Giganti di Sardegna: una riflessione dell’archeologo Alessandro Usai

Io nemico dei Giganti? In verità amo i Giganti, ma solo quelli che vivono nei miti e nelle tradizioni popolari della Sardegna e del mondo intero.

Tomba dei giganti di s’Ena ‘e Thomes

Vi faccio una proposta: andate in una libreria qualunque, cercate o chiedete un libro di leggende o favole sarde, sfogliatelo: sono sicuro che vi troverete almeno un racconto che parla di giganti. Sarà ambientato in Barbagia, oppure nel Sulcis o in Gallura; sarà un gigante chiamato Seraghine, oppure una gigantessa chiamata Iddocca; i particolari potranno cambiare da libro a libro: ma in tutti i casi quest’essere misterioso sarà descritto come il costruttore e abitante di un nuraghe, enorme e fortissimo, abile e furbo ma rozzo, solitario, irascibile e litigioso.

Vive da solo il gigante, o tutt’al più con la sua gigantessa e il suo gigantino che continuerà questo modo di vita non civile e non umana; ed è sepolto da solo il gigante, nella sua enorme cassa di pietra vicina al nuraghe.

Sono racconti popolari; non c’è niente di vero e reale, tranne i nuraghi e le grandi tombe collettive chiamate appunto “dei giganti”. Qualcuno ci crede ancora e giura di aver trovato ossa enormi nei nuraghi e nelle tombe; ma perfino un macellaio capisce che quelle ossa non sono umane, ma di equini o bovini, finiteci dentro chissà come e quando.

Però c’è qualcosa di potente in queste storie. Non per niente sono tramandate da secoli, anzi da millenni, e si raccontano in tutti i paesi della Sardegna. Perciò hanno una radice profonda e diffusa, che germoglia dalla psicologia universale dell’umanità, e poi si intreccia e si colora con concetti e parole che vivono solo in Sardegna, che traggono spunto dalla realtà di tante comunità rurali della Sardegna, che rivelano un nucleo comune dell’anima, o delle tante anime, delle genti sarde attraverso i tempi: ci illuminano un modo di essere Sardi.

Io penso a infinite generazioni di contadini, armati solo di una zappa o di un fragile aratro di legno tirato dai buoi; me li immagino chini a sudare e faticare per tutto il giorno, tutti i giorni, per secoli e millenni, ed immagino che ognuno di loro, ogni tanto, raddrizzasse la schiena dolorante e alzasse lo sguardo passando la mano sulla fronte, e vedendo il nuraghe pensasse: “ma chi può aver costruito questo? Io, armato solo di una zappa e di un fragile aratro di legno, non potrei mai costruirlo. Mio padre, uguale a me, non avrebbe mai potuto. I miei nonni e bisnonni, uguali a me a mio padre, nemmeno. I nonni e i bisnonni dei miei nonni e bisnonni, nemmeno. E allora chi? Solo un uomo enorme e fortissimo, un gigante. E quando? Forse molto tempo prima di Cristo, quando si dice che esistessero i giganti non battezzati.

Nuraghe Santu Antine

Poi penso a infinite generazioni di pastori, lontani da casa per mesi, asciugati dal caldo e induriti dal freddo dei pascoli, riparati nella pinnetta di pietra accanto al nuraghe, o dentro il nuraghe stesso; li immagino accendere un fuoco dentro il nuraghe e scoprire con emozione la grande camera, le nicchie e i filari ordinati della cupola ben chiusa al vertice, ed immagino che ognuno di loro a quel punto pensasse: “finalmente un ricovero confortevole! Questi giganti di cui babbo e nonno mi hanno parlato non dovevano essere solo grandissimi e fortissimi, ma anche abili e ingegnosi! Però questo nuraghe non è come il mio paese; gli altri nuraghi sono lontani, non sono vicini come le case del paese. Questi giganti dovevano vivere da soli, come adesso io sono solo. Forse non andavano d’accordo tra di loro; per questo vivevano isolati, uno qua e uno là. Forse litigavano, forse erano anche tristi.

Queste impressioni e questi pensieri, moltiplicati per il numero degli individui e per il numero dei giorni, si sono consolidati e sono diventati patrimonio comune, variato e arricchito qua e là da diversi particolari attinti dalle concrete singolarità dei luoghi, dei fatti e delle vicende vissute.

Per esempio, a Laconi si raccontava della gigantessa Iddocca, che ricevette la notizia della morte della figlia mentre era intenta a costruire il nuraghe di Genna ‘e Corte, e impazzita per il dolore scagliò lontano i macigni con tanta forza che vi restarono impresse le impronte delle sue enormi mani: uno schema simbolico (l’antropomorfo capovolto) che i pastori della località Perda ‘e Iddocca avevano visto sulle grandi pietre oggi note come statue-menhir, anch’esse opera di uomini preistorici molto più antichi degli stessi nuraghi.

