentemente pare aver raggiunto qui una sorta di pace, ma il suo stato d’animo è ancora inquieto, e interrompe il lavoro per andare in Liguria dove, a Bordighera, affascinato dal paesaggio, stabilisce la propria residenza.
Rientrato a Giverny, comincia a dipingere la serie che ritrae i Covoni di grano. Sono da ricordare anche le altre serie: quella delle Cattedrali, dei Pioppi e delle Ninfee. Quest’ultima ha occupato il maggior spazio di tutta la sua notevole produzione.
È una sorta di filosofia quella che spinge Monet a raffigurare la serie di dipinti con uno stesso soggetto che si fa protagonista della composizione: ritrarre la natura in un suo continuo divenire. Per l’artista, riprendere lo stesso soggetto non è riprodurre la medesima opera, semmai è una continua rielaborazione che dà forma a un elemento pittorico diverso; un elemento dove luce, vento e ombre contribuiscono a creare un lavoro nuovo, in un mutevole gioco di luci e ombre, tale da ottenere quella che il pittore definiva l’‘istantaneità’.
Negli ultimi anni della sua vita Monet si concentra sulle ninfee del suo giardino, soggetto pittorico che più di altri lo ha appassionato, e che più di altri racchiude il suo lungo lavoro di studio e di ricerca tecnica.
Nel dipinto Lo stagno delle ninfee, rappresenta il ponte e il laghetto costruito da lui nel giardino di Giverny, luogo che pare abitato da un’atmosfera quasi di fiaba, a causa della luce fredda e verdastra dell’acqua, e punteggiata qua e là da splendide ninfee in fiore. Ad esse, dedica a fasi alterne il resto della sua esistenza, nonostante gli sia sempre più difficile dipingere: la cecità incombe su di lui come uno spettro da cui non può alienarsi, mortificandolo nel corpo come nello spirito.
“Seguo la natura senza poterla afferrare; questo fiume scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente” ‒ Claude Monet

Pittore fra i più amati di ogni tempo, l’elemento propulsore dell’intensa produzione di Monet è stato il desiderio di catturare la vera essenza della natura e la sua provvisorietà, trasmettendo ai suoi quadri un’espressività lieve e singolare.
“Davanti al soggetto, il pittore faceva la posta al sole e alle ombre, catturando con poche pennellate il raggio di luce o la nuvola di passaggio… Un’altra volta prese tra le mani un temporale che batteva sul mare e lo gettò sulla tela: e quella che aveva così dipinto era proprio la pioggia” ‒ Guy de Maupassant, 1886
Il documentario di Giovanni Troilo, di ampia e minuziosa ricostruzione, si fa strumento per raccontare di Monet e della sua passione per il mondo pittorico.
Ma quello che si evince, anche dagli interventi di addetti ai lavori, è il trasporto che il pittore ha nutrito per le ninfee, soggetto diventato motivo prossimo a una forma di ossessione.
Attraverso sequenze inedite, inoltre, lo spettatore è accompagnato a visitare Parigi e i musei dedicati all’artista, e non ultima la casa e il giardino a cui ha dedicato ogni palpito del suo cuore, facendone un luogo di suggestiva bellezza.
A guidare il visitatore alla scoperta del mondo che appartenne ad uno dei più grandi maestri della pittura del ‘800, è l’attrice Elisa Lasowski, presenza indispensabile per comprendere l’universo appartenuto al padre dell’impressionismo.
Altra partecipazione significativa, nel percorso che vede Monet protagonista del docufilm, è Ross King, consulente scientifico che ha contribuito alla realizzazione de Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce. Ross King è autore del bestseller Il mistero delle ninfee. Monet e la rivoluzione della pittura moderna, edito in Italia da Rizzoli editore. Testo di ampia valenza testimoniale è tramite per far conoscere agli appassionati un gigante dell’arte quale Monet è stato.
Altri interventi, che arricchiscono un lungometraggio colmo di pathos, sono quelli della fotografa fiamminga Sanne De Wilde e della giardiniera Claire-Héléne Marron della Fondation Monet.
Richiami importanti che permettono allo spettatore di immergersi nell’universo emotivo e professionale di Monet, figura di artista che ha superato con caparbietà anche i momenti difficili che hanno attraversato la sua vita. Nel 1911, per esempio, quando muore Alice e lui, vittima di un disorientamento esistenziale e di gravi crisi depressive, è indotto ad abbandonare la pittura. Ma, per tornare a vivere si dedica a una nuova fatica, onde ricevere l’impulso per uscire dalla depressione. E lo fa grazie a la Grand Decoration, enormi pannelli raffiguranti uno stagno di ninfee che avviluppano lo spettatore in un immenso e caldo abbraccio, il tutto grazie all’atmosfera di serenità che scaturisce dalla visione di un mondo che sembra essere primordiale.

Nel docufilm, partendo da Le Havre, città dove Monet consuma la prima parte della sua vita, si risale lungo la Senna, e si lambiscono i luoghi a lui cari, testimoni del suo innovativo approccio con l’arte e custodi dell’elemento acqua, motivo di studio e ricorrente rappresentazione in buona parte della sua iconografia.
In un processo di osmosi fra vita privata e professionale, nel docufilm si dà allo spettatore il vissuto di Monet, offrendogli un’ampia e nuova chiave di lettura della sua intensa e vasta produzione.
Infine, è il 1927 quando a Parigi al Musée de L’Orangerie, grazie all’amico George Clemenceau, viene inaugurato il museo dedicato alla Grand Decoration. Occasione in cui le opere del grande pittore trovano la sua ragione d’essere. Purtroppo Monet non è presente all’evento: soltanto 5 mesi prima ha lasciato per sempre questo mondo. Era il 1926.
E, cosa ancora più dolorosa, quello da definirsi pittore per eccellenza, non saprà mai l’impatto emotivo che la sua pittura ha avuto nei tempi a venire.
Accade trent’anni più tardi, quando le Ninfee di Monet approdano negli Stati Uniti oltrepassando i confini della Francia.
Qui, unitamente al resto della sua produzione, viene decretato il successo di quel visionario che è vissuto a cavallo dell’Ottocento e del Novecento.
“La terra è colorata dal vapore dei profumi, il cielo rivestito da un mistero” ‒ Claude Monet
Written by Carolina Colombi
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