A racconti di questo genere, forse in vario modo contaminati col mistero della morte, risalgono i nomi di decine di nuraghi e tombe chiamati “Sa Domu ‘e s’Orcu”, in cui l’abitante gigantesco assume anche l’aspetto pauroso dell’Orco mitologico, il mostruoso signore degli inferi. A questi racconti si intrecciano quelli di altri esseri, maschili e femminili, ciascuno col suo antichissimo nome del sostrato linguistico pre-latino, pietrificati per la loro superbia. Mi vengono in mente anche i dolmen della Corsica chiamati “Casa di l’Orcu” e “Casa di l’Orca” e il talayot di Maiorca chiamato “Sa casa des gegant” (singolare).

Questi racconti hanno le radici ben piantate nella psicologia universale, che in altri mondi ha generato favole avvincenti e mostruose come quella del Polifemo omerico; ma si alimentano soprattutto del contrasto percepito tra gli esseri disumani primordiali senza misura e senza legge, e l’umanità affaticata e sofferente dei piccoli servi di Dio, del re e della terra; il contrasto tra il passato misterioso senza tempo e il presente quotidiano senza orizzonte.

Menhir Laconi – Sa Domu ‘e s’Orcu – Alessandro Usai

È per questo che le favole dei giganti occupano un posto importante nella memoria culturale dei Sardi, un posto molto concreto. È per questo che il servo Efix, nelle prime pagine di “Canne al vento” di Grazia Deledda, tra i rumori della notte lungo il fiume sente i giganti, le janas, le panas e altri esseri fantastici.

Voglio aggiungere un’altra cosa. Queste ed altre favole non sono soltanto favole. Questi piccoli uomini di campagna, insieme ai pescatori, agli artigiani e ai commercianti delle città, e tutte le piccole donne sarde che hanno sofferto e lavorato duramente ogni giorno della loro vita: questi sono i nostri Giganti.

Senza saperlo, credendosi nani a confronto degli esseri mitologici, essi hanno creato e indirizzato il grande fiume della cultura popolare sarda che bagna chiunque si volga, anche per un solo momento, a sentire la forza della tradizione, magari credendo di poterla rinnegare. Questi Giganti, il loro lavoro e i loro racconti, meritano tutto il nostro rispetto ed amore.

A questo punto credo che il mio pensiero sia chiaro. Non mi interessa fare polemiche. Non c’è stato nessun cambiamento. Chi sinceramente ama la storia della Sardegna potrebbe pacificamente riconoscere che il posto dei Giganti nella nostra cultura è già saldamente occupato. Che facciamo, mandiamo via quelli che ci sono sempre stati per mettercene altri che hanno già il loro posto importante riconosciuto dalla disciplina archeologica? O confondiamo gli uni e gli altri, due mondi diversi, “tanto sono tutti nuragici”?

Ce ne freghiamo in nome del marketing e riempiamo tutto di giganti fasulli fino al ridicolo?

Io non ho dubbi: seguo senza esitazione e senza compromessi la strada della ricerca e della cultura. Quando la strada della cultura è persa, è persa.

 

Written by Alessandro Usai

 

Alessandro Usai è nato a Cagliari nel 1959. Si è laureato in Lettere Classiche e perfezionato in Archeologia all’Università di Cagliari. Successivamente grazie ad una borsa di studio di 10 mesi ha continuato la sua formazione presso la Scuola Archeologica Britannica di Atene. È dipendente del Ministero dei Beni Culturali dal 1991. È stato ispettore archeologo in Abruzzo fino al 1994. Attualmente è funzionario archeologo in servizio nella Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Cagliari. È incaricato per la ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico della parte settentrionale della provincia di Oristano.

Ha diretto scavi, ricerche e restauri in diversi complessi nuragici, come Nuracale (Scano Montiferro), Òrgono (Ghilarza), Tanca Suei e Tanca Perdu Cossu (Norbello), Losa (Abbasanta), Su Cùccuru Mannu (Riola), S’Urachi (San Vero Milis), Pìdighi (Solarussa), Sa Osa (Cabras), Su Sonadori (Villasor) e Antigori (Sarroch). Attualmente dirige i progetti di scavo e ricerca a Mont’e Prama (Cabras) e collabora ai progetti di valorizzazione ed esposizione delle sculture di Mont’e Prama nel museo civico di Cabras.

 

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Neon Ghènesis Sandàlion Alessandro Usai

 

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